antica
AURELIANO E IL SINCRETISMO RELIGIOSO
IL
CULTO DEL SOL INVICTUS
di Marco Sigaudo
Nel corso del III secolo d.C. l’impero
romano vive una profonda crisi, chiamata
dagli storici “anarchia militare”.
Anarchia poiché, nel corso di un
cinquantennio (235-284 d.C.), si
succedono una ventina di imperatori,
quasi tutti morti violentemente e
perlopiù scelti dall’esercito. Infatti
il principato creato da Augusto si
basava inizialmente sulla discendenza
dal divinizzato Cesare (per quanto
riguarda i giulio-claudi, 27 a.C. – 68
d.C.), poi sulla dinastia Flavia (69-96
d.C.).
Al principio dinastico segue quello
dell’adozione poiché, per un caso
fortuito, nessun imperatore ha un figlio
maschio, almeno fino a Commodo, figlio
di Marco Aurelio, che pone fine alla
dinastia degli Antonini (96-193 d.C.).
Altre guerre civili finiscono per porre
al comando i Severi (193-235 d.C.),
finché alla morte dell’ultimo esponente,
Alessandro, si apre il periodo di
anarchia militare.
In questa fase di confusione politica,
il mondo romano, ormai divenuto un
grande impero, conosce una
trasformazione sotto diversi punti di
vista e l’ambito religioso fu
sicuramente uno degli aspetti che subì
le maggiori trasformazioni.
Con il passare del tempo, infatti, la
figura del vecchio romano pio e devoto a
qualche divinità, attento nel seguire i
rituali in maniera scrupolosa andava
scomparendo. I valori che avevano
caratterizzato la religione romana fino
al I secolo scomparvero.
Nel pieno della guerra civile, l’unico
forse che intuì l’importanza di una
ripresa della devozione religiosa fu
Giulio Cesare. Egli comprese quanto
fosse importante avvicinare la
dimensione religiosa a quella politica.
Nel 63 a.C. lottò con tenacia contro
Lutazio Catulo per ottenere il titolo di
Pontifex Maximus; egli puntava
alla creazione di un vero e proprio
culto della personalità e, ancora in
vita, sostenne la sua discendenza da
Venere e iniziò a farsi erigere statue
come semidio.
Giulio Cesare è Genius, cioè
persona che è accompagnata dalla nascita
alla morte da questo particolare
spirito, il Genio appunto. Questo
spirito sopravvive alla morte corporale
della persona. Questi tentativi di
Cesare, apparentemente tramontati con il
suo omicidio avvenuto nel 44 a.C.,
proseguirono in realtà con il suo
successore Ottaviano che praticamente
divinizzò la figura del predecessore. Il
nuovo signore di Roma consolidò il
proprio regime personale nei 45 anni del
suo governo. Dal 12 a.C. divenne
Pontifex Maximus e provvide sin
dall’inizio a rilanciare il culto
romano.
Durante la sua vita mortale, Augusto ha
ricoperto tutte le cariche religiose
vigenti. Ottaviano fu membro di tutti i
collegi sacerdotali. Con Ottaviano
Imperatore, la figura del principe
assumerà sempre più i connotati di
mediatore indispensabile fra gli dei del
cielo e i comuni mortali. Questa nuova
immagine del sovrano non è tuttavia
nuova ed era tipica delle figure degli
imperatori di altri popoli antichi. Come
sostiene Jacqueline Champeaux, nel caso
di Roma imperiale non si può parlare di
un culto dell’imperatore ma di diversi
culti imperiali.
Già nella Roma primitiva i re erano
divinizzati e successivamente anche
nella Roma repubblicana gli
imperatores si sono attribuiti
caratteristiche sovraumane.
L’entusiasmo spontaneo della gente, nato
dai successi di Ottaviano portarono il
nuovo signore di Roma a essere
considerato un Divus non solo
dopo la morte ma anche durante la vita.
Un elemento di notevole importanza che
crebbe in modo deciso durante l’impero
di Augusto, fu la penetrazione sempre
più massiccia dei culti dell’Oriente.
Vediamo di analizzare le cause di tali
cambiamenti.
La religione romana, per sua natura, era
troppo legata allo stato e troppo poco
mistica. Degli dei, i poveri
mortali sapevano poco. Le religioni
orientali, invece, rispondevano a
diversi interrogativi in modo nuovo e
soddisfacente. Religioni esoteriche,
salvifiche che offrono al fedele la
possibilità dell’incontro faccia a
faccia con la divinità e lo riempiono
spiritualmente. Il culto di Cibele, o
degli dei egizi (Iside e Serapide) o
ancora gli dei siriani sono accolti con
grande devozione dai romani La divinità
persiana fu sicuramente tra quelle che
riscossero maggiore successo. Le prime
informazioni certe della sua diffusione
nell’impero sono datate del I secolo.
Nella Tebaide di Stazio, il nome
di Mitra viene citato come Sole. È il
Sole Invitto (Sol Invictus) che
doma il toro nell’antro persico.
È una religione praticata da piccole
comunità, in segreto. I culti e le
celebrazioni non erano pubbliche, ma
private. Mitra, anche se distinto
inizialmente dal dio Sole, è nato il 25
dicembre, nato dalla roccia, in
una grotta, così come la luce si
sprigiona dal cielo.
La liturgia mitraica riattualizza il
mito della creazione, mantiene vivo il
dualismo e la lotta tra Bene-Male. Una
creazione minacciata dalla carenza di
acqua, ma Mitra è il salvatore che
uccidendo il Toro, detentore della
sorgente, salva il mondo. Si parla di un
dramma della salvezza: dell’universo e
individuale, di ciascuno di noi. La
creazione è rigenerata. Questa religione
è molto complessa, ricca di simboli e di
riti vari, come quelli d’iniziazione. I
fedeli di Mitra provengono da ambienti
sociali diversi: da schiavi a liberti,
fino a membri dell’amministrazione
imperiale, e militari. Escludeva le
donne e chiedeva uomini forti e
disciplinati.
Nel 307 Diocleziano rese omaggio alla
divinità come a una protettrice
dell’impero. Presso gli ambienti
militari il culto ebbe particolarmente
successo e di conseguenza, nelle zone a
forte presenza militare, il dio Mitra
divenne una divinità molto importante.
Con la penetrazione dei culti orientali,
alcuni studiosi avevano ipotizzato un
cambio di religione radicale avvenuto
nell’impero tra il II e il III secolo
d.C. Jacqueline Champeaux e altri negano
quest’ipotesi.
La religione romana ebbe sicuramente
un’evoluzione, ma senza mai perdere di
vista i culti degli antenati. Il
paganesimo subì un cambiamento, non una
conversione. Nessun ripudio della
fede antica, ma l’adozione di nuovi
culti per allargare il pantheon.
Il mondo romano del II e del III secolo
è pluralista sul piano religioso
e spirituale. In questo periodo si
assiste a un ampliamento notevole dei
culti e così per le credenze e le
pratiche religiose. Tutto diventa anche
più caotico, con la presenza di magia e
astrologia mescolate alla spiritualità.
Gli imperatori giocano un ruolo
importante in questa situazione ed è
noto quanto l’astrologia, in
particolare, affascinò Tiberio e Nerone.
Nuove figure divine affiancano le
precedenti senza scalzarle. Non cambia
la religione, ma il modo di viverla.
Progressivamente il rapporto dei fedeli
con la divinità non si trasmette più
attraverso la consuetudine e il culto
della città, ma si forma con la fede e
la speranza, diventa adesione
individuale, scelta personale. Il futuro
passaggio al cristianesimo sarà un punto
di rottura radicale, ma in questo caso
il percorso rimane parallelo. A
incoraggiare la ricerca del nuovo era
anche la nuova visione della vita dopo
la morte.
Le ricerche di Franz Cumont sui
monumenti funerari del II secolo fanno
emergere una vita futura piena di luce.
Le anime sono destinate al cielo, tra la
luce delle stelle, della luna e del
Sole. È nuova consolazione dopo la
perdita di un congiunto. Questa continua
ricerca e apertura a nuove religioni
ebbe come effetti quelli di adottare
altri dei, di creare un sincretismo
sempre più accentuato. Questa forma di
religione era sempre esistita, ma la
fusione di credenze prende il
sopravvento in questa fase.
Uno dei personaggi della storia romana
che forse incarna meglio questa
evoluzione religiosa è l’imperatore
romano Lucio Domizio Aureliano. Nato a
Sirmio, in Pannonia (attuale Serbia), da
una famiglia di umili origini, padre ex
militare e madre sacerdotessa del culto
del Sol Invictus, condusse una brillante
carriera nell’esercito dov’era entrato a
20 anni. Lottò contro i Galli, i Goti e
i Sarmati. Divenne magister equitum
(generale della cavalleria) e partecipò
alla congiura contro l’imperatore
Gallieno, favorendo l’ascesa di Claudio.
Aureliano condusse la campagna contro i
Goti su incarico del nuovo imperatore
che però poco dopo si ammalò di peste e
morì. Aureliano venne proclamato
imperatore dall’esercito nel 270 d.C.
Sconfisse diversi popoli barbari e
mantenne intatto l’impero. Quindi
rivolse la sua attenzione a Oriente dove
nel frattempo la regina Zenobia si era
proclamata regina di Palmira. Nel 272,
l’imperatore ottenne una chiara vittoria
e da Oriente portò a Roma le statue
degli dei siriaci Bel e Helios e le pose
nel tempio dedicato al Sol Invictus,
consacrato nel 274.
La festa, che cadeva il 25 dicembre (Dies
Natalis Solis Invicti), celebrava la
divinità del Sole, ma non quello romano,
bensì quello siriaco, dio di Palmira che
aveva deciso di sostenere l’imperatore
abbandonando i suoi. La grande
intuizione di Aureliano fu quella di
ridisegnare la figura della divinità
secondo i costumi romani. Il dio esotico
di Eliogabalo sconvolgeva la mentalità
romana, mentre il nuovo deus attirava.
La classe sacerdotale, i giochi ogni 4
anni, culti e celebrazioni in perfetto
stile romano erano a disposizione di un
dio orientale. Sole e principe hanno
funzioni parallele. Uno regna sugli dei,
l’altro è dio fra gli uomini.
Giove viene sostituito dal Sol
Invictus. In Campo Marzio viene
installato un edificio sontuoso dedicato
al nuovo culto. Tale culto avrà un tale
successo che sopravvivrà al suo
fondatore, Aureliano, ma soprattutto,
rimarrà parte fondamentale della
religione romana fino al tramonto del
paganesimo. Il culto del Sole instaurato
da Aureliano ufficializzava i principi
dell’enoteismo e introduceva nella
realtà del neopaganesimo romano le
speculazioni mistico-filosofiche della
teologia solare.
A inizio del IV secolo il culto solare
trovò nella famiglia di Costantino un
nuovo slancio. Nel 305, infatti,
Costanzo Cloro, Cesare della Gallia
sotto Diocleziano, dichiarò la propria
discendenza dal Sol Invictus. Costantino ne
fu fervente sostenitore. Sulle monete
fece raffigurare il Sol Invictus
con l’iscrizione Soli Invicto Comiti
(Al compagno Sole Invitto). Con
un decreto del 7 marzo 321 venne
stabilito che il giorno del Sole sarebbe
stato il primo della settimana e avrebbe
dovuto essere dedicato al riposo.
Anche con l’avvento definitivo della
dottrina cristiana, Costantino,
nonostante l’avvicinamento a
quest’ultima religione, non prese mai
ufficialmente le distanze dal culto
degli astri, e si hanno conferme
indirette che fino a poco prima della
sua morte i buoni auspici astrologici
facessero parte dei panegirici a lui
indirizzati da figure pubbliche di
indubbia fama e pertanto,
verosimilmente, non sgraditi.
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