N. 56 - Agosto 2012
(LXXXVII)
Cheronea e l’introduzione delle sarisse
la falange macedone nella conquista della Grecia
di Christian Vannozzi
La
battaglia
di
Cheronea,
combattuta
tra
le
forze
macedoni
di
Filippo
II e
le
libere
città
greche
di
Atene
e
Tebe,
segna
l’ascesa
della
potenza
macedone
nel
territorio
ellenico
e
segna
il
passo
ad
Alessandro,
figlio
di
Filippo
e
futuro
Re
dell’impero
più
grande
che
il
mondo
abbia
mai
conosciuto.
Esaminiamo
ora
i
fatti
con
calma.
Le
città
greche
erano
ormai
in
decadenza.
Atene
e
Tebe
avevano
ancora
il
prestigio
cultura
della
Grecia,
ma
di
certo
non
erano
militarmente
forti
come
quando
respinsero
l’assalto
dei
persiani.
Il 2
agosto
del
338
a.
C.,
Filippo
II
sconfigge
definitivamente,
a
Cheronea
in
Beozia
le
forze
alletate
di
Atene,
Tebe
e di
altre
città
minori
dell’area.
Le
libere
città
dovettero
così
unirsi
alla
Lega
di
Corinto,
presieduta
dal
Re
macedone
che
riuniva
tutte
le
città
elleniche,
da
Creta
all’Epiro.
Questa battaglia, secondo
le
fonti
archeologiche,
mostra
al
mondo
la
potenza
bellica
macedone
e la
sua
micidiale
falange.
A
differenza
di
quella
oplitica
la
falange
macedone
utilizzava
la
sarissa,
una
picca
utilizzata
dai
guerrieri
macedoni
lunga
fino
a
6-7
metri,
aveva
corpo
in
legno
di
corniolo
di
grande
diametro,
una
grossa
punta
di
ferro
(circa
30
cm)
ed
un
tallone
pure
metallico.
L’intera
lunghezza
dell’asta
era
ottenuta
con
due
rami
distinti
di
corniolo
uniti
da
un
tubo
centrale
di
bronzo, utile anche per bilanciare il centro di gravità.
Un
esercito
così
armato
era
in
grado
di
fermare
anche
i
carri
da
guerra
e la
cavalleria
pesante.
Se pensiamo in termini
monetari,
possiamo
notare
come
un
esercito
armato
di
sarisse
costasse
molto
di
meno
di
un
battaglione
di
cavalleria
o di
carri
da
guerra.
Diventare
un
soldato
della
falange
era
semplice
e la
carriera
era
aperta
a
tutti,
mentre
diventare
un
cavaliere
precludeva
l’avere
un
cavallo
e un
armatura
adatta
che
costava
molto
di
più
di
una
sarissa
ed
un
elmo.
Con pochi soldi i macedoni
potevano
così
contare
su
una
potenza
bellica
superiore
a
quella
delle
altre
città
greche.
La falange era schierata
in
modo
da
sfruttare
nel
miglior
modo
la
lunghezza
della
picca.
I
fanti
armati
di
sarissa,
si
schieravano
su
otto
file,
distanziate
di
una
sessantina
di
centimetri
e le
picche
erano
disposte
in
avanti
facendo
sì
che
anche
quelle
impugnate
dalla
sesta
fila
sporgessero
oltre
la
prima
e
quindi
l’intero
schieramento
risultasse
difficilmente
penetrabile.
Contro la carica della
cavalleria
o
dei
carri
nemici,
le
sarisse
venivano
piantate
in
terra
ed i
fanti
si
ravvicinavano
l’un
l’altro
in
modo
che
i
piccoli
scudi,
assicurati
alla
spalla
di
sinistra,
diventassero
contigui.
Contro
la
carica
dei
fanti
nemici,
le
sarisse,
puntate
in
avanti,
costringevano
gli
attaccanti
ad
un
percorso
obbligato
attraverso
le
aste
delle
file
avanzate,
rendendoli
facile
bersaglio
per
le
lame
delle
sarisse
imbracciate
delle
file
superiori.
Arma pesante, da impugnarsi
a
due
mani,
la
sarissa
impediva
al
suo
portatore
l’uso
del
possente
scudo
ellenico,
l’aspis,
e
indeboliva
drasticamente
il
fianco
destro
dello
schieramento.
Era
compito
dei
fanti
hypaspistai
(portatori
di
scudi
dei
compagni),
pesantemente
corazzati
come
i
tradizionali
opliti
greci,
fare
scudo
ai
compagni
con
i
loro
aspis.
Oltre alle sarisse, la
vittoria
fu
possibile
grazie
al
genio
militare
di
Alessandro,
che
in
quell’occasione
fu
assegnato
dal
padre
al
comando
della
cavalleria.
L’azione
combinata
tra
la
falange
e la
cavalleria
di
Alessandro
portò
allo
sbaragliamento
degli
imbattibili
fanti
della
Beozia.
In pratica i soldati
della
falange
arrestavano
le
forze
nemiche
come
un
incudine
mentre
la
cavalleria
le
schiacciava
come
un
martello.
Questa
tattica
veniva
comunemente
chiama
dell’incudine
e
del
martello.
Polieno narra la battaglia:
« (IV.II.2) Affrontando
gli
Ateniesi
a
Cheronea,
Filippo
simulò
una
ritirata.
Quando
Stratocle,
il
comandante
ateniese,
ordinò
ai
suoi
uomini
di
spingersi
avanti,
gridando
"li
inseguiremo
fin
nel
cuore
della
Macedonia",
Filippo
osservò
tranquillamente
"gli
ateniesi
non
sanno
vincere"
e
ordinò
alla
sua
falange
di
rimanere
serrata
e
solida
e di
ritirarsi
lentamente,
riparandosi
con
gli
scudi
dagli
attacchi
del
nemico.
Quando
egli
con
questa
manovra
ebbe
attirato
i
nemici
fuori
dal
loro
terreno
vantaggioso,
e
guadagnata
una
superiorità,
egli
si
fermò
e,
incoraggiando
le
sue
truppe
ad
un
attacco
vigoroso,
fece
così
impressione
al
nemico
da
determinare
una
brillante
vittoria
in
suo
favore».
« (IV.II.7) A Cheronea
Filippo,
sapendo
che
gli
Ateniesi
erano
animosi
ed
inesperti
e i
Macedoni
adusi
alle
fatiche
e
agli
esercizi,
si
adoperò
per
prolungare
l’azione,
riservando
il
proprio
attacco
principale
alla
conclusione
del
combattimento,
a
nemico
debole
ed
esausto
e
incapace
di
sostenere
la
carica
».
Lo storico Diodoro racconta
invece
lo
stallo
iniziale
della
battaglia
che
segnerà
il
destino
della
Grecia:
« Una volta iniziata la
battaglia
fu
aspramente
combattuta
per
lungo
tempo
con
molti
caduti
per
ciascuna
delle
parti,
sì
che
la
lotta
dava
speranza
di
vittoria
ad
entrambi.
»
Continua Diodoro:
« Allora Alessandro, in
cuore
deciso
a
mostrare
al
padre
il
proprio
valore
e
secondo
a
nessuno
in
volontà
di
vittoria,
abilmente
secondato
dai
suoi
compagni
(gli
hetairoi),
per
primo
riuscì
a
rompere
la
solida
fronte
della
linea
nemica
e,
abbattendo
molti,
penetrò
profondamente
nelle
truppe
di
fronte
a
lui.
Lo
stesso
successo
arrise
ai
suoi
compagni
e si
aprivano
varchi
nella
fronte
nemica.
»
« I cadaveri si
accumulavano,
finché
Alessandro
si
aprì
una
via
attraverso
la
linea
e
mise
i
suoi
avversari
in
fuga.
Allora
anche
il
re
in
persona
avanzò,
ben
in
prima
linea,
e
non
concesse
il
merito
della
vittoria
neppure
ad
Alessandro.
Prima
fece
indietreggiare
le
truppe
davanti
a
lui
e
quindi,
costringendole
alla
fuga,
divenne
l’uomo
responsabile
della
vittoria
»
Alessandro
e la
sua
cavalleria
si
gettarono
in
battaglia
contro
il
battaglione
sacro
tebano,
un
corpo
scelto
dell’esercito
tebano
della
Grecia
antica,
formato
da
150
coppie
di
amanti
omosessuali
e
creato,
secondo
Plutarco,
dal
comandante
tebano
Gorgida.
Il
battaglione
fu
creato
perché
si
riteneva
che
ogni
uomo
sarebbe
stato
motivato
a
combattere
al
massimo
delle
proprie
capacità
sia
per
proteggere
il
suo
amante,
sia
per
evitare
di
disonorarsi
nei
suoi
confronti.
Questo
secondo
la
fonte
del
cronista,
in
realtà
gli
archeologici
scoprirono
che
il
battaglione
fu
infilzato
dalle
picche
dei
soldati
della
falange
e
che
quindi
finirono
in
trappola
tra
l’incudine
e il
martello.
L’unione
della
Grecia
sotto
la
corona
macedone
rese
possibile
l’unione
non
solo
culturale
ma
anche
politica
del
popolo
ellenico
che
ormai
risiedeva
in
tutto
l’Occidente
dalla
Spagna
all’Anatolia.
Grazie
a
questa
unione
fu
possibile
per
Alessandro
attaccare
l’impero
persiano
che
si
scontrerà,
come
le
città
greche,
contro
la
formidabile
macchina
da
guerra
rappresentata
dalla
falange
e
dalle
sarisse.
Riferimenti bibliografici:
V.M.
Manfredi,
Alexandros.
Il
figlio
del
sogno,
Mondadori,
2002.
A.
Montesanti,
Alessandro
Magno.
La
storia,
il
viaggio
dell’ultimo
eroe,
Ginevra
Bentivoglio
EditoriA,
Roma
2012.