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N. 116 - Agosto 2017 (CXLVII)

A PROPOSITO DI integrazione europea
dal dirigismo economico alle autorità amministrative indipendenti

di Norberto Soldano

 

Era il 25 marzo 1957 quando veniva stipulato a Roma il trattato internazionale costitutivo della Comunità Economica Europea, ovvero il sogno concepito sull’isola di Ventotene nel lontano 1941 iniziava a prendere forma.

 

I primi anni ’90 sono stati decisivi per l’affermazione dell’Unione Europea così come la conosciamo oggi. Il riconoscimento della libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali; il Trattato di Maastricht prima e di Amsterdam poi; la coniazione dell’Euro quale moneta unica; l’invenzione del Sistema Europeo delle Banche Centrali, un organismo di tipo federale, composto a un livello subordinato delle singole banche centrali dei Paesi membri dell’Unione e ad un piano più alto dalla, spesso nominata nei telegiornali, BCE, la Banca Centrale Europea.

 

Realtà solide che hanno contribuito a dare corpo a un progetto che in quei frangenti era ancora magma rovente e i cui pronostici sui possibili scenari futuri erano soltanto ipotesi confuse e azzardate.

 

All’indomani della grave crisi finanziaria che ha colpito l’Eurozona nel 2010, la nuova “governance” economica europea, introducendo strumenti innovativi di coordinamento quali il semestre europeo, il vituperato Fiscal Compact e l’Unione Bancaria, ha cercato di rendere più efficace la sorveglianza sulle politiche di bilancio degli Stati che ne fanno parte.

 

Tuttavia, gli effetti collaterali si sono fatti sentire eccome. L’ulteriore “deficit” democratico che ne è derivato ha infatti sollevato in vaste fasce dell’opinione pubblica non pochi dubbi e giustificate perplessità sulla legittimità della cessione della sovranità nazionale che questi passaggi storici hanno inflessibilmente imposto.

 

La progressiva estensione delle materie di competenza degli organi comunitari ha visto lo Stato italiano ridimensionare sempre più i suoi piani di investimento nel terzo settore, adottare misure drastiche per il contenimento del debito e porre in essere reiterati tentativi di razionalizzazione del Welfare. L’abbandono del “dirigismo economico”, ossia quel programma politico per cui lo Stato interviene nell’economia nazionale orientandola e dirigendola per il conseguimento dei suoi fini politici e sociali, intrapreso sin dalla metà degli anni ’80 è stata la prova più evidente di questo repentino cambio di marcia.

 

Chi lo ha deciso? Ne abbiamo tratto vantaggi?

 

Se da un lato questo processo ha prodotto l’ottimizzazione della spesa, vero anche è che, dall’altro, ha condannato le generazioni future a forme di diseguaglianza sociale francamente inaccettabili nel nostro millennio. E non è tutto. Le “new entry” sul piano istituzionale sono state il vero colpo di scena.

 

Sciogliamo un cruccio che attanaglia le menti di molti, non addetti ai lavori in ambito giuridico, ma che osservano con particolare attenzione le vicende politiche e ogni tanto si pongono curiosi interrogativi: cosa sono le Autorità Amministrative Indipendenti?

 

Sono istituzioni che si differenziano dalle altre perché sono fondamentalmente autonome rispetto al Governo e al suo indirizzo politico; svolgono funzioni di controllo e di arbitraggio in certi settori economici; servono a garantire l’osservanza dei valori del mercato concorrenziale.

 

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, meglio nota come Antitrust, è la figura più importante fra queste. Si configura come un organo collegiale, pone degli appositi divieti, scoraggia e sanziona tutti quei comportamenti delle imprese e dei privati che producono una limitazione della concorrenza.

 

Un’altra molto importante è la CONSOB, la Commissione Nazionale per la Società e la Borsa, che si occupa della regolamentazione del mercato finanziario, opera spesso come interlocutore diretto delle istituzioni europee sicché è stata ribattezzata dai giornali come “istituzione a fondamento comunitario”.

 

Quest’ultime sono espressione del momento storico attuale che vede protagonista lo Stato in una sua delicata fase di trasformazione evolutiva, da “Stato imprenditore” a “Stato regolatore”. L’economia di mercato è un “ring”, le imprese che vi si alternano in scontri, l’uno più violento dell’altro, sono pugili di professione, lo Stato è l’arbitro.

 

Un giudice di gara terzo e imparziale che se in passato indossava i guantoni e laddove la rissa degenerava interveniva per riportare la disparità creatasi ad una situazione di rinnovato equilibrio, a un certo punto ha deciso di sfilarsi i guantoni e metterli via, stilare un regolamento nero su bianco delle regole del gioco e imboccare il fischietto per gestire la prestazione sportiva in modo sobrio e più raffinato.

 

Un fenomeno che fa molto discutere è la crisi dei Parlamenti, non più luogo delle grandi scelte come designato nei documenti costituzionali, ma meri timbrifici e passacarte. Le assemblee rappresentative hanno visto ormai scavalcarsi nel loro storico ruolo decisionale dalle sedi governative, gli organi dell’UE e dai particolari apparati amministrativi poc’anzi menzionati. La sottrazione delle decisioni dal circuito elettivo rappresentativo sembra la soluzione più idonea per affrontare tematiche avverse dinanzi alle quali il calderone politico, misto a bivacco ed inadeguatezza, ha dato ampiamente dimostrazione di non saper andare oltre giganteschi polveroni che fanno soltanto male alle istituzioni e al Paese.

 

Come dei bagnini che lavorano in una piscina e che a tardo pomeriggio hanno l’ordine di stabilire insieme quanto cloro versare nell’acqua delle vasche; questi rivelandosi però incapaci nonché privi delle competenze necessarie per trovare un’intesa ed assicurare un soddisfacente servizio alla clientela e alla direzione dell’hotel, si vedranno pertanto costretti a richiedere umilmente l’acquisto di regolatori automatici a fronte della propria palese inettitudine.

 

Le prime risposte a questo malessere della nostra democrazia non mancano e sono visibilmente tangibili. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che svolge una funzione di vigilanza sulla finanza pubblica, è venuto costituendosi nel 2014 in base alla Legge 243/2012; il Comitato per la Legislazione, grande novità del 1997, fornisce pareri sulla qualità dei testi legislativi nella fase deliberativa del procedimento legislativo parlamentare; le Agenzie, impiantate con il D.lgs. n° 300/1999, sono strutture amministrative che svolgono attività a carattere tecnico operativo di interesse nazionale, dotate di piena autonomia.

 

Proviamo a proiettare le nostre neonate democrazie rappresentative di qui a mille anni: per quanto tempo ancora avremo il coraggio di riporre la salute ambientale del nostro pianeta a deputati e senatori che sono subdoli schiavi dell’obolo dell’indennità?

 

Chi deciderà se puntare sulle risorse di un pianeta piuttosto che di un altro? Chi avrà titolo per definire gli standard della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica?

 

In che modo il legislatore del quarto millennio potrà incidere in guerre cibernetiche e aerospaziali?

 

Se le calamità diverranno di più vaste proporzioni chi rassicurerà le flebili masse del globo? Chi ne avrà l’autorevolezza?

 

Non potremo fare a meno della τέχνη greca. La miccia si è innescata e gli olfatti più sensibili già ne avvertono l’odore della polvere da sparo. La burocrazia che è nata storicamente per servire lo Stato, sarà sempre più determinata ad assumerne la guida finché non l’avrà conquistata: ebbene quel giorno lì sarà l’epilogo del secolare braccio di ferro fra politica e tecnocrazia.

 

L’unificazione del Regno d’Italia vide Garibaldi alla testa dei Mille; la marcia su Roma il 31 ottobre del 1922 costrinse ai ferri da stiro le tante mogli degli altrettanti mariti che quella mattina sfilarono in camicia nera per le strade della Capitale; il 25 aprile 1945 udì le note stonate di “Bella ciao” canticchiate a voce rauca dai giovani partigiani proclamare la fine di una sanguinosa guerra civile.

 

Il domani chissà. Potrebbe forse preservarci una camminata a passo deciso, quasi robotico, in valigetta, abito elegante e Sole 24ore sotto braccio dei “big” della finanza italiana a Palazzo Chigi. E quel che bello è non ci sarebbero “cavalli di frisia” che possano tenere lo stato d’assedio.



 

 

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