antica
CLEOPATRA E ANTONIO: FU VERO AMORE?
SULLA BATTAGLIA DI AZIO
di Davide Sansò
La battaglia di Anzio fu probabilmente
il “culmen”, a cui si giunse in
seguito delle lotte intestine, che
riguardarono le tre figure più eminenti
del panorama politico romano tra il 44
a.C. e il 31 a.C.: Ottaviano, Emilio
Lepido e Marco Antonio.
Nel considerare le dinamiche che
portarono a “istituzionalizzare” il
secondo triumvirato, è necessario fare
menzione dei risvolti di morte e
distruzione che il primo triumvirato,
quello composto da Cesare, Crasso e
Pompeo, portò con sé, come descrisse
accuratamente Appiano: «Si narra che,
fatto il censimento dei cittadini, si
trovo che essi erano ridotti alla metà
di quanti erano prima della guerra: a
tali termini aveva ridotto l’Urbe l’amor
di contesa di questi due uomini».
In seguito un senso di incertezza
capeggiava tra le legioni, soprattutto
all’interno delle mura della Curia
romana, ormai sempre più priva di un
reale potere politico. Tutto ciò portò a
conseguenze su larga scala, che
coinvolse anche la plebe urbana
particolarmente legata al mito di
Cesare, e che fu elemento
destabilizzante necessario per demagoghi
senza scrupoli. È una Roma già scossa
dalla morte dell’amato Giulio Cesare,
ucciso nel 44 a.C. per mano della stessa
classe senatoriale, quella che si
appresta il 26 novembre del 43 a.C. a
consegnare l’imperius maius ai
tre generali romani.
In particolare, Marco Antonio si
distinse al fianco di Giulio Cesare, e
questo lo portò ragionevolmente a
pensare di esserne il papabile
successore; ma come ci racconta Svetonio
le cose andarono diversamente: «Dietro
richiesta del suocero Lucio Calpurnio
Pisone Cesonino venne aperto il suo
testamento, di cui fu data lettura nella
casa di Antonio. Cesare lo avevano
redatto nelle ultime idi di settembre,
nella sua tenuta di Lavico, e lo aveva
affidato alla Vergine Vestale Massima.
Quinto Tuberone riferisce che, a partire
dal suo primo consolato sino all’inizio
della guerra civile, Cesare era solito
designare per iscritto come erede Cneo
Pompeo e così era stato letto anche ai
soldati durante un’adunata. Nell’ultimo
testamento, invece, istituì eredi i tre
nipoti per parte di sorelle, Caio
Ottavio per i tre quarti, Lucio Pinario
e Quinto Pedio per il restante quarto.
Quanto a Caio Ottavio, in un codicillo
in calce alla tavoletta testamentaria,
lo aveva adottato ad entrare a far parte
della sua famiglia e ad assumere il suo
nome; parecchi dei suoi assassini erano
stati da lui nominati tutori di un
eventuale figlio che gli fosse potuto
nascere. Decimo Bruto era addirittura
tra gli eredi in secondo grato. Lasciò
al popolo i suoi giardini presso il
Tevere e trecento sesterzi a persona».
La presa di posizione verso un qualunque
schieramento risultò maggiormente
necessaria dal momento che il Senato,
spoglio della sua forza politica, fu
costretto sempre di più a delegare ai
capi militari la difesa di quello che
era oramai rimasto solo un nome: la
Repubblica.
I rapporti tra Ottaviano e Antonio
Come già trattato ampiamente in
premessa, vi era un forte malcontento da
parte di Antonio per non essere stato
insignito come erede naturale del
generale con cui aveva condiviso i campi
di battaglia, il tutto a discapito di un
giovane sulla carta ancora troppo acerbo
per conoscere appieno le dinamiche di
potere; e inoltre esso si trovava
fisicamente distante dall’Urbe, in
quanto mandato a studiare, come era in
uso all’epoca nell’alta aristocrazia
romana, presso le migliori scuole
ellenistiche. Dalla sua il giovane
Ottaviano accorso da Apollonia, dove
soggiornava come detto per studio, e
alla notizia della morte di Cesare si
recò immediatamente a Roma nel tentativo
di perseguitare i cesaricidi, ma
soprattutto per avocare a sé oneri e
onori della donazione testamentaria
lasciatagli da Giulio Cesare.
In questo
senso, molto interessante è la
descrizione della lettura del testamento
fatta da Plutarco: «La situazione era
a questo punto, allorché giunge a Roma
il giovane Cesare, figlio di una nipote
del defunto, come si è detto, il quale
lo aveva lasciato erede delle sue
sostanze; egli soggiornava ad Apollonia
al momento dell’assassinio di Cesare.
Subito, dopo aver salutato Antonio come
amico di suo padre, egli fece memoria
del denaro che aveva in deposito presso
di sé: doveva difatti dare
settantacinque dramme ad ogni Romano,
come aveva lasciato scritto Cesare nel
suo testamento. Antonio sulle prime non
ne fece nessun conto, trattandosi di un
ragazzo; disse che non era sano di mente
se si prendeva sulle spalle, privo
com’era di giudizio e di amici, il
pesante fardello della successione di
Cesare. Il giovane non gli diede retta,
ma insistette nel reclamare il denaro; e
Antonio tirò in lungo dicendo molte cose
e facendo molti atti offensivi contro di
lui».
Rimane
chiaro, quindi, quanto il rapporto tra
Antonio e il Senato fu sin da subito
alquanto burrascoso, e soprattutto con
la figura di Marco Tullio Cicerone, il
quale funse sicuramente da innesco alle
vicende che si susseguirono. Con le
famose Filippiche, pronunciate
dal settembre del 44 a.C. all’aprile del
43 a.C,. ricche di un crescendo di
attacchi diretti ad Antonio, in risposta
a un’ altrettanta forte invettiva fatta
dal generale nei suoi confronti durante
un assemblea; fu di particolare
importanza il discorso che Cicerone fece
durante
la seduta del senato del 20 dicembre 44,
presso il Tempio della Concordia (III
Filippica).
Ormai era sempre più limpido per il
Senato come la figura di Antonio fosse
una minaccia per la Repubblica,
soprattutto per il crescendo dei
consensi presso le sue legioni. Ecco che
nella scena politica dell’Urbe, fa per
la prima volta il suo ingresso il
diciannovenne pronipote di Cesare:
Ottaviano.
Cicerone si sofferma a lungo sul
comportamento da hostis di
Antonio, volendo indurre il senato a
dichiararlo hostis publicus, cioè
nemico della patria, utilizzando ogni
argomento per rendere visibile a tutti
l’enorme distanza che divide lo
scellerato Antonio dall’audace
Ottaviano, e inoltre per legare
indissolubilmente quest’ultimo alla
nuova politica di difesa della
Repubblica.
«Ecco dunque compresa in questa mia
proposta che ha, lo sento, la vostra
approvazione, la totalità dell’attuale
situazione: agli eminenti generali
confermiamo ufficialmente poteri legali,
ai valorosi soldati facciamo balenare la
speranza di ricompense e riconosciamo
non già con un giudizio verbale ma con
la concretezza dei fatti che Antonio,
oltre a non essere più console, è pure
nemico pubblico».
È proprio in questa orazione appena
citata che si può apprezzare l’arte di
Cicerone, che riuscì a mettere in crisi
i senatori costringendoli a una
difficile scelta tra libertà o
schiavitù, e quindi tra Ottaviano o
Antonio.
.
Busto di Marco Antonio 82-30
a.C., Musei Vaticani, Città del Vaticano
.
Busto di Cicerone 106- 43 a.C.,
Musei Vaticani, Città del Vaticano
Al rifiuto di Antonio di accettare le
volontà del defunto Dictator,
Ottaviano iniziò a lavorare per alienare
simpatie ad Antonio, facendo leva sia
sul proprio nome sia sul risentimento
che molti provavano verso l’ex generale
di Cesare. Nell’ottobre del 44 a.C.,
Antonio ruppe l’armistizio con Ottaviano
e si preparò a far giungere in Italia le
legioni stanziate in Macedonia.
Ottaviano sebbene non avesse l’autorità
per farlo, contando solo sul nome che
portava, chiamò a raccolta i veterani
cesariani che accorsero a migliaia;
anche alcune delle legioni della
Macedonia passarono dalla sua parte.
Antonio cercò, allora, di farlo
dichiarare nemico pubblico dal Senato,
ma senza esito. Come si accennava in
precedenza, Cicerone schierato
apertamente con Ottaviano pronunciò ‘la
terza e la quarta Filippica’ contro
Antonio; lanciando poi diversi appelli
ad agire contro quest’ultimo, accusato
di aspirare alla dittatura. Alla fine
Cicerone riuscì a far schierare il
Senato, che annullò le leggi fatte
varare di recente con la forza da
Antonio; compresa quella con cui si
attribuiva il governo della Cisalpina,
senza però incrinare del tutto i
rapporti con Antonio, ma conferendo al
contempo l’Imperium a Ottaviano.
Nel frattempo, era iniziata la
cosiddetta guerra di Modena; Marco
Antonio cingeva d’assedio la città di
Modena, dove si era arroccato Bruto.
Antonio si mostrò disposto a scendere a
compromessi col Senato, ma quest’ultimo,
aizzato dalla campagna denigratoria di
Cicerone, decise di annullare la
legislazione di Antonio, proclamando lo
stato d’emergenza nel febbraio del 43
a.C. Ottaviano però fece annullare la
sentenza, che aveva dichiarato Antonio
nemico pubblico dello Stato e strinse
un’alleanza con lui, grazie soprattutto
alla mediazione di Marco Emilio Lepido.
L’episodio è raccontato da Svetonio: «Quando
nei pressi di Bologna si
riunirono le truppe dei triumviri,
un’aquila, posàtasi sulla sua tenda,
sopraffece e gettò a terra due corvi che
la attaccavano da una parte e
dall’altra: tutto l’esercito intese che
un giorno o l’altro ci sarebbe stata tra
i colleghi quella discordia che poi
effettivamente ci fu, e ne presagì
l’esito».
Così, con la lex Titia del 43 a.C
nasceva il secondo triumvirato.
L’accordo non fu avaro di vittime
illustri, grazie alle famigerate liste
di proscrizione; difatti come
prevedibile, Antonio chiese la morte di
Cicerone. «Infine, sacrificando
all’ira verso coloro che odiavano il
rispetto verso i parenti e l’affetto
verso gli amici, Cesare abbandonò
Cicerone ad Antonio e Antonio a questi
Lucio Cesare, che era suo zio materno».
Ragionevolmente in un primo momento
l’azione di Ottaviano può apparire come
un atto di vero e proprio tradimento,
non ha esitato infatti a consegnare
nelle mani del suo aguzzino colui che si
spese per eleggerlo; d’altra è
importante comprendere la lungimiranza
di un giovane, ma astuto Ottaviano, che
se da una parte ritiene necessario
acconsentire alle richieste di Antonio,
esso infatti è conscio che sarà
inevitabilmente soltanto lo scontro
bellico a fare chiarezza tra i due, ma
in quel momento non ha ancora né la
forza politica né quella militare per
affrontare il vecchio generale.
È opportuno rammentare inoltre come lo
stesso Cicerone non avesse un futuro
idilliaco per il futuro Cesare: «Decimo
Bruto saluta Marco Cicerone […]. Mi sono
pervenute molte voci […]. Cesare stesso
non si sarebbe affatto lamentato di te,
se non per una frase che, secondo lui,
tu avresti pronunciata: ”Quel giovane
deve essere lodato, riempito di onori e
tolto di mezzo”».
Descrizioni che diventano estremamente
importanti per comprendere quale fosse
il clima che si respirava nella Roma
dell’epoca.
Negli anni che si susseguirono alla
battaglia di Filippi, l’interesse di
Antonio si rivolse principalmente verso
Oriente; in particolar modo, l’intento
fu quello di portare avanti quella
campagna militare contro i Parti precedentemente
progettata da Giulio Cesare.
Intanto con la “Pace di Brindisi”,
Ottaviano e Antonio rafforzarono la
propria alleanza anche attraverso il
matrimonio di Antonio (rimasto vedovo di
Fulvia) con Ottavia, sorella del figlio
adottivo di Cesare. Ma è in questo
contesto che si affaccia o meglio si
riaffaccia la figura di Cleopatra, che
già in passato stregò un integerrimo
generale come Giulio Cesare e che riuscì
ad ammaliare lo stesso Marco Antonio:
«E
infatti, come raccontano, la sua
bellezza in se stessa non era
incomparabile o tale da stordire quelli
che la vedevano, ma la sua compagnia
aveva una presa irresistibile.
Nell’insieme l’aspetto, il fascino della
conversazione, il suo modo di trattare
con gli altri, lasciavano il segno».
Cleopatra, Aegypti reginarum novissima
Ultima regina discendente della stirpe
tolemaica (figlia del faraone Tolomeo
XII) con cui si conclude il periodo
ellenistico, ebbe seppur in maniera
inconsapevole una grande responsabilità
nelle vicende che portarono alla caduta
della Repubblica, un fattore decisivo
probabilmente fu la leggendaria bellezza
con la quale riuscì a circuire le
volontà di Cesare prima e Antonio poi.
.
Busto marmoreo raffigurante la regina
Cleopatra,
databile tra il 50 e il 38 a.C., Altes
Museum, Berlino
Alla morte del padre Tolomeo XII
Cleopatra salì al trono insieme al
fratello minore, Tolomeo XIII;
successivamente, a seguito della guerra
civile alessandrina (48-47
a.C.), regnò congiuntamente
all’altro fratello, Tolomeo XIV, fino
alla morte di questi nel 44 a.C.; infine
con il figlio maggiore.
E quindi opportuno ritenere, che ebbe in
qualche maniera la necessità di avere al
suo fianco una figura maschile che
l’appoggiasse nel governare.
Ebbene però ricordare, che nonostante la
veste ufficiale non contemplasse che a
ricoprire la carica più importante fosse
una figura femminile, ella riuscì con
alte capacità diplomatiche a risolvere
alcune questioni molto importanti per
l’Egitto.
Riuscì a riunificare gli antichi domini
dei Tolomei, riannettendo Cipro; tra il
41 e il 40 a.C., riuscì a prendere
possesso della storica regione contesa
della Cilicia, inoltre, per controllare
i propri confini nei nuovi territori in
Asia minore, Cleopatra strinse
un’alleanza con un monarca locale,
Tarcondimoto, e nominò una regina nella
città-tempio di Olba, Aba.
Riuscì ad
avere l’appoggio di Giulio Cesare
durante i disordini interni relativi
alla successione con il fratello Tolomeo
XIII, e proprio durante il soggiorno in
Egitto i due ebbero una relazione da cui
nacque Cesarione
«Poiché in realtà Cleopatra possedeva
tutto il potere da sola, dal momento che
suo marito era ancora solo un ragazzo e
grazie al favore di Cesare, non c’era
nulla che lei non potesse fare». Fu
probabilmente la sua influenza durante
il soggiorno a Roma a seguito
dell’invito di Cesare il quale non si
preoccupò di indispettire la popolazione
con la sua presenza, che la popolarità
di Cesare inizio a creare malumori
sempre più forti.
L’incontro di Tarso
Giunto a Tarso, in Cilicia, nel sud
dell’attuale Turchia, Antonio decise di
convocare Cleopatra. Egli voleva
incontrare la regina egizia per ragioni
economiche e politiche: aveva bisogno di
finanziamenti e di un’alleanza per
sfruttare la posizione strategica del
Paese, essenziale per i suoi progetti.
Anche a Cleopatra conveniva mantenere
buone relazioni con il possibile
rappresentante di Roma, per consolidare
la sua posizione sul trono e, se
possibile, per estendere il suo regno.
Perciò, conoscendo il fascino che
esercitava su Marco Antonio la cultura
ellenistica, organizzò un’apparizione di
grande effetto. Cosi racconta Plutarco:
«Si mise a risalire il fiume Cidno su
un battello dalla poppa dorata, con le
vele purpuree spiegate, mentre i
rematori vogavano con remi d’argento al
suono del flauto, accompagnato da
zampogne e cetre».
Sicura del suo fascino predispose tutto
affinché lasciasse il segno in Antonio:
«Ella, persuasa da Dellio e
giudicando dal tipo di rapporti che,
grazie alla sua bellezza, aveva avuto
con Cesare e con Gneo, figlio di Pompeo,
sperò di catturare molto facilmente
Antonio». Lo stesso scrittore greco
ci informa, che di Cleopatra si
apprezzasse non solo la decantata
bellezza quanto soprattutto le sue
capacità di interloquire con chiunque
utilizzando svariati idiomi. Inoltre
adulava gli astanti con atteggiamenti
non propriamente tipiche di una regina
come il giocare a dadi, riuscendo a
mettere tutti al proprio agio e
indirizzando a se ogni attenzione.
Dopo la riuscita operazione della
conquista dell'Armenia nel
34 a.C. da parte di Antonio, in quella
che sarebbe dovuta essere l’imperiosa
spedizione partica grazie anche
all’apporto logistico dell’esercito di
Cleopatra. Marco Antonio decise di
celebrare il proprio trionfo nella
capitale egiziana, ALessandria,
nonostante esso potesse aver luogo
unicamente all’interno delle mura dell'Urbe e,
elemento essenziale, solo previa
autorizzazione del Senato. Ciò che
probabilmente risultò maggiormente
offensivo per il Senato fu la cerimonia
organizzata dal condottiero romano, atta
a conferire il titolo di reggenti di
Cipro a Cleopatra e al figlio Cesarione,
e il provvedimento ancor più grave fu
quello con cui spartiva i domini
orientali della Repubblica, che gli
erano stati affidati in gestione con gli
accordi del secondo triumvirato fra i
suoi tre figli nati dalla relazione con
la regina tolemaica.
«Tuttavia l’indegnità che più
dispiaceva ai Romani erano gli onori
resi a Cleopatra».
Ottaviano ebbe una serie di
corrispondenze con Antonio al fine di
trovare una possibile soluzione
rimarcando la sua posizione di Pater
Patriae, ma Antonio non reagì con
diplomazia come ci riporta Svetonio:
«Che cosa ti ha cambiato? Il fatto
che mi accoppio con una regina? È mia
moglie. Non sono forse nove anni che
iniziò? E tu ti accoppi solo con
Drusilla? E così starai bene se quando
leggerai questa lettera, non ti sarai
accoppiato con Tertullia, o Terentilla,
o Rufilla, o Salvia Titisenia o tutte.
Giova forse dove e con chi ti accoppi?».
Fu necessario da parte di Ottaviano
forzare la mano con il Senato, colse
quindi l’occasione di uno stato d’animo,
quello del Senato, indignato
e allarmato e decise di forzarne le
decisioni e, dopo aver corrotto alcuni
funzionari, si impossessò del testamento
del rivale e lo lesse pubblicamente
all’assemblea scatenandone la prevista
reazione. Il senato e il popolo di Roma
proclamarono Marco Antonio «nemico della
patria», e, decisi ad evitare che si
parlasse di guerra civile, dichiararono
guerra a Cleopatra e all’Egitto. È lo
stesso Ottaviano a descrivere la totale
lealtà dei romani nei suoi confronti:
«
L’Italia intera di suo proprio volere mi
giurò fedeltà e volle me come capo nella
guerra che vinsi ad Azio; parimenti mi
giurarono fedeltà le provincie di
Gallia, di Spagna, l’Africa, la Sicilia,
la Sardegna».
Alla fine di settembre del 32 a.C. Antonio
e Cleopatra trasferirono il loro
quartier generale a Patrasso,
minacciando direttamente la penisola
italiana. La scelta era ottima perché il
golfo su cui sorge la città era
protetto, in direzione dell’Italia,
dalle isole di Leuca e Cefalonia.
Il 2 settembre del 31 a. C. tutto era
pronto per lo scontro definitivo nella
baia di Azio (l’attuale Aktio), le forze
navali dislocate furono imponenti:
Antonio riuscì a schierare non meno di
cinquecento navi da guerra, in
particolare molte poliremi a “otto” e a
“dieci” rematori per ogni remo, classe
di unità sviluppata durante il periodo
ellenistico intorno al IV sec. a.C.. Si
trattava di navi da guerra concepite non
più per un conflitto tra esse, cercando
quindi lo speronamento e il successivo
affondamento, bensì orientate a una
battaglia che avveniva tra soldati
successivamente alla manovra di
abbordaggio.
.
Documento iconografico della trireme nel
rilievo scoperto da Charles Lenormant nel
1852,
Museo
dell'Acropoli,
Atene
Al seguito vi erano centomila fanti e
dodicimila cavalieri estremamente fedeli
ad Antonio, e in tal senso, il suo
atteggiamento, forse ispirato da Giulio
Cesare, portò ad avere un gran consenso
tra i soldati:
«D’altra parte anche quegli
atteggiamenti che agli altri sembravano
volgari, il vantarsi, lo scherzare, il
bere in pubblico, il sedersi presso chi
pranzava e il mangiare in piedi alla
mensa militare, ispiravano ai soldati
un’affezione e un attaccamento
straordinari».
È tuttavia necessario soffermarsi anche
su quell’attività che oggigiorno
definiremo di intelligence,
ovvero quella posta in essere in
particolar modo durante le guerre civili
gestiti da comandanti militari che
crearono una rete di servizi informativi
costituita da soldati, liberti e amici a
loro fedeli, anticipando organizzazioni
destinate a diventare istituzionali nel
periodo Augusteo. Esse servirono a fare
il punto della situazione, circa
l’armamento e la possibile strategia
adottata, nonché a carpire l’umore delle
legioni fedeli ad Antonio. In appoggio
alla flotta romana vi era anche le nave
ammiraglia della flotta egizia l’“Antoniade”,
nella quale a bordo vi era la regina
Cleopatra e dove avvenne un fatto
particolarmente significativo
specialmente per la rinomata scaramanzia
romana:
«(…) su quella nave apparve un
presagio terribile: delle rondini
avevano fatto il nido sotto la poppa e
altre sopraggiunte scacciarono queste e
ne uccisero i piccoli».
Vi fu inoltre l’apporto di un cospicuo
numero di navi egizie a supportare dal
punto di vista logistico la spedizione.
Al conflitto si unirono anche il re
Bocco di Libia, Tarcondemo della Cilicia,
Archelao di Cappadocia, Filadelfo di
Plafagonia, Mitriade di Commagene e
infine Sadala di Tracia, tutti
interessati da uno stretto legame di
interessi con Antonio. Su terraferma
l’esercito Antoniano consolidò la sua
posizione, occupando tutti i punti
strategici importanti. Iniziando a sud
da Cirene nel Nordafrica, da cui
partivano i rifornimenti di grano e
viveri, fino a Patrasso (il quartier
generale) e proseguiva a nord verso Azio,
davanti al golfo d'Ambracia e con
l’isola di Leuca a vista d’occhio, per
finire poi sull’isola di Corfù.
Utilizzando la popolazione locale per il
trasporto dei rifornimenti, come
racconta Plutarco riferendosi al suo
bisnonno Nicarco cittadino di Cheronea
patria dello scrittore greco.
Non fu chiaro perché Antonio nonostante
le altissime abilità nel combattimento
terrestre, e con un notevole numero di
legionari peraltro in un contesto
geografico a lui noto e congeniale, si
avvalse di una scadente flotta. Resta
come plausibile la spiegazione di una
forte dipendenza che la Regina d’Egitto
aveva su di lui e che Plutarco definì
φοβερό κακό (terribile male).
Ottaviano incoraggiato dai successi
ottenuti radunò a Brindisi tutte le
truppe di cui disponeva, e forte
dell’appoggio dell’establishment
romano, si imbarcò con rotta verso le
coste di Azio dove vi era il grosso
della flotta rivale (in quel momento
Antonio si trovava nel Peloponneso);
l’intento fu quello di convincere parte
dei soldati a sposare la sua causa. Al
momento della partenza la flotta contava
centocinquanta navi e ottantamila fanti,
e, nonostante la giovane età e la scarsa
esperienza maturata sui campi di
battaglia, il futuro Augusto abile
stratega in campo politico seppe
affidarsi ad abili ed esperti
collaboratori come il navarchus
Marco Vipsanio Agrippa, già vincitore di
numerose battaglie navali.
Fu chiaro sin da subito che la scelta di
Antonio di affidarsi a una battaglia
navale fu alquanto sconveniente, difatti
ebbe non poca difficoltà a reclutare il
personale necessario per armare le navi.
Ciò gli fu chiaro, soprattutto, quando
con l’avvicinarsi della flotta di
Ottaviano egli dovette utilizzare lo
stratagemma di illudere che le proprie
navi erano alla fonda pronte allo
scontro, quando la realtà appunto era
ben diversa; infatti non vi erano
sufficienti rematori, ma tuttavia
riuscirono a escludere lo scontro
alzando i remi e dando così
l’impressione che erano perfettamente
equipaggiate.
Il futuro Cesare ingannato da questo
stratagemma si ritirò in attesa del
momento propizio. Intanto, vi furono le
prime defezioni in favore di Ottaviano:
Domizio fu il primo tra le fila
dell’esercito antoniano, ma presto
seguirono i re Aminta e Deiodaro,
accorsi in un primo momento in suo aiuto
ma forse già consci dell’esito finale
della battaglia. Dopo l’abbandono del
comandante delle forze di terra Canidio,
proprio mentre si attentava alla vita di
Antonio senza successo, fu chiaro che
ormai l’imminente scontro in mare era
necessario. Probabilmente l’intento di
Antonio persuaso da Cleopatra, come
riporta Plutarco, era il pianificare una
possibile fuga dal campo di battaglia;
ecco perché nonostante il consiglio dei
suoi piloti, portò con se le vele non
necessarie ad affrontare il nemico vista
la scarsità di manovra.
Dopo quattro giorni di condizioni meteo
marine sfavorevoli le flotte mossero
l’una verso l’altra, e Antonio, a bordo
di una piccola barca, tentava con tutte
le forze di esortare i propri soldati a
combattere come in terra ferma, vista la
totale assenza di moto ondoso; mentre ai
piloti disponeva di non manovrare le
unità, ma di prepararsi allo scontro che
sarebbe avvenuto di lì a breve tramite
l’utilizzo del famigerato rostro in
bronzo. Quest’arma letale, che secondo
Plinio il Vecchio risaliva a un
invenzione dell’etrusco Piseo, ebbe un
forte impatto anche dal punto di vista
simbolico; esso infatti fu spesso
riportato su materiale marmoreo come
simbolo di vittoria.
.
Rostro marmoreo, Museo di Lipsia
Particolarmente ricca di simbolismo
l’immagine rinvenuta all’interno dell’Ara
Pacis, dove vi è una
rappresentazione di un rostro
accompagnato da più teste di divinità,
con la chiara allusione alla vittoria di
Azio grazie alla clemenza e alla
devozione religiosa, e con infine
l’immagine netta della testa di un lupo
a richiamare la grandezza di Roma.
Quanto sia condizionante per la vita dei
romani la superstizione è ormai noto, ma
risulta indispensabile anche a
suggellare una grandiosa impresa: è il
caso dell’incontro che ebbe Ottaviano
con un uomo che conduceva un asino, il
quale disse di chiamarsi Fortunato e il
suo animale Vincitore, anche in questo
caso a indicare quale sarebbe stato
l’esito dello scontro. Intanto la
battaglia proseguì e il futuro Cesare si
tenne a circa 200 mt di distanza in
attesa della prima mossa, ma verso
mezzogiorno, quando fu possibile avere
il favore di vento, la flotta di
Antonio, forte di unità possenti, mosse
l’ala sinistra del fronte navale, così
che il fronte di Agrippa approfittando
di unità più agili e veloci
indietreggiarono per poi accerchiare il
nemico.
Non vi fu nessun scontro come
inizialmente prevedibile, ma un attacco
in modalità di abbordaggio accerchiando
le unità mentre i soldati lanciavano
frecce o dardi infiammati. Esistevano
vari sistemi per l’abbordaggio in
funzione della situazione meteo-marina e
strategica, ma sicuramente tra i più
efficaci vi era quello di utilizzare una
il Corvus: ovvero una passerella
di circa dieci metri munita di due
uncini, che servivano a “uncinare”
l’unità nemica e permettere il trasbordo
per il successivo scontro corpo a corpo.
Ad affiancare le navi da guerra più
grandi, vi erano poi delle unità
caratterizzate per il loro colore blu
con l’intento di mimetizzarsi con il
mare: le scaphae exploratoriae.
Esse esercitavano la funzione di
ricognitori, ovvero si avvicinavano il
più possibile alle unità nemiche,
tentando di carpire informazioni utili
come il numero di navi, la rotta o
l’armamento di cui erano dotate. Anche i
classiarii di bordo, ovvero i
militi di bordo che vestivano con abiti
di colore blu e non veniva tralasciato
nessun dettaglio come le cime di bordo e
le vele. Proprio ad Agrippa invece viene
attribuito lo sviluppo dell’Harpax,
proprio durante le guerre civili, si
tratta di
una catapulta che lanciava grappoli di
arpioni, utilizzata per bloccare una
nave nemica. Essa era più efficiente
rispetto al vecchio corvo perché,
pesando molto meno, evitava di ribaltare
le navi.
La presunta fuga
L’esito della battaglia risultava ancora
incerto, Agrippa era riuscito
astutamente ad accerchiare, grazie a una
manovra detta periplous le unità
sul fronte sinistro, quelle al comando
del fedelissimo di Antonio, Publicola;
quando improvvisamente si videro
sessanta navi abbandonare repentinamente
il teatro della battaglia con stupore
degli stessi nemici. Le navi erano
quelle di Cleopatra, che fuggivano in
direzione del Peloponneso, decise ad
abbandonare la restante flotta di
Antonio, che non tardò a seguirla con lo
sconcerto di tutto il suo esercito che
lo aspettò invano per giorni combattendo
con estremo coraggio.
Non è chiaro se vi fosse un piano
iniziale di fuga o se la scelta di
Antonio fu dettata da uno stato d’animo
che Plutarco definì così:
«(…) l’anima dell’innamorato vive in
un corpo altrui».Verosimilmente
però la fuga di Cleopatra fu un piano
alternativo, messo in atto per
permettere di forzare il blocco della
flotta nemica evitando così una sicura
disfatta.
Durante la fuga Cleopatra riconobbe, a
bordo di una quinquereme accompagnato da
Siro Alessa e da Scellio, Antonio che si
avvicinò e salì a bordo e, conscio
dell’onta che gravava su di lui per aver
abbandonato il suo esercito rimase solo
a prua per tutta la durata della
navigazione fino a Tenaro. Giunti quindi
in Libia fu informato che la flotta era
stata distrutta ma che l’esercito
resisteva compatto, pertanto decise di
inviare un messaggio a Canido,
ordinandogli di ritirarsi
frettolosamente in Macedonia.
Il risultato fu che in quattro ore di
battaglia furono catturate da parte di
Ottaviano circa trecento navi e
diciannove legioni, che rimasero sette
giorni in attesa del ritorno del loro
Comandante prima di passare al
vincitore. Antonio dopo aver fatto
partire Cleopatra in direzione di
Alessandria ebbe un vero tracollo
emotivo dove tentò di uccidersi, per
questo coloro che gli erano vicini lo
portarono da Cleopatra; intenta a
organizzare una possibile fuga via mare
verso l’Asia, ma i Nabatei anticiparono
i suoi progetti e bruciarono le unità
ormeggiate.
Antonio, intanto, resosi conto della
dissoluzione delle sue legioni si
appartò presso la residenza da lui
stesso fatta costruire presso l’isola di
Faro, chiamata Timoneo in onore di un
personaggio greco a cui egli stesso
tentava di emularne lo stile di vita.
Successivamente fu accolto da Cleopatra
nella sua reggia ad Alessandria dove in
un delirio di estasi si diedero a
banchettare con festeggiamenti, che
durarono molti giorni; e fu proprio in
quest’occasione che formarono
un’associazione dal nome quasi profetico
“Compagni di morte”.
I figli di Cleopatra, in particolare
Cesarione, raggiunta l’età adulta venne
mandato presso efebia, una scuola
ad Atene dove vigeva un sistema
educativo di tipo militare. Azione,
questa, importante perché tentarono di
pianificare quelle che saranno le loro
ultime azioni, cercando quindi di
salvare da morte certa gli eredi, e in
particolare Cesarione, che non solo
legava la stirpe egiziana con quella
romana ma, cosa ancora peggiore per il
Senato romano, possibili pretese
dell’erede di Giulio Cesare. Ciò che
avvenne dopo è intuibile, Ottaviano
ormai consapevole che non poteva
permettere una possibile rivalsa di
Antonio, prosegui la spedizione in
direzione dell’Egitto; tentando anche di
persuadere Cleopatra, con la promessa di
mantenerla a capo dell’Egitto se avesse
ucciso o scacciato Antonio.
Trascorso l’inverno, il futuro Cesare
avanzò attraverso la Siria, e tentando
di stringere Antonio in una morsa, fece
muovere i suoi generali dalla Libia
anch’essi verso l’Egitto; continuando
pur sempre in una mediazione con la
regina, anche in virtù dei grandi tesori
che ella deteneva e che Ottaviano aveva
il timore che potessero andare perduti.
Antonio ebbe un sussulto di gloria,
quando sentito il nemico alle porte
riuscì a farlo indietreggiare fino ai
loro accampamenti, ma si trattava di un
fuoco di paglia. Durante la notte fra il
trentuno luglio e il primo agosto del 30
a.C. in attesa dello scontro finale, si
racconta, che si udirono rumori di danze
dionisiache e il clamore di una folla,
che dalla città procedeva verso il campo
nemico probabilmente a voler
definitivamente segnare l’abbandono del
dio Dionisio, a cui tanto si ispirò la
vita di Antonio.
Al sorgere del sole, Antonio dispose la
fanteria sui colli di fronte alla città
e le navi pronte a salpare in direzione
del nemico, ma come prevedibile alla
vista delle navi cesariane i marinai si
salutarono con i remi e giunti vicini a
quelli di Ottaviano passarono con loro,
contestualmente anche la cavalleria
abbandonò il generale che ormai
sconfitto si ritirò all’interno delle
mura della città.
Ormai privo di qualunque appoggio fu
preso dall’ira verso Cleopatra pensando
a un tradimento, incominciò un a inveire
contro di lei, così la regina rendendosi
conto della disfatta chiuse i varchi del
palazzo e disse ai suoi servi di
annunciare la sua morte, alla quale
Antonio reagì con sconforto per non aver
avuto anch’egli lo stesso coraggio:
«O Cleopatra, non mi lamento d’esser
privato di te, perché tosto arriverò
nello stesso luogo dove sei tu, ma
perché io, che sono un comandante tanto
grande, mi sono rivelato inferiore a una
donna per la forza d’animo».
Dopo un fallito tentativo di suicidio in
cui si procurò comunque una grave
ferita, Antonio ricevette la notizia che
la regina era in realtà ancora
viva, e quindi si fece prontamente
portare da lei; e in uno struggente
colloquio esortò Cleopatra a salvarsi in
maniera onorevole. Ma ormai Cleopatra
sembrava intenta a pensare soprattutto
alla morte, e per questo saggiava le
potenzialità letali dei veleni di varie
specie di serpenti sui condannati alla
pena capitale. La mediazione a questo
punto del destino della sola Cleopatra,
venne portata avanti da Ottaviano per il
tramite di Proculeio, l’intento sarebbe
stato quello di evitare, mediante
l’intervento di questo cavaliere
coadiuvato da Cornelio Gallo “praefectus
fabrum”,
che la regina si togliesse la vita; ma
Cleopatra non voleva mettersi nelle mani
di Ottaviano, ribadendo la richiesta di
concedere l’Egitto ai suoi figli.
Proculeio forzo l’edificio in cui
Cleopatra si era rinchiusa; penetrato
all’interno e impedì a Cleopatra di
trafiggersi. Dopo l’entrata ad
Alessandria di Ottaviano, nel giorno del
suicidio di Antonio, inizia un vero e
proprio periodo di deperimento e di
malattia per Cleopatra, che solo la
minaccia di ritorsioni verso i suoi
figli la fanno desistere alle cure.
Infine, si svolge ancora un incontro tra
Ottaviano e la regina, nel quale
Cleopatra giustifica le sue azioni
contro Ottaviano imputandole al solo
Antonio, e piegandosi così alla clemenza
del futuro Cesare. Tuttavia,
successivamente la regina apprese da
Cornelio Dolabella che Ottaviano, in
realtà, era intenzionato a condurla
assieme ai figli a Roma per il trionfo;
proprio questa notizia sarebbe stata la
molla che spinse Cleopatra al suicidio.
Quindi, dopo un’ultima visita alla tomba
di Antonio, Cleopatra assieme alle
ancelle Ira e Carmione, per mezzo di un
aspide, il famoso cobra egiziano
portatogli da un servo e nascosto in un
cesto sotto le foglie di fico, si
suicidano. Nonostante sia ormai
consolidata la narrazione della morte di
Cleopatra, Plutarco stesso ci rende
edotti della mancata univocità della
tradizione:
«Altri dicono che l’aspide fosse
custodito in un orcio e che quando
Cleopatra lo irritò con un fuso d’oro,
saltò fuori e le si attaccò a un
braccio. Ma nessuno conosce la verità».
Tirando le somme, va notato che le
narrazioni delle fonti in relazione ai
fatti forse hanno una rappresentazione
decisamente diversa dall’idea collettiva
di amore incondizionato tra Antonio e
Cleopatra. Se per Ottaviano la volontà o
necessità era quella di impossessarsi
dell’Egitto, ovvero l’”annona” di
Roma, e di far morire Antonio; e
abbastanza chiaro, che vi fu una
compartecipazione da quella che divenne
probabilmente una vera e propria
complice, ovvero Cleopatra. Non e chiaro
se Cleopatra nelle intenzioni di
Ottaviano dovesse morire comunque, sia
pure in un secondo tempo, o se invece
potesse essere risparmiata. Le proposte
di trattativa in un primo tempo sono
inoltrate a Ottaviano, congiuntamente da
Antonio e Cleopatra, ma a un certo punto
le controproposte di accordo riguardano
solo Cleopatra.
Antonio
sembra essersi accorto di ciò,
nonostante non volle prendere o non fu
nella possibilità di prendere
provvedimenti drastici contro Cleopatra,
d’altronde si trovava ormai bloccato nel
regno tolemaico alla testa di un
esercito fedele a Cleopatra ben più che
a lui. Si è cercato di dimostrare che
sarebbe stato Ottaviano, legato a tale
simbologia, a inserire un serpente, tra
l’altro nel 63 a.C. proprio un serpente
avrebbe preannunciato la sua nascita
alla madre Azia, nella storia del
suicidio di Cleopatra; resta in effetti
il dubbio, soprattutto nelle modalità di
una morte di Cleopatra avvenuta per il
morso di un solo aspide, che dopo il
primo morso resta senza veleno, mentre
nelle fonti e attestata la contestuale
morte anche di Ira e Carmione. È
necessario tuttavia prendere in
considerazione che le fonti traggono le
informazioni da informazioni mediate lo
stesso Plutarco, coevo degli avvenimenti
(seppur poco più che dodicenne), ha la
necessità di esprimersi con pareri
soggettivi che necessariamente debbono
rispecchiare il volere del futuro Cesare
nella completa inosservanza di quella
che oggi definiremo
politically correct.
Riferimenti bibliografici:
Plutarco, Demetrio e Antonio vite
parallele, a cura di Osvalda Andrei
e Rita Scuderi, Rizzoli, Milano 2020.
Ottaviano Augusto, Res Gestae, a
cura di Lucia Canali, Mondadori, Milano
2019.
J.
Whitehorne, Cleopatras, Taylor &
Francis, Milton Park 2001.
Paul Zanker, Augusto e il potere
delle immagini, Bollati Boringhieri,
Torino 2018.
Geraci G., Marcone A., Fonti per la
storia romana, seconda edizione, Le
Monnier, Firenze 2020. |