BALFOUR DECLARATION
IL CONFLITTO IN MEDIO ORIENTE tra
passato e presente
di Giovanna D’Arbitrio
Spesso dimentichiamo che la storia è
fatta di cause ed effetti e che, se
non si tiene conto delle cause, è
molto facile ricadere negli stessi
errori soprattutto se tra i popoli
s’istaura una spirale di reciproco
odio e desiderio di vendetta e se il
“divide et impera” continua ad
imperversare sulla Terra, come
possiamo vedere nel drammatico
conflitto tra israeliani e
palestinesi. Senz’altro niente può
giustificare l’orrendo massacro del
7 ottobre e il rapimento di civili
inermi, in particolare l’efferata
violenza sui bambini ebrei, ma non
si può nemmeno giustificare
l’uccisione di migliaia di bambini
palestinesi dilaniati dalle bombe.
In questi giorni drammatici ho
riletto alcuni libri, forse per
calmare dolore e orrore davanti a
tante immagini di orrenda violenza
che non pensavamo più di vedere ai
nostri giorni, come The Balfour
Declaration, di Leonard Stein,
in cui l’autore cerca di spiegare in
che modo la Dichiarazione Balfour
abbia condotto all’origine dello
Stato di Israele.
Ecco come il libro viene presentato:
“Poiché la Dichiarazione è stata un
elemento importante negli sviluppi
controversi che hanno plasmato la
mappa politica del Medio Oriente,
l’interesse e il dibattito sul
documento (le sue fonti, il modo in
cui è stato redatto, il suo
significato) continua oggi con quasi
la stessa intensità di quanto era
evidente cinquant’anni fa. Tra i
principali attori del dramma
politico che si svolse in Palestina,
c’era da aspettarsi che i sionisti
sarebbero stati entusiasti della
Dichiarazione e che gli arabi ne
sarebbero rimasti sgomenti. Ciò che
ha aggiunto una nuova dimensione di
interesse storico è stato il fatto
che il terzo personaggio drammatico,
la Gran Bretagna, sponsor di questa
politica, ha subito nel corso degli
anni un cambiamento di cuore e di
mente riguardo al documento. È stato
per esplorare le ragioni che hanno
portato alla pubblicazione della
Dichiarazione che è stata scritta
una parte sostanziale della storia
di Leonard Stein”.
In effetti la dichiarazione Balfour
del 2 novembre 1917 consiste in una
lettera scritta dal ministro degli
esteri inglese Arthur Balfour e
indirizzata a Lord Rothschild,
rappresentante della comunità
ebraica inglese e del movimento
sionista. In essa affermava di
guardare con favore alla creazione
di una “dimora nazionale per il
popolo ebraico” in Palestina, un
tempo parte dell’Impero ottomano,
smembrato dopo la sua sconfitta
durante la I guerra mondiale. La
dichiarazione Balfour fu poi
inserita all’interno del trattato di
Sèvres che stabiliva la fine delle
ostilità con la Turchia e assegnava
la Palestina al Regno Unito. Il
documento è tuttora conservato
presso la British Library.
L’insediamento di una comunità
ebraica in Palestina rafforzò
senz’altro il ruolo della Gran
Bretagna nella regione e anche se
non si alludeva in modo chiaro a un
vero Stato israeliano, molti ebrei
emigrarono verso la Palestina per le
ricorrenti persecuzioni che
culminarono con gli orrori della
Shoah.
Purtroppo, il meccanismo di cause ed
effetti genera una spirale senza
fine: gli istinti violenti ed
egoistici si scaricano dall’alto
verso il basso e viceversa, lungo la
struttura piramidale delle classi
sociali, delle nazioni e dei popoli,
delle loro alterne vicende di
vincitori e vinti. La
prevaricazione, partendo dall’alto,
si scarica sempre verso il basso,
verso i più deboli finché questi
ultimi non si scatenano a loro volta
in sanguinose ribellioni e
rivoluzioni, devastati dall’odio
accumulato per i crudeli soprusi
subiti e le eterne violazioni dei
diritti umani. Le tragiche guerre
tra Israeliani e Palestinesi sono
veramente emblematiche in tal senso,
soprattutto se si studia il percorso
storico degli Ebrei, dalla caduta di
Gerusalemme nel 70 d.C., quando
iniziò la Grande Diaspora verso i
paesi europei, fino ad oggi.
Perseguitati, considerati deicidi
dai Cristiani, disprezzati per la
pratica dell’usura (spesso unica
attività consentita loro, insieme al
commercio della roba usata, per
potere ottenere la residenza in un
luogo), chiusi nei ghetti, per
secoli sono stati “vittime” di un
feroce antisemitismo. Come reazione,
sorse nel secolo XIX il movimento
sionista, fondato da Theodore Herzl,
che fu supportato anche da vari
paesi europei all’inizio del ‘900,
non sempre spinti solo da motivi
umanitari ma anche da interessi
economici e geopolitici, quando essi
si resero conto che, per sfruttare i
pozzi petroliferi ed altre risorse,
il controllo del Medio Oriente
sarebbe diventato di essenziale
importanza.
Ovviamente, dopo la grande tragedia
dell’Olocausto nella Germania di
Hitler, il ritorno degli Ebrei in
Palestina fu ancora proposto ed
accettato alla fine della II guerra
mondiale, sottovalutando le reazioni
degli Arabi che occupavano quelle
terre da lungo tempo. Nel 1947
nacque quindi lo Stato d’Israele, ma
nel 1948 i palestinesi lo
attaccarono e furono sconfitti.
Molti di essi emigrarono verso gli
altri stati arabi, ma i più poveri
rimasero. Scoppiarono allora altri
conflitti, tra i quali ricordiamo
quelli del 1956, del 1967 e 1973,
conflitti che fecero rafforzare la
resistenza palestinese, “l’Intifada”.
Solo nel 1993, con gli Accordi di
Oslo, firmati dal leader dell’OLP,
Yasser Arafat, e dal Primo Ministro
israeliano, Yitzhak Rabin, i
Palestinesi riconobbero lo Stato
d’Israele e quest’ultimo s’impegnò a
ritirarsi, entro cinque anni, da
Gaza, Gerico e altre aree della
Cisgiordania.
La lentezza con la quale i suddetti
accordi vennero attuati (peraltro
solo in parte!), suscitò scontento e
diede forza agli integralisti
islamici di Hamas e Jihad che
intensificarono l’attività
terroristica e inevitabilmente
acuirono le tensioni. La situazione
divenne sempre più grave a Gaza, una
stretta fascia di terra costiera,
densamente popolata dai profughi
palestinesi, isolata e separata da
Israele mediante un’alta barriera
metallica. Nel 2005 l’esercito
israeliano si ritirò, ma conservò il
controllo dei confini, dello spazio
aereo e del mare. Quando Hamas vinse
le elezioni sempre nel 2005, furono
congelati tutti gli aiuti umanitari
internazionali e nel giugno 2006
furono chiusi i “valichi” di
confine, per cui le sofferenze della
popolazione diventarono indicibili
per mancanza di scorte alimentari,
medicinali e anche carburanti,
essenziali per i generatori
elettrici, dopo la distruzione della
centrale elettrica nel luglio 2006.
E così gli Ebrei, antiche “vittime”,
si sono trasformati nel tempo in
“oppressori”, ancor più oggi dopo
l’efferata strage di Hamas del 7
ottobre che ha scatenato un violento
attacco israeliano su Gaza,
uccidendo bambini e civili inermi
nei campi dei profughi. Purtroppo,
le guerre nascondono sempre
interessi geopolitici e di vario
genere e ancor oggi i più atroci
conflitti e le più gravi violazioni
dei diritti umani si riscontrano in
luoghi ricchi di risorse da
sfruttare, petrolio, metano,
miniere, manodopera a basso costo e
quant’altro.
Come speranza di pace, cito in breve
un altro libro Apeirogon, di
Colum McCann (Ed Feltrinelli), un
romanzo che s’ispira a fatti e
personaggi reali. Ecco come viene
presentato: “Bassam Aramin è
palestinese. Rami Elhanan è
israeliano. Il conflitto colora ogni
aspetto della loro vita quotidiana,
dalle strade che sono autorizzati a
percorrere, alle scuole che le loro
figlie, Abir e Smadar, frequentano,
ai check point. Sono costretti senza
sosta a negoziare fisicamente ed
emotivamente con la violenza
circostante. Come l’Apeirogon del
titolo, un poligono dal numero
infinito di lati, infiniti sono gli
aspetti, i livelli, gli elementi di
scontro che vedono contrapposti due
popoli e due esistenze su un’unica
terra. Ma il mondo di Bassam e di
Rami cambia drammaticamente e
irrimediabilmente quando Abir, di
anni dieci, è uccisa da un
proiettile di gomma e la tredicenne
Smadar rimane vittima di un attacco
suicida. Quando Bassam e Rami
vengono a conoscenza delle
rispettive tragedie, si riconoscono,
diventano amici per la pelle e
decidono di tentare di usare il loro
comune dolore come arma per la
pace”.