LA BATTAGLIA DI GAUGAMELA
BREVE CRONACA DELLA STORICA VITTORIA
DI ALESSANDRO
di Fortunato Pio Nunnari
331
a.C.: il più grande condottiero che
l'umanità avesse mai conosciuto
dichiarò guerra al più potente
impero della storia. Dopo la
disfatta di Isso (333 a.C.), i
persiani di Dario III – ultimo
imperatore degli Achemenidi a
regnare sulla Persia – attesero
Alessandro nella piana di Gaugamela,
una pianura molto ampia in cui
poterono sfruttare la loro
superiorità numerica senza essere
intrappolati come a Isso due anni
prima.
Le fonti antiche sono discordi
riguardo al numero esatto dei
soldati che entrambi i condottieri
schierarono a Gaugamela. Sotto lo
stendardo persiano combatterono
all'incirca 235.000 uomini, tra cui
fanti, cavalieri, elefanti da guerra
indiani, mercenari greci, gli
immortali (la guardia scelta
dell'imperatore) e i carri falcati
(carri con lame affilate posizionate
sulle ruote, pronte a falciare le
gambe dei nemici).
Alessandro schierò circa 40.000
fanti e 7.000 cavalieri. L'esercito
macedone fu diviso in due
schieramenti: quello sinistro
guidato da Parmenione e quello
destro guidato dal re in persona.
All'inizio della battaglia,
Alessandro ordinò alla falange di
avanzare lasciando le ali poco più
indietro rispetto alla falange.
Questo avrebbe indotto la cavalleria
persiana a caricare contro la
falange apparentemente in difesa, ed
è proprio qui che il genio militare
di Alessandro si manifestò nel suo
più grande splendore.
Come da tradizione, tutti i re della
Persia durante le battaglie si
schieravano sempre al centro dello
schieramento, protetti dalle loro
guardie del corpo. Dario, vedendo
che la falange macedone avanzava
sempre di più, decise incautamente
di attaccare per primo e mandò alla
carica i carri falcati. Non fu la
prima volta che Alessandro
fronteggiò i carri; il suo esercito
aveva sviluppato una particolare
tattica per contrastarli: le prime
linee si spezzavano all'ultimo
istante per far entrare all'interno
dello schieramento i carri che,
bloccati da ogni parte, venivano
facilmente neutralizzati.
Mentre
la falange macedone fronteggiava a
sarisse abbassate i fanti persiani,
Dario mandò il grosso della sua
cavalleria a fronteggiare la
sinistra dello schieramento macedone
comandato da Parmenione. Così, nello
schieramento persiano si creò un
piccolissimo vuoto, una falla così
piccola da essere impercettibile, ma
non per uno stratega come Alessandro
Magno. Le forze persiane si divisero
e Dario rimase isolato con la sua
guardia del corpo.
Quando Alessandro vide il Gran Re, i
suoi occhi si illuminarono di
gloria; ordinò alla sua cavalleria
personale di smettere di combattere
e di seguirlo in una folle carica
contro il centro dello schieramento
persiano.
I
cavalieri macedoni si disposero in
formazione a diamante, tattica
largamente diffusa tra i reparti di
cavalleria, alla cui testa si pose
lo stesso Alessandro. Con un impeto
formidabile, Alessandro e i suoi
uomini si riversarono sulla guardia
reale come onde anomale sulla
sabbia, mandandola in rotta. Dario,
vistosi senza scorta e ormai lontano
dal resto del suo esercito, fuggì
insieme ai pochi rimasti della
guardia reale.
Alessandro partì subito per
inseguirlo e decretare una volta per
tutte la fine dell'impero persiano.
Mentre galoppava all'inseguimento,
un messaggero lo raggiunse a cavallo
e gli portò la disperata richiesta
di aiuto dalla retroguardia
sinistra. Parmenione, rimasto a
tenere a bada la cavalleria
persiana, stava perdendo terreno e
non poteva resistere ancora per
molto. Alessandro tornò indietro e
si lanciò alla carica contro i
rimasugli dell'esercito persiano. La
Vittoria dispiegò le sue ali.
Dopo la battaglia, i macedoni
attaccarono la carovana reale e si
appropriarono di un ingente bottino.
Le fonti antiche riportarono circa
50.000 caduti tra le file persiane,
mentre 1.200 o poco più tra quelle
macedoni. Tale scontro decretò di
fatto la fine dell'impero persiano.
Il Gran Re Dario fu ucciso a
tradimento da Besso, satrapo di
Battriana, mentre cercava di
arruolare un altro esercito da
mandare al macello contro
Alessandro.
Intelligenza, coraggio e ambizione
si fusero armoniosamente nella
solenne battaglia, creando una delle
più affascinanti espressioni di
strategia militare della storia
umana.