.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

antica


N. 56 - Agosto 2012 (LXXXVII)

Cheronea e l’introduzione delle sarisse
la falange macedone nella conquista della Grecia

di Christian Vannozzi

 

La battaglia di Cheronea, combattuta tra le forze macedoni di Filippo II e le libere città greche di Atene e Tebe, segna l’ascesa della potenza macedone nel territorio ellenico e segna il passo ad Alessandro, figlio di Filippo e futuro Re dell’impero più grande che il mondo abbia mai conosciuto.

 

Esaminiamo ora i fatti con calma. Le città greche erano ormai in decadenza. Atene e Tebe avevano ancora il prestigio cultura della Grecia, ma di certo non erano militarmente forti come quando respinsero l’assalto dei persiani.

 

Il 2 agosto del 338 a. C., Filippo II sconfigge definitivamente, a Cheronea in Beozia le forze alletate di Atene, Tebe e di altre città minori dell’area. Le libere città dovettero così unirsi alla Lega di Corinto, presieduta dal Re macedone che riuniva tutte le città elleniche, da Creta all’Epiro.

 

Questa battaglia, secondo le fonti archeologiche, mostra al mondo la potenza bellica macedone e la sua micidiale falange. A differenza di quella oplitica la falange macedone utilizzava la sarissa, una picca utilizzata dai guerrieri macedoni lunga fino a 6-7 metri, aveva corpo in legno di corniolo di grande diametro, una grossa punta di ferro (circa 30 cm) ed un tallone pure metallico. L’intera lunghezza dell’asta era ottenuta con due rami distinti di corniolo uniti da un tubo centrale di bronzo, utile anche per bilanciare il centro di gravità. Un esercito così armato era in grado di fermare anche i carri da guerra e la cavalleria pesante.

 

Se pensiamo in termini monetari, possiamo notare come un esercito armato di sarisse costasse molto di meno di un battaglione di cavalleria o di carri da guerra. Diventare un soldato della falange era semplice e la carriera era aperta a tutti, mentre diventare un cavaliere precludeva l’avere un cavallo e un armatura adatta che costava molto di più di una sarissa ed un elmo.

 

Con pochi soldi i macedoni potevano così contare su una potenza bellica superiore a quella delle altre città greche.

 

La falange era schierata in modo da sfruttare nel miglior modo la lunghezza della picca. I fanti armati di sarissa, si schieravano su otto file, distanziate di una sessantina di centimetri e le picche erano disposte in avanti facendo sì che anche quelle impugnate dalla sesta fila sporgessero oltre la prima e quindi l’intero schieramento risultasse difficilmente penetrabile.

 

Contro la carica della cavalleria o dei carri nemici, le sarisse venivano piantate in terra ed i fanti si ravvicinavano l’un l’altro in modo che i piccoli scudi, assicurati alla spalla di sinistra, diventassero contigui. Contro la carica dei fanti nemici, le sarisse, puntate in avanti, costringevano gli attaccanti ad un percorso obbligato attraverso le aste delle file avanzate, rendendoli facile bersaglio per le lame delle sarisse imbracciate delle file superiori.

 

Arma pesante, da impugnarsi a due mani, la sarissa impediva al suo portatore l’uso del possente scudo ellenico, l’aspis, e indeboliva drasticamente il fianco destro dello schieramento. Era compito dei fanti hypaspistai (portatori di scudi dei compagni), pesantemente corazzati come i tradizionali opliti greci, fare scudo ai compagni con i loro aspis.

 

Oltre alle sarisse, la vittoria fu possibile grazie al genio militare di Alessandro, che in quell’occasione fu assegnato dal padre al comando della cavalleria. L’azione combinata tra la falange e la cavalleria di Alessandro portò allo sbaragliamento degli imbattibili fanti della Beozia.

 

In pratica i soldati della falange arrestavano le forze nemiche come un incudine mentre la cavalleria le schiacciava come un martello. Questa tattica veniva comunemente chiama dell’incudine e del martello.

 

Polieno narra la battaglia:

« (IV.II.2) Affrontando gli Ateniesi a Cheronea, Filippo simulò una ritirata. Quando Stratocle, il comandante ateniese, ordinò ai suoi uomini di spingersi avanti, gridando "li inseguiremo fin nel cuore della Macedonia", Filippo osservò tranquillamente "gli ateniesi non sanno vincere" e ordinò alla sua falange di rimanere serrata e solida e di ritirarsi lentamente, riparandosi con gli scudi dagli attacchi del nemico. Quando egli con questa manovra ebbe attirato i nemici fuori dal loro terreno vantaggioso, e guadagnata una superiorità, egli si fermò e, incoraggiando le sue truppe ad un attacco vigoroso, fece così impressione al nemico da determinare una brillante vittoria in suo favore».

« (IV.II.7) A Cheronea Filippo, sapendo che gli Ateniesi erano animosi ed inesperti e i Macedoni adusi alle fatiche e agli esercizi, si adoperò per prolungare l’azione, riservando il proprio attacco principale alla conclusione del combattimento, a nemico debole ed esausto e incapace di sostenere la carica ».

 

Lo storico Diodoro racconta invece lo stallo iniziale della battaglia che segnerà il destino della Grecia:

« Una volta iniziata la battaglia fu aspramente combattuta per lungo tempo con molti caduti per ciascuna delle parti, sì che la lotta dava speranza di vittoria ad entrambi. »

 Continua Diodoro:

« Allora Alessandro, in cuore deciso a mostrare al padre il proprio valore e secondo a nessuno in volontà di vittoria, abilmente secondato dai suoi compagni (gli hetairoi), per primo riuscì a rompere la solida fronte della linea nemica e, abbattendo molti, penetrò profondamente nelle truppe di fronte a lui. Lo stesso successo arrise ai suoi compagni e si aprivano varchi nella fronte nemica. »

« I cadaveri si accumulavano, finché Alessandro si aprì una via attraverso la linea e mise i suoi avversari in fuga. Allora anche il re in persona avanzò, ben in prima linea, e non concesse il merito della vittoria neppure ad Alessandro. Prima fece indietreggiare le truppe davanti a lui e quindi, costringendole alla fuga, divenne l’uomo responsabile della vittoria »

 

Alessandro e la sua cavalleria si gettarono in battaglia contro il battaglione sacro tebano, un corpo scelto dell’esercito tebano della Grecia antica, formato da 150 coppie di amanti omosessuali e creato, secondo Plutarco, dal comandante tebano Gorgida.

 

Il battaglione fu creato perché si riteneva che ogni uomo sarebbe stato motivato a combattere al massimo delle proprie capacità sia per proteggere il suo amante, sia per evitare di disonorarsi nei suoi confronti.

 

Questo secondo la fonte del cronista, in realtà gli archeologici scoprirono che il battaglione fu infilzato dalle picche dei soldati della falange e che quindi finirono in trappola tra l’incudine e il martello.

 

L’unione della Grecia sotto la corona macedone rese possibile l’unione non solo culturale ma anche politica del popolo ellenico che ormai risiedeva in tutto l’Occidente dalla Spagna all’Anatolia.

 

Grazie a questa unione fu possibile per Alessandro attaccare l’impero persiano che si scontrerà, come le città greche, contro la formidabile macchina da guerra rappresentata dalla falange e dalle sarisse.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

V.M. Manfredi, Alexandros. Il figlio del sogno, Mondadori, 2002.

A. Montesanti, Alessandro Magno. La storia, il viaggio dell’ultimo eroe, Ginevra Bentivoglio EditoriA, Roma 2012.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.