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N. 82 - Ottobre 2014 (CXIII)

QUEL CHE RESTA DEL BAATH
FRA CONTINUITÀ E ROTTURE

di Filippo Petrocelli

 

Che fine hanno fatto i seguaci di Saddam? Dove sono finiti i baathisti in Iraq?  Veramente gli oltre 450.000 militari fedeli all’ultimo rais dell’Iraq – tanti ne contava l’esercito iracheno fra truppe regolari e Guardia Repubblica al momento dell’invasione americana – sono rimasti inerti di fronte all’attuale situazione di crisi nel paese?

 

Naturalmente non è così: dall’invasione statunitense molte sono state le organizzazioni che hanno animato una resistenza che si rifaceva agli ideali del Baath, magari dietro nuove vesti oppure attraverso alleanze spregiudicate con gruppi di natura eterogenea.

 

Ma molti ex-lealisti sono anche transitati in altre formazioni, soprattutto jihadiste, mentre pochi hanno scelto di collaborare con l’invasione americana o coi successivi governi a maggioranza sciita.

 

È importante ricordare che nel primo periodo della resistenza all’attacco americano le forze di resistenza erano egemonizzate dai lealisti del Baath: questo è valido almeno fino al 2006 quando i gruppi jihadisti affogarono il paese in una guerra civile settaria e religiosa che vedeva sunniti e sciiti indottrinati all’odio religioso.

 

Inoltre l’esercito iracheno ai tempi di Saddam era in larga parte composto da sunniti che ne rappresentavano l’ossatura e che nel regime change sono stati liquidati; in questa frantumazione confessionale del paese quindi è naturale che anche loro decidano di “giocare” la loro partita.

 

E chissà se in questo caos crescente – fra frattura confessionale, minaccia jihadista e questione curda – non possano diventare proprio loro, i vecchi uomini di Saddam, gli “architrave” di un nuovo equilibrio in divenire.

 

Recentemente è uscita la notizia che molti ufficiali fedeli al regime sono confluiti in IS (Islamic State, il nuovo nome di ISIS – ISLAMIC STATE OF IRAQ AND SHAM).

 

Sebbene possa sembrare una contraddizione e un controsenso per i “laici” baatisti appoggiare i sostenitori di un califfato islamico – infatti il Baath e tutto il panarabismo in generale sono sempre stati nemici dell’islamismo – è così che le cose stanno andando.

 

I nomi di rilievo sono quelli di due vecchi tenenti colonnello dell’esercito di Saddam: Fadel al-Hayali, nome di battaglia Abu Muslim al-Turukmani – attuale comandante delle operazioni in Iraq per IS – e Adnan al-Sweidawi – capo del consiglio militare del califfato – entrambi di circa cinquant’anni.

 

I due ufficiali e Abu Bakr al-Bagdadi, il califfo di IS, si sono conosciuti nella prigione di Camp Bucca nel 2004 e qui sembra abbiano stretto una solida amicizia.

 

Non basta: si stimano almeno 23 alti ufficiali dell’esercito e oltre 300 ufficiali della Guardia Repubblicana di Saddam attivi nella struttura militare di IS.

 

Questo perché il califfo al-Bagdadi preferisce i militari nei ruoli dirigenziali – rispettando una vecchia tradizione islamica – ma anche perché ha bisogno di uomini esperti per comandare le sue brigate, spesso composte da giovanissimi. Si stima infatti che un terzo dei capi militari del califfato siano ex-baatisti.

 

Quello che è sicuro è che già nel 2012 nella provincia di Anbar, molte tribù sunnite avevano appoggiato i primi timidi tentativi di penetrazione delle formazioni jihadiste nell’area a ridosso del confine siriano.

 

Come contraltare al potere sciita di Nuri al-Maliki, in carica fino all’estate 2013, molti seguaci della Sunna infatti hanno ceduto al canto jihadista di IS, soprattutto a causa della forte discriminazione che subivano dai nuovi padroni del paese (la coalizione sciita al potere) e sono proprio queste tribù sunnite ad aver determinato il successo “militare” del califfato.

 

I LEALISTI: NUOVE VESTI PER VECCHI NOSTALGICI

 

Ma oltre ai transfughi in altre organizzazioni, esistono invece forze nostalgiche di Saddam organizzate? Quanti sono i personaggi del regime che sono riusciti a sfuggire alla cattura?

 

Sicuramente il più famoso è Izzat Ibrahim al-Douri, vice di Saddam ai tempi del vecchio Iraq e attuale leader del Jaysh al-Tariqa al-Naqshbandia(JRTN), noto in italiano con il nome di “Esercito degli Uomini dell’ordine Naqshbandi”.

 

Questo movimento non è jihadista, anzi è ispirato a un ordine sufi (è bene ricordare che per gli uomini di IS i sufi sono miscredenti al pari degli altri “infedeli”) sebbene in realtà rappresentati una prosecuzione o ancor meglio “una nuova veste” per i feddayn del partito Baath.

 

Un mix di panarabismo, nazionalismo e sufismo, condito con una forte venatura socialista: sono queste le coordinate ideologiche del gruppo.

 

Sulla testa di al-Douri pende una taglia di dieci milioni di dollari ed è stato il più alto ufficiale a sfuggire alla cattura dopo l’invasione americana dell’Iraq.

 

Nel famoso mazzo di carte Most wanted iraqi usato dall’amministrazione statunitense per semplificare ai soldati e alla stampa la lista dei principali ricercati del regime iracheno, al-Douri era il re di fiori, il primo nemico dopo la famiglia Hussein.

 

Molto poche sono le informazioni sul suo conto, così come scarne sono le sue apparizioni video. Persino l’età è dubbia e si stima intorno ai settant’anni, mentre è risaputo sia affetto da leucemia.

 

Eppure la sua presenza nel paese per quanto occulta è scontata: sua la rivendicazione dell’uccisione nell’estate del 2014 del giudice Rauf Rashid Abd al-Rahman – colui che pronunciò la sentenza di morte contro Saddam – mentre è sempre di suo pugno il discorso che salutava e esaltava la presa di Mosul da parte dei mujaheddin di IS.

 

Insomma si è consolidata un’alleanza che si era forgiata durante la battaglia di Falluja nel 2004 – famosa fra le altre cose per aver subito un massiccio bombardamento a base di fosforo bianco da parte americana – dove c’era stata per la prima volta unità di intenti fra pezzi del vecchio regime e resistenza jihadista.

 

Quindi non è solo una reazione stimolata dall’orgoglio sunnita ma anche e soprattutto un’alleanza militare forgiata negli anni dell’occupazione e non una semplice intesa strategica spregiudicata.

 

Insomma al-Douri che in Iraq è una sorta di eroe popolare – si dice che si sia travestito da mendicante durante la caduta del rais facendo perdere le sue tracce – sembra essere il principale promotore della revanche baatista, al punto da aver fondato anche il Fronte della Jihad per la Liberazione e la Salvezza Nazionale, un’organizzazione ombrello di vari gruppi di resistenza mentre è anche il segretario del partito Baath, oggi fuorilegge.

 

Ma oltre al-Douri anche altri gruppi si rifanno all’eredità di Saddam: il Consiglio Militare Generale è composto da ex-ufficiali dell’esercito iracheno, mentre l’Esercito islamico include generali e militari un tempo fedeli al rais.

 

Le Brigate della rivoluzione del 1920 invece non si rifanno direttamente all’eredità di Saddam ma sono comunque un gruppo nazionalista.

 

Sicuramente questa eterogenea alleanza fra mujaheddin del califfo e feddayn di Saddam ha ottenuto un importante risultato: le dimissioni di Nuori al-Maliki, premier sciiti vicino all’Iran, oltre che non pochi successi militari e il controllo della provincia di al-Anbar.

 

Bisognerà vedere se questa alleanza sarà duratura o se sarà stata soltanto una necessità strategica a breve termine.

 

Sicuramente al-Douri non gradisce gli eccessi di IS contro le minoranze ma allo stesso tempo sembra non avere molta scelta.

 

Nella rete già si parla di uno scontro fra le due anime della resistenza, quella nazionalista e quella islamica, ma almeno per ora sembra solo un’ipotesi.



 

 

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