N. 51 - Marzo 2012
(LXXXII)
cassino
cronistoria di una battaglia
di Generoso Mele
La rivisitazione di avvenimenti storici, avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie e utili a comprenderne il reale significato, permette di cogliere e assimilare insegnamenti del passato che possono trovare applicazione anche nel presente. In quest’ottica si inseriscono alcune iniziative a connotazione prettamente militare quali il Battlefield Tour e lo Staff Ride.
Il
concetto
di
Battlefield
Tour
è
stato
mutuato
dal
mondo
anglosassone
e si
configura
come
una
visita
ad
uno
o
più
luoghi
di
una
campagna/operazione
militare
occorsa
nel
passato.
Esso
non
presuppone
uno
studio
preliminare
degli
avvenimenti
oppure
esso
è
molto
limitato
e
poco
dettagliato.
Quando
è
condotto
da
un
esperto,
il
Battlefield
Tour
può
stimolare
il
pensiero
e
incoraggiare
la
discussione
fra
i
partecipanti,
anche
se
entro
i
limiti
di
una
preparazione
preliminare
carente
in
termini
di
livello
di
approfondimento
degli
eventi.
In
sintesi,
il
Battlefield
Tour
utilizza
un
terreno
ed
una
situazione
storica
ma
non
prevede
una
fase
preparatoria
di
studio.
Lo
Staff
Ride,
al
contrario,
si
basa
su:
- lo
studio
sistematico
di
una
particolare
campagna/operazione
militare;
-
accurate
visite
sui
siti
associati
alla
campagna/operazione
prescelta;
-
l’opportunità
di
assimilare
e
integrare
gli
insegnamenti/ammaestramenti
da
esso
derivanti.
In
sintesi,
lo
Staff
Ride
collega
un
evento
storico,
un
metodico
studio
preliminare
ed
il
reale
terreno,
allo
scopo
di
analizzare
una
battaglia
in
maniera
tridimensionale.
Normalmente
si
articola
in
tre
distinte
fasi:
-
studio
preliminare;
-
approfondimenti
sul
terreno;
-
integrazione
dei
risultati/insegnamenti.
Pertanto,
lo
Staff
Ride
rappresenta
un’opportunità
metodologica
unica
per
far
convergere
gli
insegnamenti
del
passato
verso
l’attuale
leadership
per
applicazioni
in
attuali
e/o
future
operazioni.
In
questo
contesto
si
inserisce
l’attività
condotta
dalla
Divisione
“Acqui”,
denominata
operazione
“CASSINO”,
svoltasi
dal
21
al
23
novembre
2011
in
alcune
significative
località
della
Battaglia
(quota
593,
Colle
Abate,
Monte
Cifalco),
cui
hanno
partecipato
i
key
elements
dello
staff
divisionale.
Tuttavia,
tale
iniziativa,
pur
essendo
stata
associata
ad
un
Battlefield
Tour,
nella
realtà
si
colloca
a
metà
strada
fra
esso
ed
uno
Staff
Ride
poiché,
pur
cogliendo
e
sviluppando
aspetti
dell’uno
e
dell’altro,
non
sfocia
apertamente
in
una
delle
due
tipologie.
Infatti,
pur
non
essendo
stato
preceduto
da
un
approfondito
studio
preliminare,
ha
certamente
giovato
dell’apporto
di
storici,
studiosi,
appassionati
e
testimoni
oculari
durante
le
visite
ad
alcuni
luoghi
della
campagna/operazione,
per
terminare
con
l’individuazione
di
insegnamenti
e
considerazioni
applicabili
alle
moderne
operazioni
e
raccolte
organicamente
nel
presente
documento
finale.
Perciò,
coniando
un
nuovo
termine,
questa
esperienza
può
essere
definita
come
Battle
Ride
oppure
Staff
Tour.
Gli
obiettivi
dell’operazione
erano
quelli
di
studiare
ed
analizzare:
- le
relazioni
di
Comando
e
Controllo
e
Comunicazioni
utilizzate
dagli
Alleati
e
dall’Asse;
-
leadership
e
processo
decisionale;
-
combattimenti
particolari
(forzamento
di
un
corso
d’acqua
e
cbt.
negli
abitati);
-
combattimenti
particolari
(cbt.
in
montagna);
-
operazioni
aeree
e
joint;
- la
componente
multinazionale
e la
realtà
della
guerra;
- il
sostegno
logistico;
- la
protezione
dei
beni
culturali
e
della
popolazione
civile;
-
media/influence
operations;
al
fine
di
trarne
insegnamenti
da
poter
considerare/applicare
agli
attuali
scenari
operativi.
Il
Comando
Divisione
“Acqui”
ha
nominato
un
Nucleo
Organizzativo
per
assicurare
la
corretta
pianificazione
e
condotta
dell’operazione.
Tale
Nucleo
è
composto
da:
-
Ten.
Col.
Lucio
DI
BIASIO
(project
officer);
-
Magg.
Generoso
MELE
(responsabile
organizzazione).
Nello
studio
di
questa
materia,
spesso,
ci
si
accorge
che
le
teorie
di
CLAUSEWITZ
della
connessione
tra
guerra
ed
attività
politica
trovano
un’ampia
applicazione
nelle
battaglie
del
secondo
conflitto.
La
battaglia
di
CASSINO,
oltre
a
possedere
tale
specifica,
rappresenta
un
episodio
importante
dove
la
superiorità
della
tecnologia
militare
ha
dovuto
cedere
il
passo
agli
impedimenti
del
terreno
ed
al
valore,
sommato
alla
tenacia
combattiva,
delle
unità
a
difesa.
La
Battaglia
di
CASSINO,
si
inquadra
all’interno
degli
episodi
bellici
precedenti
ai
suoi
fatti
d’arme.
L’invasione
del
Nord
Africa
causò
all’Asse
la
distruzione
delle
armate
italo/tedesche,
privando
l’Italia
del
suo
impero
coloniale
ed
assicurando
una
base
alle
forze
alleate
per
le
successive
operazioni
in
territorio
italiano.
L’invasione
della
Sicilia,
accelerò
il
collasso
del
regime
fascista;
la
vittoria
alleata,
infatti,
fu
una
sorpresa
per
gli
italiani
che,
grazie
alla
propaganda,
erano
convinti
che
gli
invasori
sarebbero
stati
respinti.
Lo
sbarco
a
Salerno
nel
settembre
del
‘43
ed
il
ritardo
impostogli
dai
tedeschi,
diedero
al
Maresciallo
Kesserling
il
tempo
di
organizzare
il
fronte
di
CASSINO
che
con
la
liberazione
di
Mussolini
gettò
le
basi
per
un
governo
repubblicano
nell’Italia
centro
settentrionale.
Tale
scontro
ebbe
l’apice
della
sua
drammaticità
nelle
tre
fasi
della
sanguinosa
battaglia
di
CASSINO.
La
Battaglia
di
CASSINO,
legata
ad
implicazioni
di
natura
politico/strategica,
rappresenta
tatticamente
la
sola
battaglia
difensiva
della
2^
guerra
mondiale
con
caratteristiche
delle
battaglie
difensive
della
1^;
ciò
sia
per
l’addensarsi
di
forze
notevoli
in
un
ristretto
spazio,
sia
per
l’esteso
sistema
difensivo.
L’origine
della
battaglia
trova
collocazione
nel
sistema
difensivo
tedesco
meglio
noto
come
Linea
Invernale.
La
linea
“B”
(Bernhardline
o
Reinhardt)
o
linea
invernale
per
gli
Alleati
correva
dall’Adriatico
al
Tirreno,
seguendo
i
rilievi
sulla
riva
sinistra
del
fiume
Sangro
fino
a
Casoli,
per
poi
dirigersi
verso
le
pendici
della
Maiella.
Successivamente
assumeva
un
andamento
quasi
meridiano
lungo
l’allineamento
Maiella
-
M.Arasecca
(Castel
di
Sangro)
-
Castel
S.
Vincenzo.
Da
qui
formava
un
primo
saliente
che
seguiva
le
alture
a
destra
del
fiume
Volturno
fino
a
sfiorare
i
dintorni
ovest
di
Venafro;
formava,
quindi,
un
secondo
saliente
che
abbracciava
i
monti
Sammucro,
Cesima
e
Camino
ed,
infine,
dopo
aver
attraversato
il
Garigliano
all’altezza
delle
colline
a
sud
di
S.
Andrea
seguiva
le
alture
sulla
riva
destra
di
tale
fiume
fino
al
mare
(spiaggia
di
Scauri).
Questa
linea
presentava
anche
alcune
posizioni
antistanti
di
sicurezza
e di
mascheramento
in
corrispondenza
della
media
valle
del
Sangro
e
del
basso
Garigliano.
Per
darle
profondità,
inoltre,
era
stato
predisposto,a
tergo,
un
sistema
di
linee
poste
a
cavallo
del
fascio
operativo
tirrenico
(ritenuto
più
pericoloso),
tale
da
costituire,
insieme
alla
Linea
Invernale,
una
triplice
barriera
per
qualsiasi
direttrice
di
penetrazione
Alleata.
Tale
sistema
era
costituito:
-
dalla
linea
“G”
o
Gustav
(Castel
di
Sangro
–
Alfedene
-
pendici
del
monte
La
Meta
-
pendici
delle
Mainarde
-
riva
destra
del
fiume
Rapido
–
San
Ambrogio
-San
Andrea;
-
dalla
line
”D”
o
Dora
(Atina
-
M.Cairo
–
Piedimonte
-
San
Germano
–
Acquino
–Pontecorvo
–
Monte
D’Oro
-
Monte
Petrella
-
Formia);
-
dalla
linea
“H”
o
Hitler
(o
“Sengerline”
dal
nome
del
suo
costruttore)
coincidente
con
la
linea
“D”
da
Atina
a
Pontecorvo
e
proseguente,
dopo
tale
località,
secondo
l’andamento
Pico
–
Fondi
-
Terracina.
Tale
linea,
corrispondente
alla
dislocazione
delle
riserve,
come
già
accennato,
aveva
lo
scopo
di
tamponare
eventuali
penetrazioni
di
formazioni
corazzate
Alleate.
Questa
sistemazione
era
coerente
con
l’organizzazione
difensiva
tedesca,
già
attuata
su
altri
fronti,
che
era
impostata
su
sistemi
difensivi,
distanziati
tra
loro
circa
di
80
km,
ciascuno
dei
quali
comprendeva
“una
zona
di
sicurezza”,
“una
posizione
di
resistenza”
e
una
“zona
delle
riserve”
avente
complessivamente
una
profondità
variabile
da 6
a 20
km
circa
secondo
la
natura
del
terreno.
La
massima
profondità,
ovviamente,
veniva
raggiunta
nei
terreni
pianeggianti,
dove
la
“zona
di
sicurezza”
era
profonda
6-7
km,
e la
minima
in
terreni
montani,
ove
la
zona
delle
riserve
avevano
una
profondità
di
3-5
km e
distavano
fra
loro
fino
a 3
km.
L’organizzazione
della
zona
delle
riserve
era
quasi
uguale
a
quella
della
posizione
di
resistenza,
vi
potevano
essere
costruite
trincee
e
camminamenti
e
non
dovevano
mai
mancare
ostacoli
anticarro.
Nell’organizzazione
della
linea
Invernale
questi
criteri
sono
stati
applicati
quasi
integralmente:
- la
“posizione
di
resistenza”
era
costituita
dalla
linea
Bernhard,
la
quale
aveva
alcune
posizioni
antistanti
costituenti,
nel
complesso,
la
“zone
di
sicurezza”.
La
posizione
di
resistenza
aveva
un
raddoppio
sia
in
corrispondenza
del
tratto
più
sensibile
del
fronte,
da
Castel
di
Sangro
a
San
Andrea
(Linea
Gustav),
che
in
corrispondenza
del
tratto
da
S.Andrea
al
mare
(linea
“D”
o
Dora);
- la
“zona
delle
riserve”
era
costituita
dalla
linea
“H”
(o
Sengerline)
per
l’intero
tratto
Atina–
Pontecorvo
–
Fondi
-
Terracina.
La
linea
Invernale,
dovendo
assolvere
soltanto
la
funzione
di
imporre
un
tempo
di
arresto,
era
composta
da
una
catena
di
caposaldi
non
collegati
fra
loro,
il
cui
nucleo
era
costituito
quasi
sempre
dalle
sommità
dei
monti
o
dai
paesini
che,
come
castelli,
troneggiavano
sulle
cuspidi
delle
montagne.
Questa
seconda
soluzione
consentiva,
oltretutto,
una
buona
protezione
del
personale
dai
rigori
dell’
inverno.
La
linea
Gustav,
invece,
era
densamente
presidiata,
specialmente
nel
tratto
a
cavallo
della
Stretta
di
Mignano.
I
criteri
ai
quali
si
ispiravano
gli
apprestamenti
difensivi
delle
singole
posizioni
erano
i
seguenti:
-
che
consentissero
in
ogni
caso
un
sicuro
ripiegamento
dei
difensori;
-
che
godessero
di
ottime
condizioni
di
osservazione
del
proprio
campo
di
tiro;
-
che
fossero
in
grado
di
attirare
il
nemico
in
zone
più
idonee
alla
condotta
di
contrattacchi
affidati
ai
piccoli
reparti
tenuti,fino
al
momento
dell’azione,
in
sicuri
rifugi
blindati
o in
caverne
per
agire
alle
bravissime
distanze.
Oltre
a
ciò,
grande
importanza
veniva
attribuita
all’ostacolo
naturale
integrato
da
ostacoli
artificiali.
Le
demolizioni
realizzate,
in
effetti,
furono
così
numerose
che
spesso,
da
sole,
erano
sufficienti
ad
arrestare
per
qualche
giorno
l’avanzata.
Tale
linee
erano
integrate
da
una
serie
di
allagamenti
attuati
lungo
la
zona
costiera
che
limitavano
il
transito
alla
sola
ferrovia
e
rotabili
principali
creando
anche
una
compartimentazione
del
terreno
utile
per
isolare
eventuali
formazioni
sbarcate
dal
mare
e
condizionarne
il
movimento.
La
costruzione
delle
fortificazioni
della
linea
”Gustav”,
diretta
dal
Generale
del
genio
Bessel,
fu
eseguita
da
unità
pionieri,
reparti
ausiliari
italiani
e
battaglioni
orientali;
quella
della
linea
“Bernhardt”,
invece,
dalle
stesse
truppe
combattenti.
L’orientamento
della
concezione
difensiva
tedesca
a
condurre
una
difesa
efficace
in
corrispondenza
dalla
linea
“Invernale”,
richiedendo
un
ammassamento
di
forze
a
ridosso
di
essa,
creava
una
vasta
zona
di
vulnerabilità
sul
tergo,
dove
un
eventuale
sbarco
alleato
avrebbe
potuto
seriamente
minacciare
la
via
della
ritirata
del
grosso
delle
forze.
Cio
tuttavia
costituiva
un
“rischio
calcolato”
per
i
tedeschi.
Essi,
infatti,
proprio
in
previsione
di
una
possibile
interruzione
delle
vie
Appia
e
Casilina,
avevano
predisposto
un
piano
di
ritirata
cosi
articolato:
- le
unità
che
si
trovavano
nel
settore
nord
del
versante
tirrenico
si
sarebbero
ritirate
seguendo
l’itinerario
Atina
–
Opi
-
Pescina
-
Celano
-
L’Aquila;
- le
unità
ubicate
nel
settore
centrale
(valle
del
Liri)
si
sarebbero
raccolte
in
aree
da
dove
avrebbero
iniziato
la
ritirata
lungo
l’itinerario
Sora
–
Avezzano
-
Rieti;
- le
unità
del
settore
sud
si
sarebbero
concentrate
a
Fondi
da
dove
avrebbero
iniziato
la
ritirata
seguendo
l’itinerario
valle
Corsa
–
Ceccano
-
Frosinone
–
Subiaco
–
Carsoli
-
Rieti;
-
infine,
i
nuclei
di
vigilanza
costiera,
trattenuti
fino
all’ultimo
a
Terracina,
si
sarebbero
raccolti
nella
zona
di
Priverno
e si
sarebbero
ritirati
seguendo
l’itinerario
Carpineto
–
Colleferro
–
Valmontone
–
Palestrina
–
Tivoli
-
Passo
Corese
(Sulla
salaria).
Qui
avrebbero
organizzato
una
resistenza
per
dare
tempo
alla
messa
in
ritirata
sulle
vie
montane
di
sboccare
nella
Conca
di
Terni.
È
interessante
constatare
come
la
concezione
difensiva
tedesca
si
sia
dovuta
basare
su
ipotesi
non
suffragate
da
sufficienti
dati
informatici.
Tale
situazione
limitava
la
libertà
d’azione
dei
difensori
facendo,
quindi,
prevedere
la
necessità
di
interventi
da
decidere
sul
momento
laddove
si
fosse
presentata
la
minaccia.
Inoltre
la
soluzione
del
problema
operativo
era
complicata:
-
dalla
insicurezza
delle
predisposizioni
difensive
costiere
per
mancanza
di
adeguati
mezzi
navali
ed
aerei
atti
a
impedire
uno
sbarco;
-
dalla
scarsità
di
ricognizione
aerea
atta
ad
individuare
per
tempo
i
movimenti
dal
nemico;
-
della
difficoltà
di
assicurare
i
rifornimenti
alle
proprie
forze
a
causa
del
dominio
aereo
da
parte
degli
alleati,della
insufficienza
della
rete
stradale
e
ferroviarie
delle
limitazioni
imposte
dalla
natura
montuosa
del
territorio.
Tutti
questi
motivi
davano
valore
alla
scelta
della
linea
Gustav
per
arrestare
l’avanzata
del
nemico.
Essa
infatti
presentava
sostanzialmente
soltanto
due
alternative
per
l’attaccante
o
tentare
di
sfondare
in
corrispondenza
della
Stretta
di
Mignano
con
l’impiego
di
ingenti
forze
corazzate
o
attaccare
nei
settori
montani.
Scartata
la
seconda
ipotesi,
in
quanto
ritenuta
più
onerosa
e
lenta
nonchè
improbabile,
stante
la
mancanza
di
truppe
da
montagna
nel
campo
avversario,
non
rimaneva
che
la
prima.
Questa
risultava
oltremodo
rischiosa
per
i
tedeschi
qualora
fosse
stato
attuato
dagli
Alleati
un
aggiramento
dal
mare;
ma,
da
calcoli
fatti,
Kesserling
riteneva
che
in
tal
caso
vi
sarebbe
stata
la
possibilità
(poi
verificatasi)
di
tenere
il
fronte
principale
fintantochè
l’avversario
non
avesse
costituito
una
minaccia
seria
per
le
vie
di
ritirata
predisposte,
come
abbiamo
visto,
nella
zona
interna
montana.
A
questo
si
deve
aggiungere
l’efficienza
combattiva
dei
reparti
tedeschi,
la
loro
abilità
nello
sfruttare
il
terreno
e la
rapidità
con
la
quale
i
comandi
germanici
seppero
fronteggiare
ogni
situazione
imprevista.
Purtroppo
non
si
può
dire
altrettanto
della
marina
e
dell’aviazione
o,
dall’inizio
del
1943,
non
furono
in
grado
di
sostenere
adeguatamente
le
operazioni
terrestri.
La
1^
fase
della
battaglia
(novembre
1943
–
gennaio
1944)
La
prima
fase
della
lotta
riguardava
l’offensiva
alleata
contro
la
linea
invernale
e
l’apertura
di
una
breccia
in
corrispondenza
del
bacino
del
fiume
Rapido.
La
pianificazione
operativa
del
XV
Gruppo
d’Armate
prevedeva
un’azione
offensiva
convergente
su
ROMA
da
parte
di
due
Armate
con
un’operazione
anfibia
sulle
coste
del
Tirreno.
L’operazione
era
stata
prevista
in
tre
tempi
successivi:
- 1°
tempo
(20.nov.):
attacco
dell’8^
Armata
britannica
con
obiettivo
la
fronte
Collarmele/Popoli/Pescara
al
fine
di
minacciare
da
Avezzano
il
tergo
delle
truppe
tedesche
schierate
nella
Valle
del
Liri;
- 2°
tempo
(01.dic.):
attacco
della
5^
Armata
lungo
la
Valle
del
Liri/Sacco,
a
cavallo
della
via
Casilina,
con
obiettivo
Frosinone;
- 3°
tempo
(20
Dic.):
sbarco
a
tergo
dell’ala
destra
tedesca
in
modo
da
favorire
l’avanzata
della
5^
Armata
su
ROMA.
Rotta
la
linea
invernale,
si
riteneva
che
l’avanzata
potesse
procedere
celermente
sino
a
raggiungere
Frosinone.
Attuato
tutto
ciò,
avrebbe
potuto
aver
luogo
l’operazione
di
convergenza
delle
armate
su
ROMA,
obiettivo
della
battaglia.
L’8^
Armata,
a
causa
del
cattivo
tempo,
dovette
rimandare
l’attacco
dal
20
al
28
novembre.
Nonostante
ciò
l’Armata
ebbe
un
inizio
molto
promettente
tanto
che
i
reparti
del
V
Corpo
d’Armata,
appoggiati
dall’aviazione,
conquistarono
Lanciano
e S.
Vito
Chietino
(4
dicembre).
Tuttavia,
la
resistenza
dei
tedeschi
andò
accrescendosi
su
tutta
la
fronte
del
V
Corpo
ove
furono
sviluppati
violenti
contrattacchi.
Sulla
fronte
del
XIII
Corpo
d’Armata
la
tenace
resistenza
della
1^
Divisione
paracadutisti
tedeschi
rese
impossibile
ogni
tentativo
inglese
di
spingersi
avanti.
A
causa
di
ciò,
l’8^
Armata
fece
una
breve
sosta
al
fine
di
ridisegnare
il
dispositivo
per
riprendere
le
operazioni
il
10
dicembre.
I
tedeschi
rinforzarono
il
loro
sistema
difensivo
con
l’afflusso
della
334^
Divisione
fanteria
e
della
26^
Divisione
corazzata,
protraendo
la
lotta
di
logoramento
sino
a
Natale.
La
5^
Armata,
il
01
dicembre,
iniziò
la
preparazione
aerea
ed
il
giorno
successivo
quella
d’artiglieria
continuando
sino
al
04
dicembre.
L’attacco
delle
fanterie
ebbe
inizio
il
01
dicembre
nella
zona
di
Calabritto;
successivamente
l’attacco
fu
spinto
a
fondo
verso
la
regione
di
Vallenova/Monte
Maggiore.
Solamente
Monte
Maggiore
venne
occupato;
sul
resto
della
fronte
investita,
attacchi
e
contrattacchi
continuarono
sino
alla
sera
dell’8
dicembre
e si
conclusero
con
la
conquista
di
Monte
La
Remetane
e di
Rocca
d’Evandro
(raggiungendo
la
zona
di
confluenza
Peccia
/Garigliano).
Un
fianco
della
stretta
era
caduto
e
gli
Alleati
si
erano
attestati
lungo
tutto
il
basso
corso
del
Garigliano.
L’8
dicembre,
il
1°
Raggruppamento
Motorizzato
Italiano
e la
3^
Divisione
attaccarono
la
fronte
Monte
Lungo/S.
Pietro
Infine/Monte
Sammucro.
Tuttavia,
l’attacco
non
ebbe
successo
ed
alla
sera
gli
elementi
avanzati
furono
fatti
ripiegare
sulla
base
di
partenza.
Il
15
dicembre
riprese
l’attacco
sulla
fronte
tra
Monte
Maggiore
e
Monte
Sammucro;
l’attacco
contro
Monte
Lungo
fu
protetto
lungo
il
suo
fianco
sinistro
dal
possesso
di
Monte
Maggiore
e
dalla
bassa
Val
Peccia.
La
lotta
durò
sino
al
17
quando
i
tedeschi
cedettero
ripiegando
verso
la
fine
del
mese
sulla
pre
organizzata
Linea
“Gustav”.
Con
il
ripiegamento
tedesco
sulla
linea
“Gustav”
ebbe
fine
la
prima
fase
della
battaglia
ed
il
piano
alleato
di
raggiungere
rapidamente
ROMA
doveva
considerarsi
fallito.
2^
fase.
Lotta
di
logoramento
intorno
Cassino
e
sbarco
ad
Anzio
(gennaio
–
marzo
1944).
La
nuova
pianificazione
degli
Alleati
nacque
il
25
dicembre
alla
conferenza
di
Tunisi
dove
Churchill
sollecitò
l’occupazione
di
ROMA.
Al
termine,
non
ritenendo
probabile
un
aumento
a
favore
dei
tedeschi
delle
forze
contrapposte
sul
Garigliano
(dato
il
predominio
aereo
alleato)
si
decise
di
persistere
nell’offensiva,
concentrando
però
gli
sforzi
nel
solo
settore
Rapido/Garigliano,
con
la
solita
operazione
anfibia
su
Anzio.
La
5^
Armata
avrebbe
agito
a
cavallo
della
via
Casilina
e
dal
basso
Garigliano
completandosi
con
lo
sbarco
ad
Anzio
mentre
l’8^
Armata
avrebbe
effettuato
azioni
dimostrative
lungo
il
litorale
adriatico.
Intendimenti
e
compiti
particolari
dei
tedeschi
furono
sintetizzati
dall’ordine
del
giorno
di
HITLER
in
cui
si
precisò
che
la
linea
“Gustav”
doveva
essere
tenuta
ad
ogni
costo.
L’offensiva,
iniziata
il
12
gennaio,
fu
intensificata
il
21
tanto
che
la
26^
Divisione
riuscì
ad
affermarsi
saldamente
sulla
destra
del
Rapido
occupando
CAIRO
(26
gen.)
concentrando
la
lotta
verso
CASSINO.
Contemporaneamente
il
C.E.F.
non
ottenne
risultati
apprezzabili.
Sul
Garigliano,
il X
Corpo
d’Armata,
nonostante
validi
tentativi
di
aggiramento,
non
concluse
nulla
a
causa
dei
contrattacchi
tedeschi.
Ai
primi
di
febbraio,
gli
Alleati
constatarono
il
fallimento
dell’attacco
della
5^
Armata;
le
forze
tedesche,
impiegate
abilmente,
erano
riuscite
ad
impedire
l’avanzata
verso
valle
del
Liri
difendendo
i
pilastri
di
Montecassino
e di
Monte
Maio
impedendo
la
congiunzione
della
5^
Armata
con
le
unità
sbarcate
ad
Anzio.
Imputato
il
fallimento
ad
una
mancata
gravitazione,
fu
deciso
che
gli
sforzi
sarebbero
stati
concentrati
in
corrispondenza
di
CASSINO
(II
Corpo
d’Armata)
che
sbarrava
l’accesso
alla
valle
del
Liri.
La
4^
Divisione,
muovendo
da
Monte
Castellone/Colle
Maiola,
doveva
puntare
tra
Colle
S.
Comeo
e
Colle
d’Onofrio
per
raggiungere
la
fronte
quota
593/altura
dell’Abbazia.
La
2^
Divisione
avrebbe
agito
a
sud
dell’abitato
di
CASSINO
per
forzare
il
passaggio
del
Rapido.
Le
due
Divisioni,
poi,
avrebbero
continuato
l’avanzata
a
cavallo
della
via
Casilina.
Per
agevolare
l’attacco,
il
Comando
alleato
autorizzò,
su
richiesta
del
Generale
Freyberg
(Comandante
del
V
Corpo)
il
bombardamento
della
celebre
Abbazia
di
Montecassino
(distrutta
il
15
febbraio).
L’attacco,
però,
fu
stroncato
dall’inizio
ed
il
16
iniziò
la
controffensiva
tedesca
contro
le
unità
sbarcate
ad
Anzio
che,
dopo
iniziali
successi,
si
esaurì
per
la
resistenza
opposta
dagli
Alleati
appoggiati
dall’aria
e
dal
mare.
Il
Comando
alleato
riprese
l’offensiva
con
un
obiettivo
ancora
più
limitato
del
precedente,
l’altura
di
Montecassino.
L’attacco
iniziò
il
18
marzo
con
la
preparazione
dell’aviazione
e
d’artiglieria.
Dopo
aver
completamente
distrutto
l’abitato
di
CASSINO
ed
il
rilievo
del
Castello,
la
lotta
si
protrasse
sino
al
23
marzo
allorquando
il
Comando
alleato
sospese
l’azione,
rafforzandosi
sulle
posizioni
raggiunte
(Colle
S.
Comeo/Altura
del
Castello
nord-est
di
CASSINO/stazione
ferroviaria).
Fallito
il
terzo
attacco
era
conclusa
la
seconda
fase
della
battaglia.
La
terza
fase.
La
rottura
ed
il
tentativo
di
aggiramento
(11
maggio
- 4
giugno
1944)
Il
XV
Gruppo
d’Armate
non
modificò
quanto
pianificato
per
la
2^
fase
della
battaglia,
stabilendo
lo
sforzo
principale
(8^
Armata),
lungo
la
valle
del
Liri/
Sacco,
a
cavallo
della
via
Casilina,
con
obiettivo
ROMA;
la
5^
Armata
doveva
facilitarne
la
manovra
agendo
sul
fianco
sinistro.
La
libertà
d’azione
lasciata
ai
Comandanti
delle
Armate
modificò
la
condotta
del
Comandante
del
XV
Gruppo
di
Armate
(invece
cioè
di
un’azione
frontale
sul
Garigliano
e
poi
aggirante
con
lo
sbarco
di
Anzio,
la
5^
Armata
effettuò
lo
sforzo
principale
occupando
ROMA).
I
tedeschi,
che
possedevano
un’organizzazione
difensiva
notevole
(specialmente
a
nord
della
via
Casilina)
avevano
delle
forze
di
presidio
di
modesta
entità
con
scarso
appoggio
d’aviazione.
Accuratissima,
come
sempre,
l’organizzazione
del
fuoco
e
del
contrattacco.
L’11
maggio
iniziò
una
preparazione
di
artiglieria
che
si
estese
subito
su
tutta
la
fronte
del
Garigliano/Rapido.
Gli
Alleati
non
ottennero
dei
risultati
decisivi
sino
al
14
allorquando
la
situazione
si
sviluppò
favorevolmente
conquistando
Monte
Maio
ed
arrivando
nella
valle
dell’Ausente
sino
a S.
Apollinare
e S.
Giorgio.
Il
15
maggio
la
rottura
della
posizione
avanzata
dell’organizzazione
difensiva
tedesca
con
la
conquista
di
Spigno
Saturnio
sino
ad
arrivare
alla
conca
di
Ausonia.
Il
16
vide
l’avanzare
della
fanteria
marocchina
mentre
il
17,
la
resistenza
dei
tedeschi
a
Formia
ne
determinò
una
sosta.
Il
giorno
18
ed
il
19
si
ebbero
dei
forti
scontri
nei
dintorni
di
FORMIA
per
una
serie
di
contrattacchi
tedeschi,
mentre
il
20
avvenne
la
rottura
definitiva
dell’intera
organizzazione
difensiva
tedesca.
Le
avanguardie
del
II
Corpo
d’Armata
americano
raggiunsero
Fondi
il
22
mentre
ed
il
C.E.F.
occupò
Campodimele
e la
conca
di
Pico
sino
a
Pontecorvo.
Nello
stesso
periodo
si
sviluppavano
i
seguenti
avvenimenti
sulla
fronte
dell’8^
Armata
da
parte
del
II
Corpo
d’Armata
polacco.
Dopo
alcuni
tentativi,
il
17
il
Corpo
d’Armata
polacco
occupò
q.
593;
il
18
q.
479
e
Messeria
Albaneta
ed
anche
l’Abbazia;
la
5^
Divisione,
invece,
occupava
Colle
S.
Angelo.
In
complesso
il
20
maggio
veniva
raggiunto
la
linea:
Gaeta/Itri/Fondi
(II
Corpo
d’Armata);
Campodimele/Pico/Monte
Marrone
(C.E.F.);
Pontecorvo/San
Germano
(XIII
Corpo
d’Armata
britannico
e II
Corpo
d’Armata
polacco).
Il
24
il
II
Corpo
d’Armata
americano
raggiungeva
l’Amaseno/Valle
di
Roccasecca
dei
Volsci;
il
C.E.F.
la
fronte
Amareno/Pasterna/S.Giovanni
Incarico;
il
XIII
Corpo
il
F.
Melfa.
Intanto,
era
stato
deciso
di
attaccare
anche
dalla
testa
di
sbarco
di
Anzio
in
direzione
nord-est,
per
Cisterna
e
Cori,
Valmontone.
L’attacco
ebbe
inizio
il
23 e
dopo
quattro
giorni
di
combattimento
gli
Alleati
raggiunsero
i
dintorni
di
Lanuvio,
Velletri,
Valmontone,
Artena.
Il
29,
con
l’85^
Divisione
fu
ripresa
l’avanzata
su
Velletri
mentre
il
30
maggio
si
raggiunse
Velletri.
L’8^
Armata,
superate
le
difese
di
Melfa
occupava,
il
28
maggio
Arce
ed
il
30
Frosinone
(9
divisioni
su
di
una
fonte
di 8
km).
Da
Frosinone
il
XIII
Corpo
d’Armata
puntò
su
Arsoli
mentre
il I
Corpo
d’Armata
su
Ferentino
ed
Anagni.
La
5^
Armata
puntava
vittoriosa
su
ROMA
non
solo
per
la
via
Appia
ma
anche
per
la
via
Casilina,
preventivata,
nei
piani,
per
l’avanzata
dell’8^
Armata.
Il 4
giugno
i
primi
reparti
della
5^
Armata
raggiunsero
ROMA.
La
battaglia
di
CASSINO
era
conclusa.
Il
Generale
Marshall
ebbe
a
dire
nella
sua
relazione
che
gli
Alleati
volevano
eliminare
l’Italia,
ma
volevano
anche
evitare
di
creare,
“un
baratro
in
cui
finissero
con
l’essere
assorbite
le
risorse
destinate
all’azione
di
attraversamento
della
Manica”.
Ciò
spiegherebbe
l’assegnazione
di
unità
eterogenee
e
non
fra
le
migliori
disponibili.
Tuttavia,
non
si
spiega
il
procedimento
operativo,
non
certo
brillante,
seguito
nella
condotta
della
battaglia,
in
considerazione
delle
forze
superiori
a
disposizione
e di
uno
strumento
logistico
di
enorme
potenziale
all’interno
di
un
ambiente
favorevole.
Lo
sviluppo
della
battaglia,
poi,
non
soddisfò
neppure
gli
stessi
vincitori
tanto
che
il
Comandante
della
5^
Armata
dovette
rispondere
ad
una
commissione
d’inchiesta
della
sua
azione
di
comando.
Egli
fu
prosciolto
perché
la
condotta
era
legata
alla
scelta
(non
adeguata
alla
realtà
del
terreno)
di
condurre
le
operazioni
solo
a
cavallo
delle
grandi
vie
di
comunicazione,
con
grosse
colonne
motorizzate,
precedute
da
avanguardie
di
carri
armati
ed
appoggiate
da
aerei,
cercando
di
limitare
al
massimo
l’impiego
diretto
della
fanteria.
La
mentalità
delle
grandi
possibilità
di
manovra,
nonostante
l’ambiente
geofisico,
sfruttato
da
un
avversario
capace
e
tenace,
fu
lenta
a
morire;
non
ci
si
rese
conto
che,
in
terreni
montani,
anche
con
rilievi
modesti
ma
impervi,
dove
le
comunicazioni
sono
limitate
e
facilmente
interrompibili,
bastano
poche
forze,
decise
a
difendersi,
per
rendere
eccezionalmente
forte
una
posizione
difensiva
ad
un
attacco
eseguito
a
base
di
macchine.
Gli
inutili
sforzi
sulla
linea
Invernale,
gli
attacchi
in
gennaio
sul
basso
Rapido,
i
tentativi
contro
CASSINO
delle
divisioni
motorizzate
americane
ed
ancora
le
azioni
di
febbraio
e di
marzo
fecero
tornare
in
primo
piano
la
normale
fanteria,
adeguatamente
equipaggiata
per
muovere
e
combattere
su
ogni
tipo
di
terreno.
Il
merito,
infatti,
del
vittorioso
epilogo
della
battaglia
va
attribuito
alle
divisioni
di
fanteria
marocchine,
che,
con
il
loro
equipaggiamento
da
montagna,
poterono
raggiungere
per
l’alto
i
centri
vitali
logistici
dell’avversario,
la
cui
conquista
determinò
di
fatto
la
caduta
dell’organizzazione
difensiva
tedesca.
La
manovra
di
aggiramento
delle
unità
tedesche
sul
Garigliano,
oltre
a
quanto
detto,
fallì
perché
gli
Alleati
consideravano
erroneamente
ROMA
il
fulcro
logistico
delle
unità
tedesche
ritenendo
che,
intercettando
le
comunicazioni
con
la
Capitale,
lo
schieramento
sul
Garigliano
non
potesse
reggere.
La
manovra
alleata
prevedeva
che
le
unità
sbarcate
ad
Anzio,
si
sarebbero
dirette
verso
i
Colli
Albani,
tagliando
la
Via
Appia
e
poi
la
Casilina
(dove
quest’ultima
più
si
avvicinava
alla
testa
di
sbarco).
Tuttavia,
con
un’azione
più
decisa
su
Valmontone
si
sarebbe
sfruttata
la
sorpresa
tattica
subita
dal
comando
tedesco,
che
attendeva
lo
sbarco
nella
zona
di
Civitavecchia.
La
condotta,
infine,
della
battaglia
del
Garigliano,
da
parte
alleata
presenta
delle
serie
deficienze.
Le
varie
fasi
della
battaglia
furono,
pianificate,
organizzate
e
condotte,
sulla
stessa
falsa
riga.
Ogni
pianificazione,
infatti,
non
deve
essere
simile
alla
precedente
perché
si
rinuncia
all’elemento
sorpresa
(interamente
e/o
parzialmente);
un’azione
attesa
dal
nemico,
in
una
direzione
prevista
e
già
sfruttata,
ha
ben
poche
probabilità
di
riuscita.
Altro
elemento
è la
tardiva
valutazione
delle
limitazioni
operative
dell’ambiente
montano
(se
organizzato
a
difesa)
al
movimento
ed
all’azione
di
masse
motorizzate
non
coadiuvate
da
unità
di
fanteria.
L’eccessiva
importanza
attribuita
allo
sbarco
di
Anzio
nel
quadro
generale
della
battaglia
(peraltro
non
pienamente
sfruttato).
La
“Gustav”
trae
la
sua
origine
dalla
scelta
politica
di
HITLER
di
attuare
il
piano
di
Kesserling
nel
bloccare
gli
Alleati
nell’Italia
centrale.
Gli
ostacoli
incontrati
nella
battaglia
del
Garigliano
hanno
generato
idee
poco
esatte
sulla
sistemazione
difensiva
tedesca.
Per
contrastare
la
minaccia
da
uno
sbarco
alleato
sul
medio
Tirreno,
il
Comando
tedesco
predispose
un
ripiegamento
delle
unità
verso
delle
direzioni
previste.
Tale
meccanismo
permise
di
continuare
la
resistenza
sul
Garigliano
alimentando
con
regolarità
la
battaglia
con
le
unità
al
sicuro
da
ogni
minaccia.
La
reciproca
fiducia
tra
comandi
ed
unità
è
stato
una
delle
ragioni
dell’accanita
resistenza
durante
la
1^ e
la
2^
fase
della
battaglia
nonché
dell’ordinato
ripiegamento
alla
fine
della
3^
fase.
Tuttavia,
le
operazioni
tedesche
in
Italia,
e la
loro
libertà
d’azione,
furono
influenzate
da
considerazioni
politiche
e,
pertanto,
le
decisioni
non
furono
conseguenza
solamente
di
valutazione
della
situazione
militare.
Dopo
la
seconda
fase
della
battaglia
divenne
evidente
che
non
sarebbe
stato
possibile
resistere
ulteriormente
alla
potente
pressione
alleata,
tanto
da
chiedersi
perché
il
comando
tedesco
abbia
ugualmente
difeso
strenuamente
le
posizioni
tenute
invece
di
mirare
a
conservare
le
proprie
forze
rifiutando
la
battaglia
e
logorando
l’avversario
con
una
manovra
di
ripiegamento.
Forse
su
tale
decisione
avranno
influito,
oltre
le
ragioni
politiche
(interventi
di
Hitler,
effetti
propagandistici
della
conquista
di
ROMA,
ipotesi
di
Hitler
di
poter
rapire
il
Papa)
anche
la
buona
disposizione
tattica
delle
posizioni
occupate
e lo
stato
avanzato
dei
lavori
di
fortificazione.
Tuttavia,
un
ripiegamento
avrebbe
vanificato
la
preparazione
offensiva
degli
Alleati
che
sarebbero
stati
costretti
a
fermarsi
e
logorarsi
sulle
posizioni
delle
riserve
procedendo
lentamente
a
causa
delle
predisposizioni
difensive
avversarie.
In
caso
di
ripiegamento,
infatti,
l’offensiva
alleata
per
la
presa
di
ROMA
sarebbe
stata
rimandata
per
attuare
la
preparazione
di
un
nuovo
attacco
in
forze.
Tutto
ciò
deriva
dal
fatto
che
gli
Alleati
ebbero
gravi
preoccupazioni
durante
i
primi
giorni
dell’offensiva,
appunto
perché
credevano
che
i
tedeschi
volessero
sottrarsi
alla
battaglia
facendo
cadere
il
loro
attacco
nel
vuoto.
Il 4
giugno
la
5ª
Armata
entrò
a
ROMA,
ma
l’attenzione
alleata
era
già
da
un’altra
parte.
Partiva
l’operazione
“OVERLORD”,
in
Francia,
che
assorbì
tutte
le
risorse
umane
e
materiali
degli
Alleati,
ed
il
fronte
italiano
venne
ad
assumere
un’importanza
secondaria.
La
campagna
in
ITALIA,
per
questo
motivo,
durò
ancora
un
anno
e
terminò
con
la
resa
delle
unità
tedesche
poco
prima
del
suicidio
di
Hitler
nel
“bunker”
della
Cancelleria
di
Berlino.