N. 26 - Luglio 2007
AUNG SAN SUU
KYI
L'ultima beffa del regime di Myanmar
di Stefano De Luca
Gli ex presidenti degli Stati Uniti
d’America Bill Clinton e George Bush senior e l'ex
presidente della Commissione europea Jacques Delors
hanno firmato, nel mese di maggio, un documento,
sottoscritto in tutto da 59 leader mondiali, per il
rilascio di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per
la pace nel 1991, agli arresti domiciliari a Yangon
(la ex Rangoon) nel Myanmar (la ex Birmania) da più di
dieci anni.
In una lettera al capo della giunta
militare di Myanmar, il generale Than Shwe, i 59
firmatari chiedono “la liberazione immediata
dell'unico Premio Nobel per la pace detenuto oggi al
mondo, Aung San Suu Kyi”.
I firmatari, infatti, sostengono che la sessantunenne
Suu Kyy non sia una sovversiva che vuole una
rivoluzione in Myanmar, ma una donna che chiede alla
giunta militare che guida il suo Paese un dialogo
pacifico e non violento con la Lega nazionale per la
democrazia (il partito di Suu Kyi) e i gruppi etnici
birmani.
Oltre all'ex premier norvegese Kjell Magne Bondevik,
che ha promosso l'iniziativa attraverso il Centro di
Oslo per la pace e i diritti umani, la lista dei
firmatari comprende tra gli altri gli ex primi
ministri Lionel Jospin (Francia), Benazir Bhutto
(Pakistan), Brian Mulroney (Canada) e Junichiro
Koizumi (Giappone), nonché gli ex presidenti Jimmy
Carter (Usa), Lech Walesa (Polonia), Vaclav Havel
(Repubblica Ceca), Fidel Ramos (Filippine), Ricardo
Lagos (Cile) e Kim Dae Jung (Corea del sud).
All’appello dei 59 è seguito quello
dall'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i
diritti umani, Louise Arbour, che ha chiesto al
governo di Myanmar di rilasciare senza condizioni la
leader dell'opposizione democratica se vuole
dimostrare il suo impegno nel rispetto dei diritti
umani e delle regole della democrazia.
Questi appelli sono caduti nel vuoto:
il 25 maggio, infatti, la giunta birmana, alla
scadenza della pena degli arresti domiciliari, ha
deciso di rinnovare per altri 12 mesi la detenzione
del premio Nobel per la pace. Secondo statistiche di
organizzazioni internazionali che lottano a favore dei
diritti umani, si calcola che siano circa 1.200 i
detenuti politici nell'ex Birmania.
La giunta militare birmana, che si è
detta pronta a “combattere il fuoco con il fuoco”, ha
deciso di costituire una nuova milizia civile in ogni
quartiere di Yangon “per tener testa agli attivisti
locali per la democrazia”. La notizia è stata
confermata da un gruppo di giovani, denominato “The
Best Fertilizer Group”, in una nota inviata ai media
birmani in esilio, in seguito ad un incontro sulla
sicurezza che si è tenuto nel comune di Haling Tharyar.
In base agli elementi a disposizione la
nuova milizia, che avrà una rappresentanza in ogni
distretto cittadino, sarà costituita da membri delle
forze di polizia, del consiglio comunale, militari,
infermieri e civili.
Una nuova beffa per Aung San Suu Kyi e
per quanti chiedono il ritorno alla legalità in
Myanmar: la notizia conferma purtroppo in modo
eloquente la volontà della giunta militare di voler
intensificare “nel nome del popolo” i controlli nei
confronti dei dissidenti politici e degli attivisti
per il movimento democratico birmano. |