N. 137 - Maggio 2019
(CLXVIII)
Atene periclea
Luci e ombre sulla più celebre delle democrazie antiche
di Francesco Biscardi
«Abbiamo
una
costituzione
che
non
emula
le
leggi
dei
vicini,
in
quanto
noi
siamo
più
d’esempio
ad
altri
che
imitatori.
E
poiché
essa
è
retta
in
modo
che
i
diritti
civili
spettino
non
a
poche
persone,
ma
alla
maggioranza,
essa
è
chiamata
democrazia:
di
fronte
alle
leggi,
per
quanto
riguarda
gli
interessi
privati,
a
tutti
spetta
un
piano
di
parità».
Così
si
rivolge
Pericle
ai
suoi
concittadini
in
un
suo
celebre
discorso,
l’Epitaffio,
tramandatoci
dallo
storico
Tucidide.
Questa
è
del
resto
la
celebre
immagine
di
Atene
passata
alla
storia:
la
polis
emblema
della
democrazia,
basata
sull’eguaglianza
dei
diritti,
sull’isonomia
e
sull’isegoria
(il
pari
diritto
di
prendere
parola
nelle
discussioni).
Si
deve
a
Pericle,
che
continuò
sul
solco
tracciato
dal
riformatore
Efialte,
il
merito
di
aver
imposto
un
modello
di
democrazia
radicale
in
cui
tutti
divennero
partecipi
della
vita
politica
della
città.
Due
sono
i
principali
provvedimenti
attraverso
cui
venne
realizzato
questo
progetto:
l’introduzione
di
un
compenso
per
i
magistrati,
il
misthos
(con
il
termine
“magistrati”
nell’antica
Grecia
si
faceva
riferimento
a
chiunque
ricopriva
incarichi
pubblici),
e
l’affidamento
delle
cariche
pubbliche
tramite
sorteggio.
Grazie
al
misthos,
reso
possibile
dal
momento
di
opulenza
economica
e di
egemonia
talassocratica,
anche
i
cittadini
meno
abbienti
ebbero
la
possibilità
di
partecipare
attivamente
alla
polis
(potendo
ora
avere
una
retribuzione
economica
in
luogo
del
tempo
sottratto
alle
attività
lavorative),
mentre
il
meccanismo
del
sorteggio,
al
posto
dell’elezione,
giocò
un
ruolo
importante
nel
limitare
gli
abusi
di
potere
dei
più
ricchi
e
influenti
aristocratici.
Tuttavia,
al
di
là
di
queste
riforme
dal
“respiro”
democratico,
vi
erano
vari
lati
oscuri
dietro
l’architettura
politica
ateniese.
Partiamo
dall’affermazione
di
Pericle
riportata
in
apertura:
lo
statista
sottolineava
come
“di
fronte
alle
leggi
[…]
a
tutti
spetta
un
piano
di
parità”.
Ma
chi
erano
questi
“tutti”?
Se
partiamo
dall’assunto
tipico
delle
democrazie
odierne
potremmo
esser
indotti
a
pensare
che
tutti
i
cittadini,
i
politai,
fossero
“eguali
davanti
alla
legge”
e
godessero
dei
medesimi
diritti.
E
invece
no!
Vi
erano
dei
“grandi”
esclusi:
le
donne,
gli
schiavi
e i
meteci
(ovvero
gli
stranieri
domiciliati
nell’Attica).
E
c’è
di
più:
lo
stesso
Pericle
si
preoccupò
di
varare
un
provvedimento
che
limitava
lo
status
di
polites
solo
a
chi
avesse
entrambi
i
genitori
ateniesi,
negando
così
i
diritti
di
cittadinanza
ai
figli
nati
da
matrimoni
misti.
In
questo
sembra
esserci
una
grande
incongruenza
storica:
come
si
poteva
parlare
di
democrazia
se
ad
alcune
categorie
di
cittadini
erano
negati
i
diritti
sia
civili
che
politici?
In
realtà
non
vi
era
contraddizione
perché
i
Greci
non
concepivano
i
diritti
come
universali,
come
propri
“dell’uomo
e
del
cittadino”,
bensì
come
frutto
dell’evoluzione
di
una
singola
comunità
(in
questo
caso
ateniese).
Perciò
il
campo
di
applicazione
di
tali
diritti
era
limitato
alla
sola
comunità
che
li
aveva
formulati.
Inoltre
“democrazia”
per
un
antico
Ateniese
significava
essenzialmente
due
cose:
esprimersi
in
prima
persona
e
votare
sulle
leggi
e
sulle
questioni
di
volta
in
volta
proposte
all’assemblea
popolare,
l’Ecclesia,
e
partecipare
come
giudice
alle
cause
a
cui
era
chiamato
a
sentenziare
il
tribunale
del
popolo,
l’Elièa.
Qualcosa
di
distante
da
noi:
negli
stati
odierni
abitati
da
milioni
di
persone
un
tale
regime
sarebbe
impensabile,
né
saremmo
disposti
ad
accettare
dei
giudici
privi
di
un
adeguato
cursus
formativo
alle
spalle.
E di
questo
ne
erano
consapevoli
gli
stessi
Greci.
A
conferma
si
può
citare
un
aneddoto
tramandatoci
da
Erodoto:
questi
ci
ha
raccontato
di
aver
informato
i
suoi
concittadini,
durante
una
lettura
pubblica
di
un
brano
delle
sue
Storie,
che
alla
morte
di
Cambise
qualcuno
aveva
prospettato
l’ipotesi
di
instaurare
la
democrazia
nell’immenso
Impero
Persiano,
suscitando
l’incredulità
e
l’ilarità
degli
astanti.
Attestato
quindi
che
la
democrazia
ateniese
era
qualcosa
di
differente
da
quelle
contemporanee
(anzi
nella
mentalità
greca
classica
il
nostro
sistema
di
democrazia
rappresentativa
potrebbe
essere
accostabile
più
a
un’oligarchia),
possiamo
almeno
pensare
che
tale
sistema
politico
fosse
lodato
e
rispettato.
Invece
no!
Chi
si
avventura
nell’universo
culturale
greco
alla
ricerca
di
voci
a
favore
della
democrazia
rimarrà
fortemente
deluso,
in
quanto
gli
scrittori
antichi
sono,
praticamente
tutti,
fortemente
antidemocratici.
Dai
più
grandi
filosofi,
Platone
e
Aristotele,
a
storici
come
Tucidide
e
Senofonte,
a un
commediografo
quale
Aristofane,
a
oratori
come
Isocrate
e
Demostene,
la
democrazia
è un
bersaglio
costante.
Le
critiche
sono
le
più
varie:
da
Platone
che
condanna
gli
“eccessi”
del
governo
popolare
(memore
la
fine
di
Socrate)
nella
grande
maggioranza
ignorante
e
facilmente
preda
di
pressioni
demagogiche,
ad
Aristofane,
arguto
polemista,
che
bolla
nelle
Vespe
“la
mania”
dei
tribunali,
dove
le
giurie
risultano
essere
preda
del
potere
dei
sobillatori
di
turno,
a
Demostene
che
arriva
a
suggerire
di
“bastonare”
gli
avversari
politici,
ad
Antifonte
Sofista
che
si
dichiara
convinto
che
la
vita
nella
polis,
con
le
sue
leggi,
sia
un
ostacolo
alla
piena
realizzazione
dell’individuo.
Anche
attorno
dello
statista
Pericle,
un’ombra
negativa
sembra
stagliarsi
attorno
alla
sua
figura.
Valga
su
tutti
il
giudizio
di
Tucidide
sulla
democrazia
periclea,
il
quale
ci
dice
che
Atene
“a
parole
era
una
democrazia,
di
fatto
il
potere
del
primo
cittadino”.
Con
questa
espressione
lo
storico
ha
lasciato
intendere
che
Pericle,
il
quale
governava
il
popolo
grazie
a
una
eloquenza
impareggiabile,
seppur
con
la
“semplice”
carica
di
stratega,
di
fatto
reggeva
a
proprio
piacimento
la
polis.
Con
un
po’
di
fantasia
potremmo
accostare
la
figura
di
Pericle
a
quella
del
princeps
romano
per
antonomasia,
ovvero
Ottaviano:
entrambi
avevano
sotto
il
proprio
giogo
le
istituzioni,
con
la
differenza
che
il
primo,
causa
il
negativo
andamento
delle
operazioni
belliche
nel
corso
del
primo
anno
della
guerra
del
Peloponneso
e la
morte,
non
sarebbe
riuscito
del
tutto
a
stravolgerle,
mentre
il
secondo
si,
traghettando
la
repubblica
verso
il
principato.
Infine,
in
questo
rapido
excursus
sulle
fonti
anti-democratiche,
è
significativo
ricordare
come
proprio
in
età
periclea
(o
forse,
come
ha
ipotizzato
lo
storico
Domenico
Musti,
nel
corso
della
guerra
del
Peloponneso,
considerando
come
terminus
ante
quem
di
datazione
il
colpo
di
stato
dei
Quattrocento
del
411
a.C.),
sia
stato
redatto
un
opuscolo
anonimo
che
attaccava
pesantemente
l’ordinamento
democratico
ateniese,
visto
come
un
sistema
moralmente
corrotto
che,
con
“diabolica
efficienza”,
permetteva
alla
plebe
di
arricchirsi
e
mantenere
il
potere
a
scapito
degli
aristocratici.
Questo
testo
è
stato
trasmesso
come
opera
di
Senofonte,
ma
sicuramente
non
è
opera
sua
(Luciano
Canfora
ha
ipotizzato
si
sia
trattato
di
Crizia,
il
futuro
leader
dei
Trenta
tiranni),
per
cui
oggi
ci
si
riferisce
ad
esso
con
l’epiteto
di
Pseudo-Senofonte
o di
Vecchio
Oligarca.
Il
libello
in
questione
porta
alle
estreme
conseguenze
critiche
che,
essendo
state
sostenute
anche
dagli
intellettuali
(fra
i
vari)
prima
brevemente
passati
in
rassegna,
dovevano
essere
tipiche
dell’aristocrazia
ateniese:
la
condanna
dei
tribunali
popolari,
le
accuse
alla
retorica
demagogica,
la
critica
al
misthos,
ecc.
Atene
non
era
dunque
la
patria
della
felice
civiltà
democratica
come
spesso
si
crede.
Lo
stesso
termine
Demokratìa
era
un
vocabolo
con
cui
gli
avversari
della
stessa
democrazia
erano
soliti
definire
il
governo
del
popolo,
intendendone
mettere
in
risalto
il
carattere
impetuoso
(kratos
indica
proprio
la
forza
nel
suo
tradursi
in
violenza),
a
sottolineare
come
anche
un
regime
in
cui
la
sovranità
appartiene
al
popolo
non
è
alieno
da
veemenze
e
azioni
moralmente
scorrette.
A
chiusa
di
questa
analisi
sui
lati
negativi
della
democrazia
ateniese,
è,
di
contro,
doveroso
sottolineare
il
ruolo
storico
svolto
da
Atene:
una
città-stato
che
è
stata
in
grado
di
dar
vita
al
più
celebre
esempio
di
democrazia
diretta
della
storia,
dove
formalmente
vigeva
la
parità
di
diritti
fra
i
suoi
cittadini
(anche
se
limitata
ai
politai
di
sesso
maschile).
La
memoria
di
Atene
vivrà
a
lungo
e
vive
ancora
oggi.
Cito
in
merito
due
soli
esempi
tratti
dalla
storia
più
recente.
Il
primo
riguarda
gli
Stati
Uniti,
dove
in
epoca
jacksoniana
(1829-1837)
si
assistette
a un
vero
e
proprio
Greek
Revival:
venne
riabilitata
la
funzione
storica
della
democrazia
ateniese
in
contrapposizione
alla
passione
per
il
“governo
misto”
di
Roma
che
era
stato
esaltato
dalla
retorica
dei
padri
fondatori.
Il
secondo
è
decisamente
più
recente
e
attesta
ancora
di
più
l’immortalità
dell’esperienza
ateniese:
nella
bozza
del
preambolo
della
Costituzione
europea
(diffusa
nel
maggio
del
2003)
si
cercò
di
“rivestire”
di
grecità
la
nuova
carta,
partendo
proprio
da
una
citazione
tratta
dall’Epitaffio
pericleo
trasmessoci
da
Tucidide
(per
quanto
con
alcune
imprecisioni).
Solo
questi
due
esempi
sono
significativi
del
retaggio
storico
di
Atene:
senza
la
sua
lezione,
forse,
la
democrazia
non
avrebbe
avuto
una
storia
di
cui
poter
parlare
oggi.
Riferimenti
bibliografici:
Canfora
L.,
La
democrazia.
Storia
di
un’ideologia,
Laterza,
Roma-Bari
2006.
Canfora
L.,
Pericle,
in
I
volti
del
potere,
Laterza,
Roma-Bari
2010,
pp.
3-22.
Mosconi
G.,
Pericle
e il
Vecchio
Oligarca
su
democrazia
e
talassocrazia,
in
R.
Burri,
A.
Delacrétaz,
J.
Monnier,
M.
Nobili
(curr.),
Ad
limina
II.
Incontro
di
studio
tra
i
dottorandi
e i
giovani
studiosi
di
Roma.
Istituto
Svizzero
di
Roma,
Villa
Maraini,
Edizioni
dell’Orso,
Alessandria
2004,
pp.
21-39.
Musti
D.,
Demokratìa.
Origini
di
un’idea,
Laterza,
Roma-Bari
1995.