N. 11 - Novembre 2008
(XLII)
autunno
IN MOVIMENTO
le ragioni di
una protesta
di Pierluigi De
Santis
Gli
studenti, gli alunni e tutto il personale della pubblica
istruzione sono scesi in piazza. Manifestano il loro
dissenso verso la riforma del Ministro Gelmini e contro
la legge 113/2008 dei Ministri Brunetta e Tremonti.
In
particolare professori e alunni delle scuole primarie,
medie e secondarie protestano contro la riforma
dell'istruzione, mentre gli universitari, professori,
studenti e personale TAB, contestano principalmente la
legge 133.
Il 25
giugno 2008 è stato presentato in Gazzetta Ufficiale il
decreto legge 132, convertito in legge il 6 agosto, la
famigerata 133/2008. La CRUI (Conferenza dei Rettori
Universitari Italiani) per bocca del Rettore Decleva,
allora appena eletto presidente della conferenza, il 19
giugno ha contestato i tagli del decreto, ormai prossimo
alla pubblicazione in Gazzetta, considerandoli
“devastanti” per il funzionamento e per la capacità
programmatoria degli Atenei. Ma quali sono i
provvedimenti maggiormente contestati?
Entrando nel merito degli articoli della legge 133 che
riguardano l'istruzione, gli Atenei italiani
assisteranno a tagli dell'FFO (Fondo per il
Funzionamento Ordinario) del 20% in 5 anni (l.133/2008
art.66).
L'FFO
è il fondo con il quale le Università gestiscono le
spese fisse dell'istituto e rappresenta il principale
introito per qualunque Ateneo. Il taglio del fondo
potrebbe portare, a parere dei contestatari, ad una
diminuzione dei servizi o, in alternativa, ad un aumento
delle rette universitarie. Per molti Atenei inoltre,
significherebbe la chiusura in quanto il bilancio, già
non roseo, risulterebbe ingestibile.
Ad
essere colpite in modo negativo sarebbero anche le
Università più virtuose le quali, dopo aver messo sotto
controllo i conti con politiche di rigore di bilancio,
vedrebbero vanificare i propri successi a causa della
diminuzione delle entrate. Viene inoltre stabilito un
iter entro il quale l'Università può costituirsi
Fondazione di diritto privato affinché possa raccogliere
i fondi che necessita sul mercato (l.133/2008 art.16).
Questo
provvedimento viene visto come la privatizzazione
silenziosa dell'Università pubblica. Secondo gli
studenti e i professori, la trasformazione in Fondazione
porterebbe ad un aumento delle tasse tale da renderle
conformi alle rette delle Università private già
esistenti in tre, quattro anni. Ciò comporterebbe
inoltre la privatizzazione dei contratti sia da parte
del personale amministrativo sia, di conseguenza, del
personale docente e alla necessità di trovare un'Azienda
che sia disposta a finanziare la Fondazione.
Altro
punto contestato è il così detto blocco del turn over,
fissato al 20% (l.133/2008 art.66). Ciò significa che
per 5 professori che vanno in pensione viene
stabilizzato, o meglio assunto, un ricercatore o un
professore che aveva un contratto a tempo. Prima della
133 questo avveniva ogni 2 professori. Questo porta ad
un blocco delle assunzioni per chi ha scelto di fare
ricerca, rendendo pressoché impossibile per un
ricercatore diventare professore.
Un
altra conseguenza sarebbe quella di un congestionamento
delle materie delle lezioni per ogni singolo docente che
andrebbe a penalizzare la qualità della didattica a
causa del minor numero di ore dedicate al
perfezionamento di ogni singolo insegnamento.
Questa
è in estrema sintesi la natura del contendere. Per
quanto riguarda la riforma Gelmini si è scritto molto e
in modo dettagliato al riguardo, cosa che non è stata
fatta con altrettanto rigore per la legge 133.
Complice una disinformazione diffusa, dovuta
all'approvazione e alla conversione in legge dei
provvedimenti nei mesi estivi, le Università e gli
addetti ai lavori si sono mobilitati solo nel mese di
ottobre.
Timide
proteste in realtà si sono avute già nel mese di
settembre. Nelle grandi città universitarie come Roma,
Milano, Palermo, Napoli e altre più piccole come Pisa,
Bologna e altre, hanno visto la protesta degli studenti
ed insegnanti crescere sempre di più.
Gli
Atenei si sono riempiti di assemblee, gruppi di studio e
di dibattiti sui provvedimenti del governo che rischiano
di “condannare a morte” l'Università pubblica.
Gli
studenti sono usciti fuori dai palazzi universitari per
far sentire la loro voce organizzando notti bianche,
fiaccolate e lezioni all'aperto con l'appoggio dei
professori. In alcuni momenti si sono spinti anche oltre
con il blocco momentaneo del traffico e il tentativo di
occupare per pochi minuti i binari delle stazioni. In
Italia molte sono e sono state le facoltà e gli istituti
di scuola media superiore ad essere stati occupati.
Lo
slogan che unisce tutti è “noi la crisi non la paghiamo”
e “la vostra crisi non la pagheremo noi”. Questi cori
accompagnano le proteste ovunque. Una mobilitazione che
vede gli studenti in tutta la nazione uniti nel
contestare i provvedimenti.
Momenti importanti per i manifestanti sono stati: la
manifestazione del 17 ottobre quando migliaia di
studenti si sono uniti al corteo dei sindacati di base
che si è snodato per la capitale; i sit-in al Senato nei
giorni della discussione e la votazione della riforma
Gelmini, dove si è dovuta registrare, purtroppo, il 29
Ottobre una aggressione agli studenti da parte di
estremisti di destra che ha portato a dei tafferugli che
hanno danneggiato il clima pacifico della protesta oltre
ad aver provocato danni materiali ai negozi presenti in
piazza Navona a Roma; infine lo sciopero generale del 30
ottobre quando un milione di persone ha letteralmente
inondato la capitale dove gli universitari, staccatisi
dal corteo principale, hanno “cinto in assedio” il
Ministero dell'Istruzione chiedendo che le cose cambino
e le dimissioni del Ministro.
Non
sono mancate tentativi eclatanti come la protesta al
“Festival del cinema” di Roma. Durante l'evento,
all'arrivo degli studenti in corsa, le forze dell'ordine
sono intervenute con colpi di manganello e con
l'identificazione di alcuni studenti. Dopo qualche
minuto di tensione, ristabilita la calma, gli studenti
universitari hanno continuato il loro presidio per poi
scioglierlo in maniera pacifica dopo un paio di ore.
Questo episodio è avvenuto poco dopo l'annuncio, poi
smentito, da parte del premier Berlusconi
dell'intenzione di utilizzare la forza pubblica contro
gli studenti per impedire occupazioni.
D'altro canto il Governo e il Ministro Gelmini
minimizzano le proteste. Più volte il Ministro ha
dichiarato di non capire la ragione del perché gli
universitari protestino contro la riforma e più volte ha
affermato che gli studenti sono disinformati sulla
natura dei provvedimenti attuati.
La
Gelmini ha anche invitato i professori e gli studenti
che appoggiano le riforme a “farsi sentire”. Lei afferma
di essere convinta che siano in molti a condividere il
suo tentativo di ammodernamento dell'istruzione.
Fatto
sta che il Governo ancora non risponde alle domande
degli studenti universitari. Ancora non risponde sulla
vera ragione dei tagli in un settore strategico per la
crescita dell'economia e della società italiana.
Che
l'Università italiana abbia bisogno di interventi per
migliorare la formazione e i servizi è fuori
discussione, ma ciò passa per una disciplina di spesa e
rigore nella formazione, oltre che di controlli seri e
puntuali, all'interno degli Atenei italiani.
L'istruzione pubblica italiana ha bisogno di vere
riforme e grandi investimenti e non tagli fatti passare
per riforme.
Sul
mondo della scuola c'è ancora un aria minacciosa.
Sta
alle parti in causa farlo diventare un acquazzone o una
vera e propria tempesta. |