[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

162 / GIUGNO 2021 (CXCIII)


antica

AUGUSTO E LA CREAZIONE DEL PRINCIPATO
TRA POLITICA E IDEOLOGIA

di Francesca Lorenzini

 

Uno degli argomenti più affascinanti e dibattuti della storia antica è senza dubbio la creazione del Principato e il suo successivo consolidamento come formula costituzionale decisamente innovativa nel panorama politico antico. Fin dalle scuole elementari sentiamo parlare in modo generico della nascita del grandioso Impero Romano e iniziamo ad acquisire familiarità con alcuni dei nomi di quei personaggi che, con un po’ di vanto, siamo soliti definire come “i nostri prestigiosi antenati”.

 

Se, infatti, volessimo fare maggiore chiarezza su tale argomento ci troveremmo di fronte a una serie di domande che potrebbero sembrare solo apparentemente di facile risposta. Alcuni esempi di questi interrogativi potrebbero essere: Quando e come nacque l’Impero Romano? Quali furono i suoi protagonisti? La sua creazione fu un progetto privo di ostacoli e di immediata realizzazione?

 

Non è certo un caso se, ancora oggi, tali domande diano vita a un acceso e variegato dibattito storico tra gli studiosi più esperti di questo fenomeno. Ma, come ogni storia degna di essere raccontata e “ vissuta ” è necessario procedere per gradi e partire da ciò che può essere considerato convenzionalmente come il suo inizio ovvero lo scontro finale tra Marco Antonio e Ottaviano.

 

Quest’ultimo, dopo aver sconfitto l’acerrimo nemico ed ex-triumviro nella battaglia navale di Azio il 2 settembre del 31 a.C., si ritrovò a essere l’indiscusso padrone dello Stato Romano. A tale periodo si è soliti far risalire l’inizio del Principato augusteo, ovvero un regime istituzionale instaurato e incentrato sulla figura di un unico reggitore, il princeps.

 

Ma il processo non fu così semplice. Infatti, il giovane figlio del Divo Cesare, divenuto Augusto nel 27 a.C., titolo onorifico concessogli dal Senato per i suoi meriti e le sue virtù esclusive, dovette affrontare, infatti, diverse problematiche, prima fra tutte quella dell’ingombrante eredità di una res publica lacerata nel tempo e smembrata definitivamente dalle guerre civili.

 

Il triennio 30-27 a.C. divenne, così, determinante per l’impostazione di un progetto governativo rivoluzionario, che si proponeva, come scopo primario, il ritorno di un duraturo periodo di pace all’interno dello Stato Romano. Frutto di lungimiranza e abilità politica, il miracolo del “camaleontico Augusto”, come lo definì nella metà del IV secolo l’imperatore Giuliano nella sua opera satirica, I Cesari, fu quello di non rompere del tutto con la precedente tradizione che aveva reso Roma una potenza su scala mediterranea.

 

Attraverso un processo di continua sperimentazione, Augusto cercò infatti di coniugare, in base alle contingenze e alle necessità del momento, l’assetto repubblicano e le sue principali istituzioni, (Magistrature urbane, Senato, Popolo) con una nuova forma politico-istituzionale di stampo monarchico. Con questa audace operazione non poteva però rischiare di commettere lo stesso errore di Cesare presentandosi, a tutti gli effetti, come dittatore, un monarca assoluto. Una svolta dichiaratamente autocratica, infatti, avrebbe portato Augusto in aperta collisione con i principi della defunta repubblica ancora tanto cara ad alcuni nostalgici senatori. Così, per non urtare in maniera irreparabile gli animi di alcuni di questi, attraverso la mirata propaganda, di una res publica restaurata, Augusto tracciò, gradualmente, la via per una nuova architettura statale, che avrebbe dovuto poggiare su un’ossatura già ben nota ai Romani.

 

Si trattava ovviamente di una menzogna confezionata ad hoc, una monarchia mascherata sotto la forma di una finta repubblica “resuscitata” in tutti i suoi aspetti. La peculiarità del principato augusteo fu quella di mantenere intatto, almeno a parole e nei suoi aspetti esteriori, quell’involucro essenziale della res publica che nel tempo fu privata di tutte le sue principali prerogative. Queste furono, infatti, riversate nella persona del princeps.

 

Per dare l’impressione di una repubblica rinata e “rimessa a nuovo” come macchina statale della tradizione, Augusto cercò astutamente di creare, soprattutto nei primi anni, una sorta di doppia gestione, una diarchia che aveva come protagonisti essenziali egli stesso nella persona di princeps e i due attori repubblicani per eccellenza: il Senato e il Popolo Romano. Al contrario di molte supposizioni, questo disegno politico, escamotage di successo, non fu quindi il frutto di una chiara e già delineata scelta politica messa in atto freddamente.

 

Il cambio di prospettive politiche era necessario ma, era altrettanto opportuno, conseguirlo in maniera progressiva e nel modo più lecito possibile agli occhi di tutti. Le parole chiave di Augusto furono, quindi, prudenza e pazienza, strumenti necessari per muoversi in un contesto complicato come quello immediatamente successivo alla fine delle guerre civili. Non è un caso che lo storico Tacito, molti anni dopo, nella sua opera gli Annales in modo sottile e non troppo velato scrivesse a tal proposito «[...] Roma era quieta; le magistrature mantenevano gli stessi nomi; i più giovani erano nati dopo la vittoria di Azio e la maggior parte dei vecchi in mezzo alle guerre civili: quanti restavano, dunque, di quelli che avevano visto la Repubblica?»

 

Per portare avanti la macchina statale Augusto aveva bisogno di attuare una personalizzazione di questo progetto che, con il tempo, gli permettesse di emergere e di assumere una posizione di predominio. Per questo, in qualità di princeps, egli comprese, fin da subito, come fosse vitale per la sua persona poter accedere a determinati poteri, avendo l’opportunità di esercitarli in maniera riconosciuta e ufficiale. A partire dal 27 a.C., quindi, attraverso il tanto ricercato consensus universorum, Augusto fu dotato di tre prerogative essenziali che gli permisero di reggere lo Stato in maniera solida fino alla fine dei suoi giorni.

 

Si trattava di privilegi politici come la cosiddetta auctoritas, la quale, in quanto peculiarità esclusiva, sottolineava il suo carisma assoluto; l’imperium proconsulare, divenuto maius molto probabilmente a partire dal 23 a.C., che gli permetteva di agire con i pieni poteri di un promagistrato su tutte le province non pacificate. Infine, la tribunicia potestas, anch’essa ottenuta nello stesso anno.

 

Egli, attraverso l’esercizio della tribunicia, vitalizia, ma rinnovata annualmente, diveniva, a tutti gli effetti, il principale protettore della plebs, stabilendo un contatto privilegiato con il popolo. Inoltre, servendosi dell’intercessio, poteva disporre del diritto di mettere il veto a determinate decisioni, mentre, usufruendo della sacrosanctitas, faceva in modo che la sua persona fosse riconosciuta come sacra e inviolabile.

 

Da sottolineare, inoltre, il fatto che Augusto non assunse mai le magistrature riferibili a tali poteri ma ne acquisì le potenzialità espressivo-coercitive. Proprio al culmine del successo politico e personale, nel 23 a.C., a seguito di una malattia e di una congiura ai suoi danni Augusto rischiò un vuoto istituzionale. Uno degli aspetti più delicati era, infatti, la sopravvivenza stessa di tale schema delineato, fino a quel momento, con grandi sforzi. Augusto, ossessionato dal proposito di assicurare continuità al suo progetto, non potendo permettersi che tale meccanismo subisse battute d’arresto, arrivò a elaborare un piano per la sua successione. Il suo obiettivo fu quindi quello di garantirsi una personale discendenza che fosse solida nelle sue basi.

 

Probabilmente, l’unica grande debolezza di Augusto fu quella di non aver impresso una svolta chiara ed efficace alla sua politica di successione. Il problema era assai intricato proprio perché i poteri di quest’ultimo, come anzidetto, non costituivano una vera e propria carica. Questi poteri, proprio per il loro statuto speciale, non potevano essere esplicitamente trasmessi con un atto ufficiale che sarebbe risultato lesivo delle prerogative dell’ordinamento repubblicano appena restaurato.

 

Il princeps, cercò, così, di esaltare il ruolo della sua famiglia e di alcuni suoi strettissimi componenti ma, anche questo, divenne nel tempo un ostacolo alla sua strategia dinastica, visto che tutti gli eredi via via designati morirono ben prima di lui. In assenza di figli maschi diretti, sua figlia, Giulia Maggiore, avuta dalla seconda moglie Scribonia, divenne il fulcro delle sue mire. Nel 25 a.C. Giulia, infatti, venne data in moglie a Marcello, nipote diretto di Augusto in quanto figlio della sorella Ottavia.

 

Fu proprio Marcello il primo a condividere i poteri con il princeps, ma nel 23 a.C. morì prematuramente. Augusto fu così costretto a designare un altro successore combinando un secondo matrimonio, tra la figlia Giulia e il suo fidatissimo collaboratore Marco Vipsanio Agrippa. Da questa unione nacquero due figli maschi, gli adorati nipoti Gaio e Lucio. Anche questi ultimi, da lui adottati e designati eredi nel 17 a.C., morirono rispettivamente nel 2 d.C. e nel 4 d.C. Il 4 d.C. fu quindi un anno decisivo nel quale, Augusto, non potendo più privilegiare un criterio basato sulla successione di un erede del suo stesso sangue, dovette ripiegare su Tiberio, ottimo generale nato da una precedente relazione della moglie Livia con Tiberio Claudio Nerone.

 

Anche Tiberio, appartenente in origine alla Gens Claudia ma passato alla Gens Giulia grazie all’adozione di Augusto, condivise i poteri principali con quest’ultimo. Per volere dello stesso Augusto, Tiberio fu costretto ad adottare come suo successore Germanico, figlio di suo fratello Druso Maggiore e di Antonia Minore, la figlia della sorella di Augusto, Ottavia.

 

Con questo atto Augusto pose il primo mattone per la creazione di una dinastia al potere. Alla sua morte, nel 14. d.C., Tiberio fu proclamato imperatore. Aveva così inizio la dinastia Giulio-Claudia.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Cornelio Tacito, Tutte le opere, Annales, a cura di R. Oniga, Einaudi, Torino 1998.

Jacques F., Scheid J., Roma e il suo Impero, Laterza, Bari 2005.

K.A. Raaflaub, L.J. Samons, Between Republic and Empire, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1990.

Marcone A., Augusto, Salerno Editrice, Roma 2015.

R. Syme, La rivoluzione romana, trad. it., Einaudi, Torino 1962.  

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]