.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

antica


N. 95 - Novembre 2015 (CXXVI)

La moda antica della barba
quel che accade oggi accadeva già DUEMILA ANNI fa

di Chiara Tangredi

 

Intorno al 120 d.C. l’imperatore romano Adriano lancia la moda della barba. Una tendenza che oggi torna a spopolare. È un trend in piena ascesa: il ritorno della barba. Bella barba non fa saggezza, certo, ma fa moda.

 

I più conservatori li rimproverano: Ehi tu, con quella lunga barba, non sarai mica uno dell’ISIS, eh? E quelli rispondono: Mi fai un baffo, glabro! Tanto lo so che, negli anni ’70, ce l’avevi anche tu!

 

Un po’ di barba lunga non ci rende né buoni né cattivi, né più o meno sani. La barba è un fatto culturale, una tendenza. Da far crescere (indice di dignità virile) o da tagliare (indice di invecchiamento) in base alla cultura di appartenenza, alla moda del momento, ai bisogni individuali.

 

Non date la colpa all’ISIS o a Conchita Wurst. Spiacente confermarlo ma la barba la indossavano ben prima di Maometto, Allah e il Ramadan. Si sa come vanno certe cose.

 

La moda è un uccello migratore: viene, va e poi ritorna. Come i pantaloni a zampa d’elefante, i capelloni, le scarpe con le punte, le gonne a pantalone, i jeans a sigaretta, gli occhiali alla John Lennon...

 

Ebbene quel che accade oggi (XXI sec.) accadeva già diciannove secoli fa (II sec.): nell’era della Silicon Valley, come ai tempi dei romani, lasciare crescere le barbe torna a diventare cool.

 

Bisogna dire che in origine l’uomo romano era intonso. Con la barba di media lunghezza, alla maniera etrusca. Non a caso Varrone e Aulo Gellio osservano come lunghe barbe e lunghe capigliature nelle statue sono indizio sicuro di antichità. Nel 299 a.C. Publio Ticino Menea (o Menas) introduce, per primo, i barbitonsori a Roma, conducendo dalla Sicilia una truppa di barbieri [Varrone, De re rustica, II, 11, 10].

 

Sul finire del III sec. a.C., a partire dalla seconda guerra punica [218-202 a.C.], sbarbarsi diventa una componente usuale della toilette maschile dei romani. Pare sia stato Publio Cornelio Scipione l’Africano [235-183 a.C.] il primo romano a farsi radere tutti i giorni [Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, VII, 211]. Quest’uso generalizzato va avanti di generazione in generazione per secoli.

 

La depositio barbae (deposizione della barba) ovvero il taglio della prima barba è un vero e proprio rito di iniziazione: per un romano segna il passaggio dall’adolescenza alla giovinezza. Il rituale assume forme diverse a seconda dei singoli casi. Di regola, il giovane lascia crescere la prima peluria fino a che non assuma l’aspetto di vera barba.

 

Arriva, allora, il momento di tagliarla. Di solito la depositio ha luogo intorno al ventunesimo anno d’età. La vel lanugo (prima barba) viene deposta in una pisside fatta di oro per i più ricchi o di materiali meno pregiati per i meno abbienti. Le primizie della barba vengono offerte a un dio o a un antenato. In genere sino ai quarant’anni si continua a portare una barbetta (barbula). Per questo i romani associano alla barba l’idea di giovinezza.

 

L’epitaffio di Laetilio Gallo, figlio di un decurione, morto a vent’anni, sette mesi e sette giorni, recita: Portavo una barba non fatta quando andai incontro alla morte. Chiaramente la mancata celebrazione della depositio barbae non fa che accrescere lo sgomento per quella morte prematura.

 

A Roma nessuno si rade da solo. Non ci sono i moderni barber shop. Ma il lavoro di barba non manca. Il tonsor svolge le funzioni sia di barbiere che di parrucchiere. Di tonsores a Roma vi sono due tipi: quello pubblico e quello privato. Il tonsor domestico (privato) è qualcosa che solo i ricchi possono permettersi. In genere è uno schiavo addetto a tale ufficio. Il tonsor pubblico svolge il mestiere in una botteguccia (tonstrina). A parte pochi fortunati, tutti gli altri devono andare alle tonstrinae.

 

Tant’è che questi posti diventano luoghi d’incontro, piccoli salotti per oziosi. Il tempo della barba corre tra barzellette, notizie, e pettegolezzi. Il binomio chiacchiere e barbiere è già proverbiale. Da cui il detto oraziano “lippis et tonsoribus” ovvero “lippis (notum) et tonsoribus” per dire di una cosa conosciuta dai miopi e dai barbieri [Orazio, Satire, 1, 7]. Si capiscono, così, pure certe barzellette d’epoca romana. Un barbiere al cliente: Come li taglio i capelli? Il cliente: In silenzio [Philogelos].

 

All’epoca radersi è una sofferenza. Ancora non esistono la schiuma da barba, i rasoi trilame, i regolatori, i saponi, oli e spray igienizzanti. I rasoi sono di bronzo o ferro temprato. Hanno forma di mezzaluna. Vengono affilati su pietre da mola inumidita con la saliva. Poi usati direttamente sulla pelle nuda del cliente. Tutt’al più, sul viso da radere, si spruzza dell’acqua. Mettere la propria gola nelle mani di un estraneo è un atto di fiducia. Tagli e sfregi da rasatura sono tanto comuni. Rari sono, invece, i barbieri che non sfregiano i clienti.

 

Il mento glabro resiste alla fine della repubblica e all’instaurazione augustea del principato. Tutti gli imperatori romani prima di Adriano sono senza peli sulla faccia.

 

Di Augusto si sa che non si è fatto radere la barba prima dei venticinque anni. La depositio barbae pare si sia svolta nel 39 a.C. [Cassio Dione]. Il rituale era stato posticipato a causa delle priorità di Stato che lo avevano impegnato. La posticipazione aveva permesso a quella barbetta giallognola e rada di crescere ancora. Augusto trasforma un rito di passaggio convenzionale in uno spettacolo che coinvolge l’intera città di Roma. Con grande esibizione di potere. Il suo obiettivo sembra sia fare colpo su Livia, la sua non ancora seconda moglie.

 

L’imperatore Nerone [54-68] lo si trova raffigurato sia sbarbato, sia con le basette e la barba. Anche lui, come Adriano, grande estimatore della cultura greca. La depositio barbae di Nerone avviene all’età di ventuno anni. La primizia viene riposta dentro una pisside d’oro circondata da perle. Poi offerta a Giove Capitolino [Svetonio, Nerone, 12].

 

Ancora ai tempi di Traiano [98-117] la rasatura è quasi un obbligo sociale. L’imperatore rappresenta un modello molto imitato. Ha il viso liscio, i capelli pettinati in avanti, tagliati corti sulla fronte. Persino gli schiavi sono costretti dal loro padrone a farsi radere da un tonsor pubblico o da un servo della casa.

 

Chi si fa crescere la barba è in lutto. Se non è in lutto, è sotto processo (e vuol far pietà ai giudici). Se non è sotto processo, allora è un barbaro. Se non è un barbaro, potrebbe essere un filosofo. Se non è neanche un filosofo, allora è un militare. I legionari, infatti, così come le truppe ausiliarie, sono dispensati dalla sbarbatura. Diventa difficile radersi tutti i giorni quando si è in marcia o in guerra.

 

Le cose cambiano intorno al 120 d.C. quando l’imperatore romano Adriano [117-138], in controtendenza, si fa crescere la barba. È il primo Augusto a farsi ritrarre con questo look. Lui, amante convinto di tutte le cose della Grecia: l’arte, l’architettura, il giovane Antinoo, e ovviamente la barba. Le fonti raccontano che lo fece per nascondere i difetti del volto, per coprire una cicatrice sul mento. Pare, tuttavia, che fu più l’amore per la Grecia, che non l’odio per gli inestetismi estetici, a dar ragione del viso villoso dell’imperatore.

 

Fatto sta che Adriano lancia una moda che durerà a lungo nelle generazioni a venire. Una moda diffusa, è bene dirlo, senza i social network, il cinema, la televisione, la radio, i giornali. Probabilmente i romani sono ben felici di emularlo. Sarà stato un sollievo poter evitare le tormentate rasature quotidiane. Un po’ male, invece, per il tonsor. Il quale vedrà crollare i suoi guadagni.

 

Immaginate per un attimo un barbuto e uno sbarbato ai tempi di Adriano. Il barbuto: Perché hai quella cosa sulla faccia? Somigli a Nerone. Dai, ti pago il tonsor. Lo sbarbato: Eh no, glabro! È il caso che smetta tu di raderti! Le hai viste le monete di Adriano?! L’imperatore s’è fatto crescere la barba! Lo sbarbato: E la sua signora, Vibia Sabina, come l’ha presa? Il barbuto: La sua signora non lo so come l’ha presa. Ma ad Antinoo piace molto.

 

La maggior parte degli imperatori successivi ad Adriano sono raffigurati con la barba. Così Antonino Pio [138-161], Marco Aurelio [161-180], Commodo [180-192], Pertinace [193], Didio Giuliano [193], Settimio Severo [193-211], Caracalla [198-209] … A quanto pare la barba è diventata ormai una moda.

 

Con l’imperatore Costantino [306-337] si torna al rasoio. Degli imperatori a lui posteriori solo Flavio Claudio Giuliano detto l’Apostata [360-363] ha la barba. Di lui è nota la sua Misopogon (dal gr. Il nemico della barba), un’operetta satirico-polemica composta dall’imperatore (tra il 361-362 d.C.) durante la permanenza ad Antiochia di Siria in risposta agli abitanti di Antiochia che lo canzonavano, colpendo particolarmente il suo uso di andare barbato.

 

Questo andazzo (barba sì, barba no) sembra essersi ripetuto nei secoli dei secoli. Insomma, se è dai tempi di Gesù che non si vede più una moltiplicazione dei pani e dei pesci, la moltiplicazione delle barbe è un leitmotiv storico che non ha bisogno di miracoli.

 

Alcuni ricercatori australiani dell’University of South Wales hanno realizzato uno studio (pubblicato sul Royal Society Journal Biology Letters) destinato a spiegare cosa guidi i mutamenti periodici che colpiscono la barba. Ebbene, pare si tratti di fenomeni evolutivi.

 

Le preferenze in fatto di barbe seguono una dinamica definita negative frequency-dependent sexual selection (selezione negativa dipendente dalla frequenza), un meccanismo evolutivo per cui un tratto fenotipico raro all’interno di una popolazione determina un vantaggio per i portatori.

 

In modo analogo, quando le persone iniziano a seguire una moda, questa comincia a perdere in termini di popolarità. Risultato: sia le facce irsute che quelle levigate diventano più attraenti tanto quanto sono più rare. Lo stesso meccanismo porta i popoli mediterranei ad apprezzare chiome e capelli chiari.

 

La larga diffusione delle barbe dovrebbe, dunque, giovare ai “poveri di barba”. Ben presto, quindi, il trend potrebbe invertirsi. Con largo spazio alla riconversione industriale: schiuma da barba, rasoi e dopobarba al posto di balsami, creme, saponi e beard oil.

 

Ebbene, il proverbio “donna baffuta sempre piaciuta” non è che valga sempre. Si può star certi, però, che uomo barbuto prima o poi torna di moda.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.