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N. 94 - Ottobre 2015 (CXXV)

Studi Domenicani
Gli affreschi della Sagrestia della Basilica di San Domenico a Siena

di Camilla Moretti

 

La costruzione delle grandi chiese cominciò a Siena nel XII secolo, ma, per la maggior parte, il loro compimento è avvenuto tra il XV e XVI secolo circa.

 

Uno dei fatti più interessanti è che i Frati Predicatori si stabilirono a Siena dopo la visita del loro santo fondatore Domenico Guzman, nel 1217, e dopo la morte del santo nel 1221 e incontrata la benevolenza dei cittadini senesi, venne deciso di promuovere il progetto per la costruzione di un convento all’interno delle mura.

 

Entrando nella chiesa di San Domenico a Siena, si ha subito la percezione dei numerosi eventi che hanno segnato la grande basilica che oggi ci appare ricca di storia, opere d’arte e importanti reliquie della cristianità.

 

Molti studiosi hanno deciso di portare alla conoscenza del grande pubblico i tesori realizzati per la chiesa domenicana senese, ma per quanto riguarda la sagrestia e i suoi affreschi, non sono affatto numerosi gli studi che trattano l’argomento se non l’approfondito volume, tutto in lingua tedesca, del Die Kirchen von Siena.

 

In primo luogo risulta difficile ricostruire la storia architettonica della sagrestia e inquadrare criticamente gli affreschi della sua volta, poco studiati dopo i restauri degli anni novanta condotti dal restauratore fiorentino Giacomo Dini.

 

Per quanto concerne l’architettura, ciò che maggiormente ci interessa della sagrestia di San Domenico, è il carattere monumentale dell’ambiente: occupa infatti un grande spazio rettangolare tra il transetto destro e la cappella di Santa Caterina.

 

Oggi possiamo ammirarne le forme architettoniche della fine del trecento, non avendo l’ambiente subìto sostanziali modifiche dopo il 1383, a eccezione delle aperture che mettevano in comunicazione il vano con gli spazi adiacenti.

 

La sagrestia è citata per la prima volta nel Costituto del Comune di Siena dell’anno 1262, riferendosi con molta probabilità all’antica sagrestia – probabilmente coperta da due volte gotiche, una delle quali potrebbe essere la volta che tutt’oggi copre l’ambiente retrostante la cappella di Santa Caterina – individuabile nell’attuale Cappella della mantellata senese.

 

Durante lo svolgimento dei lavori trecenteschi della chiesa, la sagrestia fu ampliata e rinnovata fra il 1374 e il 1383 con lo scopo di creare un ambiente simmetrico e di dimensioni identiche alla cappella del Beato Ambrogio, la quale fu distrutta nel 1479 a quasi duecento anni dalla sua edificazione, situata sul fianco sinistro della navata della chiesa.

 

I lavori per la nuova sagrestia avvennero in concomitanza con l’arrivo della reliquia della testa di Santa Caterina da Siena nella sua città d’origine, reliquia conservata all’interno della nuova sagrestia dal 1385 fino al 1468, anno in cui venne finalmente spostata nella nuova cappella a lei dedicata.

 

Per quanto riguarda gli affreschi che decorano la volta, entrando all’interno della sagrestia monumentale non si possono non notare con stupore le ricche decorazioni, oggi purtroppo fortemente frammentate ma non per questo meno capaci di stupire il nostro sguardo.

 

La volta della nuova sagrestia venne affrescata alcuni anni dopo i rifacimenti conclusisi nel 1383. Degno di nota è il documento datato 1416 regestato nel manoscritto “Spoglio di Strumenti dal 1251 al 1506 volume XII” (Biblioteca Comunale degli Intronati – Siena, B.VI.12) il quale ci disvela un interessante aneddoto circa l’ingente donazione che permise l’ornamento della volta.

 

L’11 agosto del 1416, il cavaliere Domenico Monaldi ordinò nel suo testamento che 500 fiorini andassero al convento di San Domenico qualora le sue figlie e i suoi eredi fossero morti senza essersi sposati; i soldi dovevano essere impiegati per il cantiere della chiesa e gli ornamenti della sacrestia.

 

Il 12 novembre del 1426, Lena – figlia del cavaliere Monaldi – morì senza essersi sposata e i 500 fiorini d’oro andarono al convento. Tuttavia non sappiamo se questa somma venne realmente spesa per la decorazione della sagrestia ma ciò è altamente plausibile, perché dal punto di vista cronologico e stilistico è possibile che gli affreschi della volta siano stati realizzati non troppi anni più tardi.

 

Prima dell’opera di restauro della chiesa, avvenuta negli anni Novanta, la Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Siena e Grosseto, sotto la guida del Soprintendente Bruno Santi, condusse uno studio degli ornamenti che permise di datarli intorno al 1410 e di attribuirli al pittore Martino di Bartolomeo.

 

Le pitture originali – ricomparse dopo i restauri condotti dal 1994 al 1998 – non sono complete allo stato attuale, ma gli elementi raffigurati sono sufficienti per poter capire gran parte del complesso decorativo e figurativo. Nella volta sono affrescati i santi e i beati domenicani più cari all’ordine, raffigurati con le effigi che ne avevano caratterizzato la vita e l’operato religioso.

 

Al centro della volta sono rappresentate le due figure contrapposte di principale importanza: Cristo in trono e la Madonna. Entrambe le raffigurazioni sono in campo azzurro con stelle dorate, circondate rispettivamente da cherubini. Al centro della volta, sempre in campo azzurro, erano presenti sei medaglioni incorniciati da fasce circolari policrome – due per ogni lato lungo ed uno per il lato più corto – all’interno dei quali erano raffigurati beati e santi dell’ordine domenicano con aureole e fondo completamente dorati.

 

Due di queste figurazioni sono oggi ben conservate e visibili nella loro quasi completezza: il Beato Vincenzo (Ferrer) e la Beata Libania di Ungheria, entrambi identificabili grazie alle iscrizioni latine in lettere dorate che corrono nell’incorniciatura rossa dei medaglioni. L’iscrizione in latino posta nella cornice del medaglione in cui è inserita l’immagine della beata ungherese non lascia dubbi sulla sua identità, tuttavia non esistono documentazioni che accertino l’esistenza della Beata Libania di Ungheria.

 

L’analisi comparativa dei caratteri iconografici di Beata Libania con altre pale d’altare in cui sono rappresentati santi e beati domenicani, rende lecito supporre che si tratti di Margherita di Ungheria vissuta tra il 1442 e il 1470. Iconografia e iscrizione cozzano tra loro e sollevano nuovi interrogativi che si annullano alla luce dell’iscrizione, unica certezza incontestabile.

 

Alla sinistra del Cristo in trono troviamo un frammento della cornice policroma di uno dei sei medaglioni nel quale è presente l’iscrizione del beato che in passato vi era raffigurato, il Beato Enrico. Purtroppo non ci è pervenuto nessun frammento figurativo del beato a causa delle numerose lacune presenti nel ciclo, ma è possibile ipotizzare che si tratti del Beato Enrico di Suso (1295-1366), originario di Costanza.

 

Nei sottarchi della volta della sagrestia, a causa delle numerose lacune, è assai difficile capire chi fossero i dieci, tra santi e beati domenicani, raffigurati nelle unghie che incorniciano la volta. Oggi è possibile identificarne almeno due: la Beata Agnese Segni da Montepulciano (1274), riconoscibile grazie ad un’iscrizione in volgare posta sulla fascia che incornicia la volta, e il Beato Raimondo da Capua riconoscibile grazie a un’iscrizione in bianco molto frammentata sullo sfondo blu, posizionata alla sinistra del beato.

 

Attorno alla volta troviamo fasce decorate con motivi vegetali che sottolineano la divisione dello spazio; all’interno delle fasce vi sono motivi a rosetta e romboidali contenenti figure di profeti, ognuno dei quali tiene in mano un cartiglio che ne indica il nome.

 

La decorazione della volta è rifinita ulteriormente dalle fasce decorative che contornano le unghie dei sottarchi, caratterizzate dalla stessa decorazione floreale di colore verde e rosso, tono su tono, dell’intera sagrestia.

 

Diversamente dalle fasce attorno alla volta che contenevano rappresentazioni di profeti inscritti in formelle romboidali, troviamo al loro interno teste di carattere. Alla base della volta si alternano decorazioni a rosetta/testa di carattere/rosetta, mentre ai lati del sottarco troviamo due teste di carattere per parte.

 

Gli affreschi oggi superstiti sono stati attribuiti ad Agostino di Marsilio, documentabile come attivo a Siena dal 1440 circa al 1462, anno della sua morte. L’attribuzione all’artista bolognese è stata possibile grazie a numerosi confronti fatti con gli affreschi dell’artista nella volta del Pellegrinaio, presenti all’interno dello Spedale di Santa Maria della Scala di Siena e nel ciclo di affreschi della sala dell’Albero nel palazzo del comune di Lucignano della Chiana (AR).

 

Agostino, con molta probabilità, affrescò la volta della sagrestia pochi anni dopo il 1426 e osservando in maniera più attenta gli affreschi, si può notare che, per quanto riguarda la decorazione delle due unghie sopra l’entrata adiacente alla Cappella di Santa Caterina da Siena, gli affreschi non appartengono alla mano di Agostino ma di un secondo artista, molto probabilmente più giovane.

 

Si può ipotizzare, confrontando gli affreschi di Agostino con quelli del giovane aiutante, che si tratti di un’artista più moderno rispetto al pittore bolognese, forse identificabile con un poco più che ventenne Pietro di Giovanni d’Ambrogio (documentato a Siena dal 1409 circa, morto nel 1449).

 

Mentre l’attribuzione degli affreschi ad Agostino di Marsilio risulta lampante grazie al tratto deciso e marcato dell’artista, l’attribuzione di alcune teste di carattere ad un giovanissimo Pietro di Giovanni d’Ambrogio, deriva da confronti e riflessioni stilistiche che evidenziano in Pietro uno stile più moderno rispetto a quello di Agostino, probabilmente dovuto all’influenza stilistica del Sassetta.

 

Numerosi sono gli interrogativi da porsi di fronte alle volte della sagrestia della Basilica di San Domenico a Siena, ma ciò che ci invoglia maggiormente a ricercare le motivazioni che condussero il pittore ad affrescare il ciclo, è l’assoluta importanza dell’edificio domenicano senese legato in maniera indissolubile a Santa Caterina da Siena, patrona d’ Italia e d’Europa.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ Bellartisti Senesi 1200-1800, IV, ante 1835

L.Zdekauer, Il Constituto del Comune di Siena dell’anno 1262, Milano 1897

V. Lusini, San Domenico in Camporegio, in Bullettino Senese di Storia Patria ”, XII, 1906, 2, pp. 263-295

Bibliotheca Sanctorum, a cura di F.Caraffa e G.Morelli, Roma 1961-2000

D. Gallavotti Cavallero, Lo Spedale di Santa Maria della Scala in Siena vicenda di una committenza artistica, Pisa 1985

G. Kaftal, Iconography of the saints in the painting of north west Italy, Firenze 1985

Die Kirchen von Siena, Oratorio della Carità- S. Domenico 2 1.2 Text , a cura di P.A. Riedl e M.Seidel, München 1992

D. Pegazzano, Lucignano Guide ai Musei della Provincia di Arezzo il Museo Comunale, Montepulciano 1997

G. C. Dini e A. Angelini B. Sani, Pittura Senese, Milano 1997

C. Bellugi, La Testa di Santa Caterina, Siena 2007



 

 

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