N. 72 - Dicembre 2013
(CIII)
ROMA, AUGUSTO
VIAGGIO NELL’ETà DELL’ORO
di Massimo Manzo
“La
commedia
è
finita,
applaudite”.
Queste,
secondo
la
tradizione,
furono
le
ultime
parole
di
Caio
Giulio
Cesare
Ottaviano,
passato
alla
storia
come
Augusto,
protagonista
e
artefice
di
un’epoca
unica
ed
irripetibile
della
storia
romana.
Era
il
19
agosto
del
14
dopo
Cristo.
In
coincidenza
con
il
bimillenario
della
morte
le
Scuderie
del
Quirinale
gli
dedicano
una
straordinaria
mostra,
visitabile
fino
al 9
febbraio,
che
si
presenta
come
un
vero
e
proprio
viaggio
nella
vita
e
nella
politica
augustea,
rievocate
attraverso
una
serie
di
importanti
capolavori
provenienti
da
tutto
il
mondo.
Ideatore
del
principato
e
primo
imperatore,
Augusto
lasciò
una
traccia
indelebile
nel
mondo
romano,
mutando
profondamente
l’iconografia
e
l’immagine
del
potere
di
Roma.
Non
a
caso
la
sua
figura
venne
assimilata
dai
contemporanei
e
dai
posteri
a
quella
di
Romolo,
fondatore
di
un
ordine
nuovo,
ma
in
perfetta
continuità
con
le
antiche
tradizioni
dell’Urbe.
Il
“miracolo”
augusteo,
ciò
che
rese
stabile
e
duraturo
il
suo
operato
politico,
fu
infatti
la
capacità
di
trasformare
le
vecchie
e
logore
istituzioni
repubblicane
in
un
regime
autocratico
pur
mantenendole
formalmente
in
vita.
Ribaltando
l’adagio
del
Gattopardo
potremmo
dire
che
Augusto
“cambiò
tutto
senza
cambiare
nulla”,
presentandosi
come
uno
strenuo
difensore
della
repubblica
proprio
nel
momento
in
cui
la
stava
di
fatto
superando.
La
strada
che
lo
portò
ad
essere
glorificato
come
pater
patriae
fu
però
intricata.
Uno
dei
primi
ad
accorgersi
delle
sue
eccezionali
qualità
fu
il
prozio
Cesare,
che
nel
testamento
lo
adottò
nominandolo
suo
erede.
Alla
morte
di
questi,
nel
44
a.C.,
il
giovane
Ottaviano
si
trovò
proiettato
ad
appena
diciannove
anni
in
uno
dei
frangenti
più
difficili
della
storia
repubblicana,
riuscendo
ad
emergere
con
scaltrezza
tra
intrighi,
tradimenti
e
violenze,
fino
ad
eliminare
tutti
i
suoi
avversari.
È il
turbolento
periodo
delle
liste
di
proscrizione,
della
guerra
contro
i
cesaricidi,
del
secondo
triumvirato
e
dello
scontro
finale
con
l’ex
alleato
Antonio
in
Egitto.
Dopo
la
vittoria
nella
battaglia
di
Azio
(31
a.C.),
Ottaviano
diventa
padrone
assoluto
di
Roma,
trasformandosi
da
spregiudicato
politico
in
statista
lungimirante.
Nei
quarant’anni
successivi
ad
Azio,
archiviate
le
guerre
civili,
Augusto
inaugura
infatti
la
cosiddetta
pax
romana,
una
nuova
età
dell’oro,
caratterizzata
da
una
pacificazione
interna
e da
un’espansione
economica
e
artistica
senza
precedenti.
Il
sapiente
percorso
espositivo
della
mostra
accompagna
il
visitatore
dentro
l’età
augustea,
aiutandolo
a
comprendere
sia
il
percorso
politico
del
princeps,
che
il
nuovo
linguaggio
artistico
imperiale.
Spiccano,
nella
prima
parte
dell’itinerario,
i
numerosi
ritratti
statuari
raffiguranti
alcuni
dei
protagonisti
della
vita
di
Augusto.
In
una
virtuale
sfilata
incrociamo
così
il
volto
del
padre
adottivo
Cesare,
della
moglie
Livia,
di
Agrippa
e
degli
sfortunati
figli
adottivi
Gaio,
Lucio
Cesare
e
Marcello,
tutti
e
tre
morti
prematuramente,
fino
al
figliastro
Tiberio,
che
gli
succederà
al
principato.
In
questa
moltitudine
di
statue
spiccano
naturalmente
i
ritratti
di
Augusto,
alcuni
dei
quali
poco
noti
al
grande
pubblico,
come
il
frammento
di
statua
equestre
bronzea
proveniente
da
Atene
e il
cosiddetto
Augusto
di
Meroe,
in
prestito
dal
Louvre.
Nella
maggior
parte
delle
statue
che
lo
ritraggono,
secondo
un
preciso
disegno
propagandistico,
i
tratti
del
princeps
appaiono
idealizzati
e la
sua
immagine
evidenzia
volutamente
il
suo
ruolo
di
primus
inter
pares,
pio
restauratore
dell’ordine
e
delle
tradizioni
della
repubblica
(mentre
spesso
nelle
province
orientali
Ottaviano
fu
oggetto
già
in
vita
di
un
culto
simile
a
quello
tributato
ai
sovrani
ellenistici).
Di
volta
in
volta
lo
vediamo
dunque
indossare
la
toga
di
Pontefice
massimo,
cingere
la
corona
civica
(una
delle
massime
onorificenze
militari)
o
ancora
nelle
vesti
di
comandante
supremo
dell’esercito.
Dal
punto
di
vista
artistico,
l’era
augustea
esprime
al
meglio
lo
stile
statuario
neoattico,
riprendendo
in
toto
i
canoni
della
scultura
greca
del
V
secolo
a.C..
In
una
sorta
di
“ritorno
alla
classicità”
l’arte
romana
glorifica
la
ritrovata
pace
e
diventa
uno
strumento
privilegiato
della
propaganda.
Non
a
caso,
il
celebre
“Augusto
di
Prima
Porta”,
forse
l’opera
più
emblematica
del
periodo,
imita
nelle
proporzioni
il
doriforo
di
Policleto,
scultura
simbolo
dell’età
classica.
Oltre
all’arte
“pubblica”
rappresentata
dalla
statuaria,
poi,
un’intera
ala
della
mostra
è
dedicata
al
lusso
privato,
raccogliendo
una
grande
quantità
di
opere
provenienti
dalle
domus
aristocratiche.
Si
scorgono
allora
incredibili
tesori
di
argenteria,
cammei,
gioielli
di
straordinaria
fattura,
testimonianze
impressionanti
di
un’opulenza
dai
gusti
sofisticati
propria
dell’élite
del
tempo.
In
tutto
ciò,
a
completare
il
quadro,
non
manca
il
richiamo
all’architettura.
Con
l’ausilio
di
suggestive
proiezioni
viene
fornita
infatti
una
panoramica
dei
principali
edifici
costruiti
nell’età
augustea,
tra
i
quali
l’Ara
pacis,
il
Mausoleo
di
Augusto
e
alcuni
templi
del
Foro.
Lo
stesso
Augusto,
d’altronde,
si
vantava
non
a
torto
di
aver
trovato
una
città
di
mattoni
e di
averla
lasciata
di
marmo.
E i
romani,
proclamandone
la
divinizzazione
ufficiale
pochi
giorni
dopo
la
morte,
legarono
il
suo
nome
al
ricordo
della
loro
epoca
più
felice.