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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 156 / DICEMBRE 2020 (CLXXXVII)


antica

AURELIANO E IL SINCRETISMO RELIGIOSO

IL CULTO DEL SOL INVICTUS

di Marco Sigaudo

 

Nel corso del III secolo d.C. l’impero romano vive una profonda crisi, chiamata dagli storici “anarchia militare”. Anarchia poiché, nel corso di un cinquantennio (235-284 d.C.), si succedono una ventina di imperatori, quasi tutti morti violentemente e perlopiù scelti dall’esercito. Infatti il principato creato da Augusto si basava inizialmente sulla discendenza dal divinizzato Cesare (per quanto riguarda i giulio-claudi, 27 a.C. – 68 d.C.), poi sulla dinastia Flavia (69-96 d.C.).

 

Al principio dinastico segue quello dell’adozione poiché, per un caso fortuito, nessun imperatore ha un figlio maschio, almeno fino a Commodo, figlio di Marco Aurelio, che pone fine alla dinastia degli Antonini (96-193 d.C.). Altre guerre civili finiscono per porre al comando i Severi (193-235 d.C.), finché alla morte dell’ultimo esponente, Alessandro, si apre il periodo di anarchia militare.

 

In questa fase di confusione politica, il mondo romano, ormai divenuto un grande impero, conosce una trasformazione sotto diversi punti di vista e l’ambito religioso fu sicuramente uno degli aspetti che subì le maggiori trasformazioni. Con il passare del tempo, infatti, la figura del vecchio romano pio e devoto a qualche divinità, attento nel seguire i rituali in maniera scrupolosa andava scomparendo. I valori che avevano caratterizzato la religione romana fino al I secolo scomparvero.

 

Nel pieno della guerra civile, l’unico forse che intuì l’importanza di una ripresa della devozione religiosa fu Giulio Cesare. Egli comprese quanto fosse importante avvicinare la dimensione religiosa a quella politica. Nel 63 a.C. lottò con tenacia contro Lutazio Catulo per ottenere il titolo di Pontifex Maximus; egli puntava alla creazione di un vero e proprio culto della personalità e, ancora in vita, sostenne la sua discendenza da Venere e iniziò a farsi erigere statue come semidio.

 

Giulio Cesare è Genius, cioè persona che è accompagnata dalla nascita alla morte da questo particolare spirito, il Genio appunto. Questo spirito sopravvive alla morte corporale della persona. Questi tentativi di Cesare, apparentemente tramontati con il suo omicidio avvenuto nel 44 a.C., proseguirono in realtà con il suo successore Ottaviano che praticamente divinizzò la figura del predecessore. Il nuovo signore di Roma consolidò il proprio regime personale nei 45 anni del suo governo. Dal 12 a.C. divenne Pontifex Maximus e provvide sin dall’inizio a rilanciare il culto romano.

 

Durante la sua vita mortale, Augusto ha ricoperto tutte le cariche religiose vigenti. Ottaviano fu membro di tutti i collegi sacerdotali. Con Ottaviano Imperatore, la figura del principe assumerà sempre più i connotati di mediatore indispensabile fra gli dei del cielo e i comuni mortali. Questa nuova immagine del sovrano non è tuttavia nuova ed era tipica delle figure degli imperatori di altri popoli antichi. Come sostiene Jacqueline Champeaux, nel caso di Roma imperiale non si può parlare di un culto dell’imperatore ma di diversi culti imperiali.

 

Già nella Roma primitiva i re erano divinizzati e successivamente anche nella Roma repubblicana gli imperatores si sono attribuiti caratteristiche sovraumane. L’entusiasmo spontaneo della gente, nato dai successi di Ottaviano portarono il nuovo signore di Roma a essere considerato un Divus non solo dopo la morte ma anche durante la vita.

 

Un elemento di notevole importanza che crebbe in modo deciso durante l’impero di Augusto, fu la penetrazione sempre più massiccia dei culti dell’Oriente. Vediamo di analizzare le cause di tali cambiamenti.

 

La religione romana, per sua natura, era troppo legata allo stato e troppo poco mistica. Degli dei, i poveri mortali sapevano poco. Le religioni orientali, invece, rispondevano a diversi interrogativi in modo nuovo e soddisfacente. Religioni esoteriche, salvifiche che offrono al fedele la possibilità dell’incontro faccia a faccia con la divinità e lo riempiono spiritualmente. Il culto di Cibele, o degli dei egizi (Iside e Serapide) o ancora gli dei siriani sono accolti con grande devozione dai romani La divinità persiana fu sicuramente tra quelle che riscossero maggiore successo. Le prime informazioni certe della sua diffusione nell’impero sono datate del I secolo.

 

Nella Tebaide di Stazio, il nome di Mitra viene citato come Sole. È il Sole Invitto (Sol Invictus) che doma il toro nell’antro persico. È una religione praticata da piccole comunità, in segreto. I culti e le celebrazioni non erano pubbliche, ma private. Mitra, anche se distinto inizialmente dal dio Sole, è nato il 25 dicembre, nato dalla roccia, in una grotta, così come la luce si sprigiona dal cielo.

 

La liturgia mitraica riattualizza il mito della creazione, mantiene vivo il dualismo e la lotta tra Bene-Male. Una creazione minacciata dalla carenza di acqua, ma Mitra è il salvatore che uccidendo il Toro, detentore della sorgente, salva il mondo. Si parla di un dramma della salvezza: dell’universo e individuale, di ciascuno di noi. La creazione è rigenerata. Questa religione è molto complessa, ricca di simboli e di riti vari, come quelli d’iniziazione. I fedeli di Mitra provengono da ambienti sociali diversi: da schiavi a liberti, fino a membri dell’amministrazione imperiale, e militari. Escludeva le donne e chiedeva uomini forti e disciplinati.

 

Nel 307 Diocleziano rese omaggio alla divinità come a una protettrice dell’impero. Presso gli ambienti militari il culto ebbe particolarmente successo e di conseguenza, nelle zone a forte presenza militare, il dio Mitra divenne una divinità molto importante.

Con la penetrazione dei culti orientali, alcuni studiosi avevano ipotizzato un cambio di religione radicale avvenuto nell’impero tra il II e il III secolo d.C. Jacqueline Champeaux e altri negano quest’ipotesi.

 

La religione romana ebbe sicuramente un’evoluzione, ma senza mai perdere di vista i culti degli antenati. Il paganesimo subì un cambiamento, non una conversione. Nessun ripudio della fede antica, ma l’adozione di nuovi culti per allargare il pantheon.

Il mondo romano del II e del III secolo è pluralista sul piano religioso e spirituale. In questo periodo si assiste a un ampliamento notevole dei culti e così per le credenze e le pratiche religiose. Tutto diventa anche più caotico, con la presenza di magia e astrologia mescolate alla spiritualità. Gli imperatori giocano un ruolo importante in questa situazione ed è noto quanto l’astrologia, in particolare, affascinò Tiberio e Nerone. Nuove figure divine affiancano le precedenti senza scalzarle. Non cambia la religione, ma il modo di viverla.

 

Progressivamente il rapporto dei fedeli con la divinità non si trasmette più attraverso la consuetudine e il culto della città, ma si forma con la fede e la speranza, diventa adesione individuale, scelta personale. Il futuro passaggio al cristianesimo sarà un punto di rottura radicale, ma in questo caso il percorso rimane parallelo. A incoraggiare la ricerca del nuovo era anche la nuova visione della vita dopo la morte.

 

Le ricerche di Franz Cumont sui monumenti funerari del II secolo fanno emergere una vita futura piena di luce. Le anime sono destinate al cielo, tra la luce delle stelle, della luna e del Sole. È nuova consolazione dopo la perdita di un congiunto. Questa continua ricerca e apertura a nuove religioni ebbe come effetti quelli di adottare altri dei, di creare un sincretismo sempre più accentuato. Questa forma di religione era sempre esistita, ma la fusione di credenze prende il sopravvento in questa fase.

 

Uno dei personaggi della storia romana che forse incarna meglio questa evoluzione religiosa è l’imperatore romano Lucio Domizio Aureliano. Nato a Sirmio, in Pannonia (attuale Serbia), da una famiglia di umili origini, padre ex militare e madre sacerdotessa del culto del Sol Invictus, condusse una brillante carriera nell’esercito dov’era entrato a 20 anni. Lottò contro i Galli, i Goti e i Sarmati. Divenne magister equitum (generale della cavalleria) e partecipò alla congiura contro l’imperatore Gallieno, favorendo l’ascesa di Claudio.

 

Aureliano condusse la campagna contro i Goti su incarico del nuovo imperatore che però poco dopo si ammalò di peste e morì. Aureliano venne proclamato imperatore dall’esercito nel 270 d.C. Sconfisse diversi popoli barbari e mantenne intatto l’impero. Quindi rivolse la sua attenzione a Oriente dove nel frattempo la regina Zenobia si era proclamata regina di Palmira. Nel 272, l’imperatore ottenne una chiara vittoria e da Oriente portò a Roma le statue degli dei siriaci Bel e Helios e le pose nel tempio dedicato al Sol Invictus, consacrato nel 274.

 

La festa, che cadeva il 25 dicembre (Dies Natalis Solis Invicti), celebrava la divinità del Sole, ma non quello romano, bensì quello siriaco, dio di Palmira che aveva deciso di sostenere l’imperatore abbandonando i suoi. La grande intuizione di Aureliano fu quella di ridisegnare la figura della divinità secondo i costumi romani. Il dio esotico di Eliogabalo sconvolgeva la mentalità romana, mentre il nuovo deus attirava. La classe sacerdotale, i giochi ogni 4 anni, culti e celebrazioni in perfetto stile romano erano a disposizione di un dio orientale. Sole e principe hanno funzioni parallele. Uno regna sugli dei, l’altro è dio fra gli uomini.

 

Giove viene sostituito dal Sol Invictus. In Campo Marzio viene installato un edificio sontuoso dedicato al nuovo culto. Tale culto avrà un tale successo che sopravvivrà al suo fondatore, Aureliano, ma soprattutto, rimarrà parte fondamentale della religione romana fino al tramonto del paganesimo. Il culto del Sole instaurato da Aureliano ufficializzava i principi dell’enoteismo e introduceva nella realtà del neopaganesimo romano le speculazioni mistico-filosofiche della teologia solare.

 

A inizio del IV secolo il culto solare trovò nella famiglia di Costantino un nuovo slancio. Nel 305, infatti, Costanzo Cloro, Cesare della Gallia sotto Diocleziano, dichiarò la propria discendenza dal Sol InvictusCostantino ne fu fervente sostenitore. Sulle monete fece raffigurare il Sol Invictus con l’iscrizione Soli Invicto Comiti (Al compagno Sole Invitto). Con un decreto del 7 marzo 321 venne stabilito che il giorno del Sole sarebbe stato il primo della settimana e avrebbe dovuto essere dedicato al riposo.

 

Anche con l’avvento definitivo della dottrina cristiana, Costantino, nonostante l’avvicinamento a quest’ultima religione, non prese mai ufficialmente le distanze dal culto degli astri, e si hanno conferme indirette che fino a poco prima della sua morte i buoni auspici astrologici facessero parte dei panegirici a lui indirizzati da figure pubbliche di indubbia fama e pertanto, verosimilmente, non sgraditi.                                        

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]