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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 158 / FEBBRAIO 2021 (CLXXXIX)


attualità

“OLYMPUS HAS FALLEN”

CAPITOL HILL E L’ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA AMERICANA

di Roberta Meloni

 

L’assalto al Congresso americano cui il mondo intero ha assistito il 6 gennaio 2021 non è stato un evento storico unico nel suo genere. Esistono episodi nella storia degli Stati Uniti in cui il Congresso americano era già stato assaltato in precedenza.

 

Per esempio, nel 1814, durante la guerra anglo-americana, i britannici tentarono di prendere lo Stato di New York occupando Washington D.C. e bruciando la Casa Bianca e il Congresso. Successivamente nel 1861, all’inizio della guerra civile americana, la Capitol Rotunda, ovvero un’area cerimoniale che rappresenta il cuore simbolico del Congresso, venne occupata dalle truppe chiamate da Lincoln in difesa di Washington, le quali protessero la democrazia americana e la città da un temuto attacco confederato.

 

Sebbene il recente attacco al Congresso non rappresenti un evento unico nel suo genere, lo è viceversa la violenza e la modalità attraverso cui ha preso forma. Il fattore che genera un netto distacco rispetto ai precedenti episodi storici e che ha catturato l’attenzione di molti commentatori e studiosi, è che il recente attacco al Congresso americano è stato sobillato dalle parole del presidente degli Stati Uniti.

 

Su questo punto è doveroso aprire una riflessione sull’importanza linguistica e sulla comunicazione politica dell’ormai ex presidente Trump. Sin dalla sua campagna elettorale, Donald Trump si è presentato alla scena politica statunitense e internazionale come un candidato dai toni linguistici “un po’ sopra le righe”. Grazie all’uso di una lingua minimale e una retorica indirizzata a colpire e screditare i suoi avversari, è riuscito fin da subito a trasmettere i propri messaggi politici in maniera efficace e pungente, spesso ricorrendo anche a falsità.

 

È doveroso sottolineare che i violenti attacchi avvenuti il 6 gennaio 2021 hanno trovato la loro linfa vitale a seguito di un discorso che lo stesso ex presidente ha fatto alla Casa Bianca mentre al Congresso si votava per la certificazione dell’elezione del nuovo presidente americano Joe Biden. L’attacco al Congresso americano può essere inscritto come una delle conseguenze più temibili che si possono avere nel momento in cui i leader politici si dimenticano delle ripercussioni che l’uso indiscriminato della parola può avere in relazione a un uso altrettanto sconsiderato delle nuove tecnologie di comunicazione.

 

La parola, la leadership e le nuove tecnologie “social” sono fattori ormai inscindibili per la politica, non solo americana, ma anche internazionale. Tuttavia, un uso poco saggio e ponderato di questi tre fattori rischia di avere delle gravi ripercussioni sui destinatari del messaggio e l’attacco al Congresso è l’esatta manifestazione di questo fenomeno.

 

Come afferma la storica americana Doris Kearns Goodwin: «Once a president gets to the White House, the only audience that is left that really matters is history». Ne consegue che l’ex presidente degli Stati Uniti, ovvero colui che avrebbe dovuto essere il primo uomo politico a difendere la Costituzione, il governo federale, l’unità della nazione e della democrazia americana, ha scatenato con le sue parole un violento attacco eseguito da migliaia di fanatici ed estremisti al simbolo più sacro della democrazia americana: il Congresso.

 

A tal proposito, è bene ricordare che la Costituzione degli Stati Uniti nasce come una costituzione che privilegia come organo supremo il Congresso, il quale incarna e rappresenta alla Camera dei Rappresentanti e al Senato il “We the People of the United States”.

 

La democrazia americana appare indubbiamente indebolita e attraversa una crisi senza precedenti. Il ritorno del sovranismo e del populismo è un elemento che interessa diversi paesi dell’area atlantica e il mondo intero. Negli Stati Uniti, la crisi è innescata da una radicalizzazione che riguarda entrambi i partiti politici del paese, ovvero il partito democratico e repubblicano. Entrambi rappresentano l’anima del potere politico statunitense e si alternano al potere da circa 150 anni, ovvero da quando il Grand Old Party (GOP) si presentò per la prima volta alle elezioni del 1856, per vincerle poi nel 1860 grazie a una spaccatura interna del partito democratico con l’affermazione di Abraham Lincoln, uno dei padri della patria americana.

 

Storicamente, la democrazia americana ha attraversato diversi periodi di incertezza. Per esempio, i confronti politici sono stati una componente della storia degli Stati Uniti in cui la democrazia è stata più volte sotto attacco a partire dalle elezioni del 1800, quando il presidente allora in carica John Adams venne sconfitto da Thomas Jefferson. Questa storica elezione molto contestata finì con un ballottaggio al Congresso che decise la vittoria di Jefferson, colui che poi è stato uno tra i più grandi presidenti della storia americana. Lo sconfitto John Adams, invece, fu il primo presidente a non partecipare alla festa di insediamento del nuovo presidente successore, un parallelo storico che dovrebbe risuonare più che mai familiare.

 

Trump rappresenta il quarto presidente americano a essere messo sotto accusa dal Congresso e il primo a subire due processi di impeachment. Tra gli atti che potrebbero essere annoverati come i più deleteri per la democrazia americana, vi sono stati il suo rifiuto di sconfessare alcuni movimenti di estrema destra, tra cui i Proud Boys e i QAnon, e la distorsione della verità, non per ultimo la convinzione di molti elettori sobillati dallo stesso Trump che le elezioni siano state rubate nonostante gli oltre 60 rifiuti di corti statali di ricorsi alle elezioni. Questi fattori hanno innescato una catena di falsità talmente gravi da diventare credibili per milioni di persone che ancora sostengono Trump. Le medesime persone che, fra l’altro, hanno dimostrato fino a che punto siano disposte a provare la loro fedeltà per un leader che ha innescato l’assalto al tempio della democrazia americana.

 

Queste e molte altre tematiche sono state discusse nel seminario online organizzato dal Dipartimento di Scienze Politiche di Roma Tre dal titolo “Capitol Hill, 6 gennaio. Attacco alla democrazia”, tenutosi il 15 gennaio 2021. L’evento è stato un incontro utile che ha permesso di rendere il Dipartimento di Scienze Politiche di Roma Tre disponibile a discutere i fatti avvenuti a Capitol Hill lo scorso 6 gennaio con tutto l’ateneo. Tale iniziativa è stata ideata con l’intento di avere una discussione e uno scambio di prospettive in diversi campi di ricerca e studio, da e per l’ateneo.

 

L’evento è stato ideato in concerto con il Magnifico Rettore, prof. Luca Pietromarchi, il Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche, nonché docente di Storia e istituzioni degli Stati Uniti d'America, prof. Daniele Fiorentino e il docente di Storia delle Relazioni Internazionali, prof. Leopoldo Nuti, al fine di discutere la drammaticità di un evento di portata internazionale.

 

Al seminario hanno fatto seguito una serie di contributi e interventi di estremo interesse, tra cui quello della dott. ssa Alice Ciulla, assegnista di ricerca, sulla crisi del partito repubblicano e sui movimenti dell’estrema destra americana; della coordinatrice del Corso di Laurea Magistrale in International Studies, prof.ssa Marilena Gala, che ha dato spunti per una riflessione sulla transizione Trump-Biden e sui suoi riflessi sul sistema internazionale; il prof. Renato Moro, docente di Storia contemporanea, ha discusso il problema del fascismo eterno; l’intervento della prof.ssa Barbara Pisciotta, docente di Politica internazionale, si è invece concentrato sulla tenuta e la qualità della democrazia americana; la prof.ssa Michela Manetti, docente di Diritto parlamentare, ha a sua volta contribuito con una riflessione sulla comunicazione e il free speech o incitamento alla sedizione; il prof. Leopoldo Nuti ha discusso della crisi americana e delle conseguenze per l’equilibrio nucleare; infine, la dott.ssa Giordana Pulcini, docente a contratto di Storia delle relazioni tra Europa e USA, ha concluso gli interventi con una riflessione incentrata sulla ricezione internazionale dell’era Trump e il suo impatto sul ruolo degli Stati Uniti nei prossimi anni.

 

Attingendo al famoso discorso che il trentaduesimo presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, fece al Congresso americano quando definì il 7 dicembre 1941, data dell’attacco giapponese a Pearl Harbor, come il giorno dell’infamia che vivrà per sempre nella storia americana, il Senatore democratico Charles Ellis “Chuck” Schumer ha dichiarato che il 6 gennaio 2021 può essere aggiunto a quella breve lista di date della storia americana che vivranno per sempre nell’infamia.

 

Questa data sarà certamente ricordata dalla Storia come il simbolo della fragilità della democrazia. Rievocherà il ricordo che anche la patria della democrazia per eccellenza, gli Stati Uniti, può essere messa sotto attacco.

 

Il 6 gennaio ha insegnato all’America, ma anche al mondo intero, quanto sia essenziale proteggere giorno per giorno le istituzioni democratiche da insidie domestiche e internazionali.

 

Soltanto attraverso questa presa di coscienza da parte di politici e cittadini, la democrazia sarà in grado di prevalere e unire laddove le divisioni rischiano di avere la meglio.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]