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N. 94 - Ottobre 2015 (CXXV)

STORIA DEGLI AUSTRALIAN OPEN
PARTE II - Anni di transizione

di Francesco Agostini

 

Gli Australian Open hanno fin dall'inizio riscosso un successo assai alterno tra i tennisti. Il montepremi ai bagliori della sua storia era molto basso e ciò rendeva il torneo Australiano poco appetibile ai giocatori di un livello un po' più alto del normale.

 

Tanto per rendere l'idea, alcuni tennisti di chiara fama mondiale non hanno mai preso parte agli Australian Open. Tra di loro ricordiamo: William ed Ernest Ernshaw, Reginald Doherty, William Larned, Maurice Mcloughlin, Bills Wright, Bill Johnston, Bill Tilden, Ren Lacoste, Henri Cochet, Bobby Riggs, Jack Kramer, Ted Schroeder, Pancho Gonzales, Budge Patty, Manuel Santana e Jan Kodes.

 

Altri tennisti molto in voga all'epoca perché in alto nella classifica mondiale parteciparono agli Australian Open in età avanzata o addirittura una sola volta nella vita. I nomi più celebri sono senza ombra di dubbio quelli di Ile Nastase e lo svedese Bjorn Borg.

 

Per questo e per altri motivi, questo torneo tennistico fu una competizione australiana fatta su misura per gli australiani.

 

Tanti campioni si alternarono su questi campi ma i più vittoriosi furono sicuramente Rod Laver, Roy Emerson, Jack Crawford, Ken Rosewall, James Anderson e Adrian Quist.

 

E indovinate un po'? Sono tutti quanti di nazionalità rigorosamente australiana. Senza eccezioni.

 

Il più vittorioso fu sicuramente Roy Emerson, ancora oggi in cima all'albo d'oro con ben 6 vittorie in tasca: nel 1961, 1963, 1964, 1965, 1966 e 1967. Un record davvero difficile da battere anche se il serbo Novak Djokovic si sta avvicinando a grandi falcate. A seguire ci sono Ken Rosewall e Jack Crawford con 4 titoli a testa e James Anderson, Rod Laver e Adrian Quist con tre.

 

Questa situazione di torneo chiuso agli stranieri (non certo per volontà degli organizzatori, intendiamoci) portò a una situazione di stallo. Come sarebbero andate le cose quando i grandi campioni australiani, gli unici capaci di attrarre il pubblico, avessero smesso di giocare? Il torneo avrebbe dovuto chiudere i battenti?

 

La situazione è stata sintetizzata in maniera lucida e precisa dal giornalista Rino Tommasi:

 

“L'Australian Open ha una storia meno antica e meno nobile rispetto agli altri tornei dello Slam. Il libro d'oro si salva perché arricchito dai nomi dei grandi campioni australiani che per anni hanno fatto dell'Australia il primo paese del mondo. Quando la generazione di quel grande motivatore (più che maestro) di Geppetto Hopman si è esaurita lasciando i Sedgman, i Cooper, gli Hoad, i Rosewall, i Laver, i Newcombe, i Roche senza eredi, gli australiani hanno reagito e hanno capito che senza i campioni di casa il loro torneo sarebbe morto senza la partecipazione dei migliori campioni stranieri. Per convincerli alla lunga trasferta hanno dovuto rinunciare all'erba e costruire un nuovo stadio.”

 

Proprio per questo motivo, infatti, gli organizzatori decisero di cambiare pelle agli Australian Open passando dall'erba al cemento e costruendo un nuovo stadio. Tutti questi fattori contribuirono ad aumentare sensibilmente l'appeal del torneo australiano che iniziò a veder aumentare progressivamente l'afflusso di pubblico.

 

Ma non tutti furono contenti. Tra gli scontenti ci fu il grande Ken Rosewall:

 

“Anche quest'anno qui agli Australian Open ho visto cose interessanti, ma se devo essere sincero questa superficie non mi piace molto, preferisco sempre la terra o l'erba. Credo che questo tipo di superficie abbia incoraggiato tutti i tennisti ad adottare più o meno lo stesso stile di gioco: grande potenza da fondo, poca "finesse", pochissime discese a rete.”

 

Come dargli torto?



 

 

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