N. 43 - Luglio 2011
(LXXIV)
Aureliano
l’imperatore, l’eroe
di Flavio Guerrieri
Il
nome
di
Aureliano
non
è
molto
conosciuto.
Certo,
chi
non
conosce
le
mitiche
ed
imponenti
Mura
Aureliane
che
circondano
la
Città
Eterna?
Nonostante
ciò
molti
le
attribuiscono
al
ben
più
noto
imperatore-filosofo
Marco
Aurelio.
Oppure
chi
non
conosce
le
imprese
degli
Scipioni,
di
Cesare
o
quelle
di
Traiano?
Ma
se
non
ci
fosse
stato
l’instancabile
Aureliano,
forse
il
mondo
che
noi
conosciamo
sarebbe
diverso
e
Roma
sarebbe
caduta
ben
prima.
Uno
scrittore
del
IV
sec.
affermava
che
Aureliano
aveva
riconquistato
“l’orbe
romano”
nel
giro
di
tre
anni,
mentre
Alessandro
Magno
ne
avrebbe
impiegati
tredici
per
raggiungere
l’India
e
Cesare
dieci
per
conquistare
la
Gallia.
L’opera
compiuta
da
Aureliano
permise
a
Roma
di
sopravvivere
per
altri
200
anni
e
risulta
ancor
più
grandiosa
se
si
osserva
la
grave
situazione
in
cui
si
trovava
l’Impero.
Nel
259
d.C.
l’Imperatore
Valeriano
era
stato
catturato
dai
Persiani
e il
figlio
Gallieno
aveva
dovuto
combattere
per
sopravvivere
tra
barbari
e
usurpatori
continui.
Sfortunatamente
negli
anni
successivi
alla
cattura
del
padre
non
poté
affrontare
i
potentati
di
Zenobia
e di
Postumo,
sorti
rispettivamente
in
Oriente
il
primo
e in
Gallia
il
secondo,
anche
se
aveva
avviato
numerose
riforme
militari
che
avrebbero
cambiato
per
sempre
l’esercito
romano
introducendo
quello
del
Basso
Impero.
Tuttavia
i
capi
della
cricca
militare,
i
futuri
imperatori
Claudio
ed
Aureliano,
non
comprendevano
la
sua
politica
lungimirante
ritenendo
un
sintomo
di
debolezza
la
sua
tolleranza
nei
confronti
dei
due
potentati
causato,
secondo
loro,
dal
suo
spirito
filoellenico
e
amante
della
filosofia
che
loro,
convinti
assertori
degli
antichi
e
severi
costumi
romani,
non
accettavano.
Gli
scopi
che
questi
ufficiali
si
proponevano
era
di
ricostruire
l’unità
dell’Impero
e
cacciare
i
barbari
che
lo
disturbavano
in
qualunque
modo
e
senza
preoccuparsi
di
quanto
ciò
potesse
costare.
Loro
erano
soldati
fin
dentro
le
ossa
e
quindi
giudicavano
di
dover
risolvere
i
problemi
di
Roma
con
la
sola
forza
della
spada.
Quindi
una
volta
ucciso
Gallieno,
Claudio
II
prima
ed
Aureliano
poi,
misero
al
servizio
di
questi
scopi
tutte
le
forze
materiali
e
morali
che
l’Impero
possedeva.
Tuttavia
il
loro
programma
poterono
metterlo
in
atto
solo
in
parte,
lasciando
un
eredità
che
avrebbe
raccolto
Diocleziano.
Ma
seguiamo
il
percorso
che
compì
Roma
in
questo
periodo
tramite
la
vita
di
Aureliano.
Già
sul
luogo
natio
di
Aureliano
ci
sono
dei
dubbi,
anche
se
la
teoria
attualmente
più
accreditata
afferma
che
lui
sia
originario
di
un
qualche
paese
della
Mesia
Inferiore.
Nacque
nel
214
d.C.
figlio
di
coloni
poveri.
La
sua
giovinezza
e
poi
la
sua
successiva
carriera
sono
caduti
nel
profondissimo
oblio
della
Storia,
anche
perché
tutte
le
informazioni
che
da
sulla
sua
vita
la
Storia
Augusta
sono
state
ritenute
invenzioni.
In
ogni
caso
Aureliano
esce
dall’anonimato
nel
268
d.C.
allorquando
gli
viene
affidato
un
comando
di
cavalleria
nell’Italia
settentrionale
e,
con
l’aiuto
del
compatriota
e
amico
Claudio
(futuro
imperatore),
reprime
nel
sangue
la
rivolta
di
Aureolo
contro
l’Imperatore
legittimo
Gallieno.
Però
poi,
ritenendo
fiacco
il
suo
comportamento
nei
confronti
degli
usurpatori
(Postumo
in
Gallia,
Spagna
e
Germania
e
Zenobia
nelle
province
asiatiche),
tramò
per
la
sua
eliminazione
assieme
agli
alti
vertici
dell’esercito,
che
erano
capeggiati
da
lui
stesso
e da
Claudio,
che
venne
fatto
Imperatore.
In
quel
momento
l’Imperatore
legittimo
controllava,
e
non
sempre,
solo
l’Italia,
l’Illiria
(che
era
diventata
anche
il
perno
portante
dell’esercito
e da
cui
venivano
i
soldati
e i
generali
migliori),
la
Tracia,
le
province
africane
(anche
se
l’Egitto
era
costantemente
esposto
agli
attacchi
esterni
e le
altre
province
erano
sotto
pressione
a
causa
della
minaccia
berbera),
la
Grecia
e
parte
dell’Asia
minore.
Nel
suo
breve
regno
Claudio
II
Gotico
riuscì
a
riconquistare
la
Spagna
e la
Gallia
Narbonese
sottraendola
al
controllo
dell’Imperium
Galliarum
e
sconfiggendo
i
Goti
nella
grande
battaglia
di
Naissus,
da
cui
deriva
il
suo
nome
“gotico”
ma
perdendo
alcuni
possedimenti
asiatici
e
l’Egitto,
entrambi
conquistati
da
Zenobia,
la
vedova
di
Odenato,
il
principe
autore
della
eroica
difesa
dell’Oriente
contro
i
Persiani
per
Gallieno,
in
seguito
alla
disfatta
di
Valeriano
ad
Emessa
nel
259.
Con
la
morte
di
Claudio,
avvenuta
a
Sirmium
a
causa
della
peste,
Aureliano
fu
nominato
Imperatore
dall’esercito.
In
quel
momento
si
trovava
in
Pannonia
a
combattere
i
Vandali,
mentre
un
nutrito
numero
di
Iutungi
avevano
attraversato
indisturbati
il
Reno
raggiungendo
l’Italia
settentrionale.
Aureliano,
preoccupato
dalla
minaccia
nella
penisola
italica,
sconfisse
rapidamente
i
Vandali
e
pose
fine
alla
guerra
gotica,
mentre
faceva
eliminare
Quintilio,
il
fratello
minore
di
Claudio,
che
era
stato
nominato
imperatore
dai
suoi
soldati
trovando
anche
il
favore
del
Senato.
Una
volta
libero
dalle
guerre
d’oltralpe,
Aureliano
corse
in
Italia
e
venne
a
battaglia
con
gli
Iutungi
a
Placentia
(Piacenza)
ma
ne
riportò
una
sconfitta.
Allora,
temendo
a
buon
diritto
che
Roma
potesse
essere
minacciata,
ordinò,
d’accordo
con
il
Senato
che
tuttavia
continuò
a
guardarlo
con
diffidenza,
la
costruzione
delle
“mura
aureliane”
la
cui
costruzione
terminò
dopo
la
sua
morte.
Intanto
Zenobia
in
Oriente,
ritenendo
che
ormai
l’Impero
di
Roma
si
stesse
sfasciando
definitivamente,
si
alleò
con
i
Persiani
facendo
eleggere
il
proprio
figlio
Vaballato
imperatore.
Ma
Aureliano
non
si
perse
d’animo
e,
con
le
sue
truppe
perlopiù
illiriche,
continuò
a
lottare:
a
Fanum
Fortunae
(Fano)
in
Umbria
e a
Patavium
(Pavia)
portò
all’epilogo
l’azione
militare
degli
Iutungi
con
un
massacro
sul
campo
di
battaglia.
I
germani
chiesero
il
rinnovo
del
precedente
trattato
di
pace,
che
includeva
alcuni
sussidi,
ma
tutte
le
loro
proposte
furono
rifiutate,
concedendo
loro
solo
la
possibilità
di
poter
tornare
vivi
in
patria
dopo
aver
consegnato
tutto
il
bottino.
L’incontro
tra
l’Imperatore
e
gli
emissari
degli
Iutungi
colpì
profondamente
Desippo,
scrittore
greco
contemporaneo
degli
avvenimenti
qui
trattati,
che
racconta
avvenne
con
l’esercito
romano
schierato
ed
in
assetto
da
guerra
mentre
Aureliano,
coperto
da
un
mantello
di
porpora,
sedeva
su
una
piattaforma
rialzata.
Sistemati
gli
Iutungi,
Aureliano
non
riposò
sugli
allori:
libero
in
Occidente,
cominciò
subito
la
marcia
verso
l’Oriente
per
sconfiggere
Zenobia.
In
Asia
Minore
sconfisse
tutte
le
truppe
che
incontrò
lungo
il
cammino,
conquistò
Antiochia
e
presso
Emesa
ottenne
una
grande
vittoria
contro
il
grosso
dell’esercito
di
Palmyra.
Poi,
dopo
una
lunga
e
faticosa
marcia
nel
deserto,
cinse
d’assedio
Palmyra.
Volendo
evitare
un
lungo
ad
assediare,
Aureliano
cercò
di
venire
a
patti
con
Zenobia
ma,
ottenendo
solo
dei
rifiuti,
fu
costretto
a
continuare.
Con
un
lauto
compenso
ottenne
la
defezione
dei
nomadi
del
deserto
che
disturbavano
l’assedio,
mentre
sconfisse
le
truppe
persiane
mandate
a
rompere
l’accerchiamento:
Palmyra
dovette
capitolare.
Zenobia,
che
era
fuggita
tentando
di
ricongiungersi
all’alleato
persiano,
fu
catturata
mentre
cercava
di
attraversare
l’Eufrate.
Tuttavia
lei,
il
figlio
e i
più
eminenti
tra
i
cittadini
di
Palmyra
ebbero
salva
la
vita
per
venire
trascinati
a
Roma
come
parte
del
trionfo.
Zenobia
poi
morirà
nel
275,
nello
stesso
anno
di
Aureliano,
dopo
esserne
stata
l’amante
ottenendo
l’ammirazione
di
Edward
Gibbon
quasi
2000
anni
dopo.
Nonostante
i
grandi
successi
ottenuti,
che
avevano
permesso
all’Impero
di
riprendersi
buona
parte
delle
province
orientali
anche
se
la
Mesopotamia
rimaneva
ancora
sotto
i
Persiani,
Aureliano
per
quel
momento
non
era
in
grado
di
poter
armare
una
nuova
guerra
contro
lo
storico
nemico
di
Roma.
Così
cominciò
la
marcia
per
tornare
in
Europa,
fermandosi
però
nella
Mesia
inferiore
(parte
del
territorio
dell’ex
Iugoslavia)
per
respingere
un
attacco
dei
Carpi
che
furono
sconfitti
e
ricacciati
oltre
confine.
Nel
frattempo
sopraggiunsero
cattive
notizie
dall’Oriente:
Palmyra
era
di
nuovo
sul
piede
di
guerra
e
alla
rivolta
si
era
unito
l’Egitto.
C’era
il
grave
pericolo
di
perdere
nuovamente
l’Oriente
e
che
la
lunga
guerra
fosse
stata
combattuta
invano.
A
marce
forzate
Aureliano
tornò
in
Oriente
e
questa
volta
non
fu
per
niente
clemente:
Palmyra
venne
rasa
al
suolo
e la
rivolta
soffocata
nel
sangue.
L’Imperatore,
sicuro
ormai
di
non
lasciare
alle
sue
spalle
possibili
nemici,
poté
tornare
in
Occidente
per
saldare
i
conti
con
l’Imperium
Galliarum,
che
per
15
anni
aveva
reso
precario
l’equilibrio
dell’Impero.
Oltretutto
l’usurpatore
Tetrico
si
trovava
in
gravi
difficoltà
visto
che
non
era
un
valente
generale
come
il
predecessore
Postumo
e i
Germani
stavano
mettendo
a
ferro
e
fuoco
la
Gallia.
Nel
274
avvenne
la
battaglia
campale
tra
l’esercito
dell’usurpatore
e i
soldati
di
Aureliano
ai
Campi
Catalaunii
(famosi
poi
per
la
successiva
battaglia
tra
Ezio
e
Attila,
ma
già
protagonista
di
scontri
armati
fin
dai
tempi
di
Settimio
Severo)
subendo
una
grave
sconfitta.
Tetrico
ebbe
la
vita
salva
perché
era
passato
dalla
parte
di
Aureliano
ancor
prima
della
battaglia.
Dopo
quasi
tre
generazioni
l’Impero
era
di
nuovo
unito
e
sotto
un
unico
Imperatore.
A
Roma
Aureliano
celebrò
un
trionfo
degno
delle
sue
gesta
e
gli
venne
attribuito
il
titolo
di “restitutor
orbis”.
Questo
non
significa
che
il
territorio
di
Roma
avesse
superato
indenne
quarant’anni
di
guerre
ininterrotte:
la
Dacia
era
stata
sgomberata
e
abbandonata
ai
Goti,
la
nuova
frontiera
settentrionale
si
attestava
sul
lato
sinistro
sia
del
Reno
sia
del
Danubio
mentre
la
Mesopotamia
era
ancora
sotto
i
Sasanidi
di
Persia.
I
Romani
che
vivevano
in
Dacia
vennero
sistemati
in
due
nuove
province
create
sul
lato
meridionale
del
Danubio.
La
guerra
in
Oriente
aveva
cambiato
profondamente
Aureliano,
tanto
che
fu
il
primo
Imperatore
della
storia
di
Roma
a
cingersi
il
capo
con
il
diadema
e
volle
indossare
vesti
di
derivazione
orientale.
Sulle
monete
si
fece
denominare
“dominus
et
deum”,
signore
e
dio:
cominciava
il
dominio
autocratico
del
Basso
Impero.
In
quest’ultimo
anno
di
vita
Aureliano
stette
perlopiù
a
Roma
cercando
di
arginare
i
problemi
economici
con
cui
avrebbe
successivamente
dovuto
lottare
anche
Diocleziano.
La
corte
non
era
per
niente
dispendiosa
giacché
Aureliano
visse
sempre
sobriamente
come
un
soldato.
La
guerra
in
Oriente
aveva
permesso
al
pubblico
erario
un
rientro
in
gran
quantità
di
metallo
pregiato,
mentre
la
riforma
monetaria
diventava
sempre
più
urgente
e
Aureliano
la
realizzò
con
grande
determinazione.
La
zecca
di
Roma
era
la
più
corrotta
in
quanto
emetteva
monete
senza
metalli
pregiati
al
suo
interno
mentre
il
personale
ne
traeva
illeciti
guadagni
e
non
aveva
intenzione
di
rinunciare
ai
propri
privilegi,
così
che
si
arrivò
alla
rivolta
armata.
Aureliano
non
si
fece
problemi
e
risolse
la
questione
da
buon
soldato:
7000
morti
sulla
pubblica
piazza.
Chiuse
tutte
le
zecche
sparse
per
l’Impero
tranne
quella
di
Roma,
Alessandria
e
delle
città
maggiori,
e
ordinò
la
coniazione
di
monete
con
maggior
metallo
pregiato
rispetto
a
quelle
precedenti:
nasceva
il
billone.
Nonostante
le
sue
monete
non
fossero
neanche
paragonabili
alla
qualità
di
quelle
dell'età
augustea,
la
sua
riforma
fiscale
ebbe
un
effetto
benefico
per
tutto
l’Impero.
Aureliano,
grande
amante
di
Roma,
ne
ebbe
una
cura
particolare
riformando
tutto
il
sistema
dell’approvvigionamento
di
cibo:
a
posto
del
grano
i
cittadini
ricevettero
pane
e
oltre
all’olio
che
ricevevano
di
diritto
fu
dato
loro
sale
e
carne
di
maiale.
Per
garantire
queste
imponenti
distribuzioni
alimentari
riformò
l’intero
sistema
dell’annona:
artigiani
e
commercianti
vennero
obbligati
ad
iscriversi
a
corporazioni
alle
quali
appartenevano
dalla
nascita
alla
morte,
anticipando
così
aspetti
della
società
del
Basso
Impero
e
medievale,
con
la
differenza
che
queste
corporazioni
servivano
per
gli
interessi
dello
Stato
e
non
degli
iscritti.
In
cambio
ricevevano
compensi
stabiliti
per
legge
e
l’esonero
dalle
tasse
ordinarie.
Aureliano
si
occupò
anche
di
religione:
infatti,
elevò
al
rango
di
massima
divinità
dell’Impero
il
Sol
Invictus,
già
adorato
nella
sua
patria
e
dalla
maggior
parte
dei
soldati,
dotandolo
di
uno
splendido
tempio
a
Roma
ed
istituendo
un
collegio
di
sacerdoti
presieduto
da
lui
stesso,
mentre
il
giorno
dedicato
al
suo
culto
sarebbe
stato
il
25
dicembre,
che
sopravisse
anche
nel
cristianesimo.
Dopo
tutte
queste
manovre
non
aveva
tralasciato
la
cura
dell’esercito
e
nel
275
radunò
un
imponente
armata
e si
mise
in
marcia
verso
la
Persia
per
vendicare
l’aiuto
alla
rivolta
palmirea
e
per
riconquistare
la
Mesopotamia.
Tuttavia,
quando
si
trovava
in
Tracia,
avvenne
un
incidente
che
avrebbe
cambiato
la
storia.
Aureliano
venne
a
conoscenza
che
Eros,
un
suo
segretario,
gli
aveva
mentito
e
quindi
minacciò
di
punirlo.
Aureliano
era
conosciuto
anche
come
“manum
ad
ferrum”
(mano
alla
spada)
per
la
sua
estrema
severità
e
quindi
Eros,
temendo
per
la
propria
vita,
parlò
con
alcuni
ufficiali
della
guardia
pretoriana
dicendo
loro
che
sarebbero
stati
puniti
anche
loro
e
Mucapor,
uno
di
loro,
assassinò
Aureliano.
Lui
era
il
primo
e
l’ultimo
Imperatore
ucciso
per
una
così
banale
ragione.
Aureliano
quando
morì
lasciava
un
Impero
unito
e
con
un
esercito
forte
e
veterano
di
mille
battaglie.
La
sua
opera
di
consolidamento,
interrotta
bruscamente
dalla
sua
morte,
sarà
ripresa
e
terminata
da
Diocleziano.
I
suoi
immediati
successori
ebbero
solo
il
compito
di
difendere
l’Impero
dai
vari
barbari
che
di
volta
in
volta
superavano
il
confine
e di
portare
a
compimento
la
vendetta
contro
i
Persiani,
anch’essa
portata
a
termine
da
Diocleziano.