[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

198 / GIUGNO 2024 (CCXXIX)


contemporanea

BALFOUR DECLARATION
IL CONFLITTO IN MEDIO ORIENTE tra passato e presente
di Giovanna D’Arbitrio


Spesso dimentichiamo che la storia è fatta di cause ed effetti e che, se non si tiene conto delle cause, è molto facile ricadere negli stessi errori soprattutto se tra i popoli s’istaura una spirale di reciproco odio e desiderio di vendetta e se il “divide et impera” continua ad imperversare sulla Terra, come possiamo vedere nel drammatico conflitto tra israeliani e palestinesi. Senz’altro niente può giustificare l’orrendo massacro del 7 ottobre e il rapimento di civili inermi, in particolare l’efferata violenza sui bambini ebrei, ma non si può nemmeno giustificare l’uccisione di migliaia di bambini palestinesi dilaniati dalle bombe.
 
In questi giorni drammatici ho riletto alcuni libri, forse per calmare dolore e orrore davanti a tante immagini di orrenda violenza che non pensavamo più di vedere ai nostri giorni, come The Balfour Declaration, di Leonard Stein, in cui l’autore cerca di spiegare in che modo la Dichiarazione Balfour abbia condotto all’origine dello Stato di Israele.
 
Ecco come il libro viene presentato: “Poiché la Dichiarazione è stata un elemento importante negli sviluppi controversi che hanno plasmato la mappa politica del Medio Oriente, l’interesse e il dibattito sul documento (le sue fonti, il modo in cui è stato redatto, il suo significato) continua oggi con quasi la stessa intensità di quanto era evidente cinquant’anni fa. Tra i principali attori del dramma politico che si svolse in Palestina, c’era da aspettarsi che i sionisti sarebbero stati entusiasti della Dichiarazione e che gli arabi ne sarebbero rimasti sgomenti. Ciò che ha aggiunto una nuova dimensione di interesse storico è stato il fatto che il terzo personaggio drammatico, la Gran Bretagna, sponsor di questa politica, ha subito nel corso degli anni un cambiamento di cuore e di mente riguardo al documento. È stato per esplorare le ragioni che hanno portato alla pubblicazione della Dichiarazione che è stata scritta una parte sostanziale della storia di Leonard Stein”.
 
In effetti la dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 consiste in una lettera scritta dal ministro degli esteri inglese Arthur Balfour e indirizzata a Lord Rothschild, rappresentante della comunità ebraica inglese e del movimento sionista. In essa affermava di guardare con favore alla creazione di una “dimora nazionale per il popolo ebraico” in Palestina, un tempo parte dell’Impero ottomano, smembrato dopo la sua sconfitta durante la I guerra mondiale. La dichiarazione Balfour fu poi inserita all’interno del trattato di Sèvres che stabiliva la fine delle ostilità con la Turchia e assegnava la Palestina al Regno Unito. Il documento è tuttora conservato presso la British Library. L’insediamento di una comunità ebraica in Palestina rafforzò senz’altro il ruolo della Gran Bretagna nella regione e anche se non si alludeva in modo chiaro a un vero Stato israeliano, molti ebrei emigrarono verso la Palestina per le ricorrenti persecuzioni che culminarono con gli orrori della Shoah.
 
Purtroppo, il meccanismo di cause ed effetti genera una spirale senza fine: gli istinti violenti ed egoistici si scaricano dall’alto verso il basso e viceversa, lungo la struttura piramidale delle classi sociali, delle nazioni e dei popoli, delle loro alterne vicende di vincitori e vinti. La prevaricazione, partendo dall’alto, si scarica sempre verso il basso, verso i più deboli finché questi ultimi non si scatenano a loro volta in sanguinose ribellioni e rivoluzioni, devastati dall’odio accumulato per i crudeli soprusi subiti e le eterne violazioni dei diritti umani. Le tragiche guerre tra Israeliani e Palestinesi sono veramente emblematiche in tal senso, soprattutto se si studia il percorso storico degli Ebrei, dalla caduta di Gerusalemme nel 70 d.C., quando iniziò la Grande Diaspora verso i paesi europei, fino ad oggi. Perseguitati, considerati deicidi dai Cristiani, disprezzati per la pratica dell’usura (spesso unica attività consentita loro, insieme al commercio della roba usata, per potere ottenere la residenza in un luogo), chiusi nei ghetti, per secoli sono stati “vittime” di un feroce antisemitismo. Come reazione, sorse nel secolo XIX il movimento sionista, fondato da Theodore Herzl, che fu supportato anche da vari paesi europei all’inizio del ‘900, non sempre spinti solo da motivi umanitari ma anche da interessi economici e geopolitici, quando essi si resero conto che, per sfruttare i pozzi petroliferi ed altre risorse, il controllo del Medio Oriente sarebbe diventato di essenziale importanza.
 
Ovviamente, dopo la grande tragedia dell’Olocausto nella Germania di Hitler, il ritorno degli Ebrei in Palestina fu ancora proposto ed accettato alla fine della II guerra mondiale, sottovalutando le reazioni degli Arabi che occupavano quelle terre da lungo tempo. Nel 1947 nacque quindi lo Stato d’Israele, ma nel 1948 i palestinesi lo attaccarono e furono sconfitti. Molti di essi emigrarono verso gli altri stati arabi, ma i più poveri rimasero. Scoppiarono allora altri conflitti, tra i quali ricordiamo quelli del 1956, del 1967 e 1973, conflitti che fecero rafforzare la resistenza palestinese, “l’Intifada”. Solo nel 1993, con gli Accordi di Oslo, firmati dal leader dell’OLP, Yasser Arafat, e dal Primo Ministro israeliano, Yitzhak Rabin, i Palestinesi riconobbero lo Stato d’Israele e quest’ultimo s’impegnò a ritirarsi, entro cinque anni, da Gaza, Gerico e altre aree della Cisgiordania.
 
La lentezza con la quale i suddetti accordi vennero attuati (peraltro solo in parte!), suscitò scontento e diede forza agli integralisti islamici di Hamas e Jihad che intensificarono l’attività terroristica e inevitabilmente acuirono le tensioni. La situazione divenne sempre più grave a Gaza, una stretta fascia di terra costiera, densamente popolata dai profughi palestinesi, isolata e separata da Israele mediante un’alta barriera metallica. Nel 2005 l’esercito israeliano si ritirò, ma conservò il controllo dei confini, dello spazio aereo e del mare. Quando Hamas vinse le elezioni sempre nel 2005, furono congelati tutti gli aiuti umanitari internazionali e nel giugno 2006 furono chiusi i “valichi” di confine, per cui le sofferenze della popolazione diventarono indicibili per mancanza di scorte alimentari, medicinali e anche carburanti, essenziali per i generatori elettrici, dopo la distruzione della centrale elettrica nel luglio 2006.
E così gli Ebrei, antiche “vittime”, si sono trasformati nel tempo in “oppressori”, ancor più oggi dopo l’efferata strage di Hamas del 7 ottobre che ha scatenato un violento attacco israeliano su Gaza, uccidendo bambini e civili inermi nei campi dei profughi. Purtroppo, le guerre nascondono sempre interessi geopolitici e di vario genere e ancor oggi i più atroci conflitti e le più gravi violazioni dei diritti umani si riscontrano in luoghi ricchi di risorse da sfruttare, petrolio, metano, miniere, manodopera a basso costo e quant’altro.
 
Come speranza di pace, cito in breve un altro libro Apeirogon, di Colum McCann (Ed Feltrinelli), un romanzo che s’ispira a fatti e personaggi reali. Ecco come viene presentato: “Bassam Aramin è palestinese. Rami Elhanan è israeliano. Il conflitto colora ogni aspetto della loro vita quotidiana, dalle strade che sono autorizzati a percorrere, alle scuole che le loro figlie, Abir e Smadar, frequentano, ai check point. Sono costretti senza sosta a negoziare fisicamente ed emotivamente con la violenza circostante. Come l’Apeirogon del titolo, un poligono dal numero infinito di lati, infiniti sono gli aspetti, i livelli, gli elementi di scontro che vedono contrapposti due popoli e due esistenze su un’unica terra. Ma il mondo di Bassam e di Rami cambia drammaticamente e irrimediabilmente quando Abir, di anni dieci, è uccisa da un proiettile di gomma e la tredicenne Smadar rimane vittima di un attacco suicida. Quando Bassam e Rami vengono a conoscenza delle rispettive tragedie, si riconoscono, diventano amici per la pelle e decidono di tentare di usare il loro comune dolore come arma per la pace”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]