N. 110 - Febbraio 2017
(CXLI)
La
Baia dei Porci
Un disastro ben riuscito
di Giovanni de Notaris
All’inizio
del
1961,
prima
del
suo
insediamento,
John
F.
Kennedy
non
si
era
espresso
sulla
decisione
del
suo
predecessore
Dwight
Eisenhower
di
rompere
le
relazioni
diplomatiche
con
Cuba.
Il
neoeletto
presidente
voleva
infatti
provare
un
riavvicinamento
con
l’isola
caraibica.
Dopo
aver
chiesto
un
rapporto
ad
Adlai
Stevenson,
ambasciatore
degli
Stati
Uniti
presso
l’ONU,
sulla
situazione
di
Cuba,
dove
era
evidente
che
vi
fosse
una
perdita
di
libertà
e
che
l’embargo
stabilito
da
Eisenhower
era
privo
di
utilità
perché
altri
paesi
provvedevano
al
rifornimento
dell’isola,
cambiò
idea.
Il
direttore
della
CIA
Allen
Dulles
lo
aveva
inoltre
informato
di
un
piano
segreto
dell’agenzia
che
prevedeva
l’infiltrazione
di
esuli
cubani
sull’isola
che
al
momento
si
stavano
addestrando
in
Guatemala
per
rovesciare
Fidel
Castro.
Kennedy
acconsentì
all’elaborazione
del
piano.
In
una
riunione
del
22
gennaio
Dulles
sostenne
che
gli
Stati
Uniti
avevano
solo
due
mesi
per
decidere
se
proseguire
o no
con
il
piano.
L’urgenza
era
dovuta
al
fatto
che
secondo
la
CIA
Castro
aveva
dei
piani
per
promuovere
il
comunismo
in
altri
paesi
del
Sudamerica.
Il
direttore
quindi
consigliava
un
intervento
diretto
nell’isola,
ma
il
segretario
di
Stato
Dean
Rusk
si
oppose;
temeva
un
effetto
domino
in
altre
zone
dell’America
Latina
in
risposta
all’invasione
statunitense.
La
CIA
però
insisteva
nel
rovesciamento
di
Castro.
Kennedy
allora
la
autorizzò
a
proseguire
con
il
piano
ma
allo
stesso
tempo
chiese
di
intensificare
le
iniziative
diplomatiche
per
isolare
Castro.
Il
dipartimento
di
Stato
insisteva
sulle
conseguenze
gravi
e
imprevedibili
di
un’invasione,
così
il
presidente
chiese
ai
suoi
consiglieri
di
ideare
un
piano
alternativo.
Durante
una
riunione
dell’8
febbraio
la
CIA
e i
vertici
delle
forze
armate
gli
assicurarono
che
il
piano
poteva
riuscire
con
il
solo
intervento
degli
esuli
cubani,
sostenuti
militarmente
dalla
CIA,
senza
l’intervento
diretto
delle
forze
armate
statunitensi.
Si
riteneva
infatti
che
dopo
una
prima
sollevazione
altri
cubani
avrebbero
seguito
l’esempio
dei
rivoluzionari
e
Castro
sarebbe
rimasto
isolato.
L’11
febbraio
però,
dopo
ulteriori
sviluppi,
la
CIA
spinse
su
un
intervento
più
diretto
degli
Stati
Uniti
per
rovesciare
il
regime
castrista.
Gli
esuli
cubani
avevano
bisogno
di
più
armi.
Ma
Kennedy
controbatté
che
l’intervento
diretto
del
suo
paese
doveva
essere
minimizzato
al
massimo.
La
CIA
aveva
anche
scelto
il
luogo
per
lo
sbarco,
cioè
la
Baia
dei
Porci
a
sud-est
dell’Havana,
nei
pressi
della
penisola
di
Zapata.
Gli
esuli
avrebbero
dovuto
impossessarsi
di
una
pista
d’atterraggio
per
stabilizzare
lo
loro
posizione
sull’isola.
Dulles
garantì
al
presidente
il
successo
dell’operazione,
ma
in
realtà
tutti
i
piani
si
basavano
su
mappe
che
risalivano
alla
fine
del
secolo
precedente.
Il
15
marzo,
in
una
riunione,
Kennedy
si
oppose
a
uno
sbarco
all’alba,
ritenendo
che
per
quell’ora
le
navi
statunitensi
dovevano
già
essere
lontane
se
si
voleva
far
passare
il
tutto
come
un’insurrezione
interna.
Il
17
marzo
l’ammiraglio
Arleigh
Burke,
capo
delle
operazioni
navali,
gli
fece
presente
che
se
non
ci
fosse
stato
l’effetto
domino
–
auspicato
dalla
CIA
–
con
altre
insurrezioni,
il
piano
sarebbe
fallito.
Il
presidente
poi
si
assicurò
che
agli
esuli
cubani
fosse
chiaro
che
le
truppe
americane
non
avrebbero
partecipato
all’invasione.
Ma
la
CIA
era
più
che
sicura
che
sull’isola
ben
20.000
cubani
erano
pronti
a
unirsi
ai
rivoluzionari
per
rovesciare
Castro.
In
realtà
le
voci
nell’Amministrazione
per
abortire
il
piano
erano
molteplici;
le
forze
di
Castro,
si
diceva,
sarebbero
state
comunque
soverchianti.
Kennedy
allora
rinnovò
le
sue
perplessità
a
Dulles
che
però
lo
rassicurò
sul
fatto
che
i
rischi
di
un
fallimento
erano
ridotti
al
minimo.
Pochi
giorni
prima
del
17
aprile,
giorno
dell’invasione,
il
presidente
ordinò
alla
CIA
di
ridurre
il
numero
di
aerei
pilotati
dai
cubani
in
esilio.
Il
15
aprile
otto
B26
decollati
dal
Nicaragua
bombardarono
tre
aeroporti
cubani,
ma
non
distrussero
granché
della
flotta
aerea
cubana;
intanto
i
1.500
esuli
si
avvicinavano
al
punto
dello
sbarco
Il
16
Rusk
disse
alla
CIA
che
gli
aerei
americani
avrebbero
avuto
il
solo
compito
di
coprire
lo
sbarco
ma
non
di
attaccare
direttamente
gli
aeroporti
dell’isola.
Ma
il
17
aprile
tutti
gli
aerei
che
dovevano
coprire
l’invasione
di
terra
non
decollarono
per
ordine
del
presidente
che
chiedeva
prima
un
consolidamento
delle
posizioni
della
brigata
di
esuli
sull’isola.
Ovviamente
la
CIA
fece
notare
che
senza
l’attacco
aereo
la
missione
sarebbe
fallita.
Infatti
l’aviazione
cubana
affondò
anche
una
vecchia
nave,
la
Rio
Escondido,
che
trasportava
munizioni
e
rifornimenti
da
New
Orleans.
Il
18
aprile
l’insuccesso
diventò
evidente.
Le
forze
armate
di
Castro
erano
chiaramente
superiori
e la
tanto
sperata
reazione
a
catena
della
popolazione
non
vi
era
stata.
La
CIA
allora
ripropose
con
decisione
l’appoggio
aereo
e
navale,
ma
Kennedy
rifiutò.
Il
19
aprile
le
forze
di
Castro
spinsero
alla
resa
quasi
tutte
le
forze
ribelli
ormai
prive
di
un
qualunque
appoggio.
Il
presidente
era
furioso
con
se
stesso
per
aver
dato
retta
alla
CIA;
capì
che
bisognava
cambiarne
il
direttore.
Il
22
aprile
convocò
il
Consiglio
per
la
Sicurezza
Nazionale
per
capire
cosa
era
andato
storto
nell’operazione.
A
sua
volta
Dulles
accusava
Kennedy
di
aver
annullato
l’attacco
aereo
mandando
all’aria
l’intera
missione.
Ma
in
realtà
le
colpe
dell’agenzia
erano
evidenti;
aveva
pianificato
l’invasione
minimizzandone
i
rischi.
Dopo
alcuni
mesi
le
indagini
giunsero
alla
stessa
conclusione.
Kennedy
inoltre
si
sentiva
responsabile
della
morte
dei
ribelli
cubani
per
avergli
fatto
credere
che
con
l’aiuto
statunitense
avrebbero
rovesciato
Castro.
Come
era
prevedibile
il
fallimento
dello
sbarco
diede
maggior
forza
sia
al
regime
castrista
in
casa
propria,
favorendo
la
sua
imbattibilità
di
fronte
al
gigante
a
stelle
e
strisce,
ma
anche
a
livello
internazionale,
perché
chiaramente
si
levarono
proteste
contro
la
politica
imperialista
di
Kennedy.
Verso
la
fine
di
aprile
il
presidente
creò
una
task-force
per
valutare
nuovi
metodi
per
destituire
Castro,
oltre
a
nominare,
nel
novembre
del
1961,
John
Alexander
McCone
nuovo
direttore
della
CIA.