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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 158 / FEBBRAIO 2021 (CLXXXIX)


contemporanea

SULL’ATEISMO SCIENTIFICO
PENSIERI E PAROLE DI GRANDI SCIENZIATI DEL ‘900 E DI OGGI / PARTE I

di Francesco Cappellani

 

Nel 1998 è stata pubblicata sull’autorevole rivista Nature un’indagine tra i membri della National Academy of Science, fondata da Abraham Lincoln nel 1863, che conta oggi circa 2.000 scienziati, su quanti dei suoi componenti credessero in Dio.

 

Il risultato fu un misero 7% e inoltre, confrontando questo dato con altri precedenti, si vide che si era scesi da una percentuale del 28% nel 1914, al 15% nel 1933, quindi un calo progressivo che forse, rapportato a oggi, cioè oltre 20 anni dopo l’articolo di Nature, fa presumere una percentuale attuale di credenti ancora inferiore.

 

Una indagine simile, condotta nel 2013 sui “Fellows” della Royal Society di Londra, fondata nel 1660, ha mostrato che solo il 5% degli scienziati britannici crede in Dio. In un recente articolo il logico-matematico e saggista Piergiorgio Odifreddi riporta i seguenti dati pubblicati sull’Avvenire del 22/01/2009: “Credono in un Dio trascendentale il 4% dei biologi, il 7% dei fisici, e il 14% dei matematici” confermando che la grande maggiorana dei ricercatori impegnati nelle varie discipline scientifiche sono atei o agnostici.

 

È interessante, limitandoci ad alcuni scienziati del Novecento e contemporanei, capire le ragioni che hanno portato persone di grande spessore intellettuale ad allontanarsi dalla religione e, in molti casi, anche dalla religiosità, e le spiegazioni che danno del loro “ateismo scientifico”.

 

Il distacco avviene spesso per gradi successivi: Odifreddi racconta di una sua vocazione iniziale addirittura per la carriera ecclesiastica, perseguita con quattro anni di seminario dal quale uscì quando realizzò “che il seminario forniva soltanto le mura alla mia vera prigione, che era la religione”. Nel 1999 pubblica per Einaudi Il Vangelo secondo la Scienza, dove descrive il suo progressivo passaggio dal mito religioso alla teoria scientifica e dove il Cristianesimo viene considerato “una delle tante forme di pensiero arcaico dell’uomo, né migliore né peggiore delle altre” concludendo che “La vera religione è la matematica, il resto è superstizione”.

 

Nel 2007, dopo una lunga immersione nei testi sacri del Cristianesimo, pubblica per Longanesi Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai Cattolici) dove prova a decostruire con gli strumenti della logica non solo la figura del Cristo della fede ma anche quella del Gesù storico e di conseguenza vede, in particolare nel Cattolicesimo, il freno che ha afflitto per secoli lo sviluppo del pensiero scientifico e democratico. Il sito ufficiale della Santa Sede reagisce prontamente con la reprimenda in latino dal titolo inequivocabile Auditu horribilia definendo il testo un “criminoso opuscolo”.

 

Giulio Giorello, matematico e filosofo della scienza, recentemente scomparso, ha pubblicato nel 2011 per Longanesi il libro Senza Dio, del buon uso dell’ateismo. L’assunto dell’autore, che parte dalle letture giovanili del testo Perché non sono cristiano di Russell e dall’impatto negativo con don Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, suo insegnante di Religione al liceo, è che a fronte del fanatismo religioso di qualunque origine e natura esso sia, l’agnosticismo alla Russell non è più sufficiente.

 

Occorre una nuova forma di ateismo, un “ateismo metodologico” senza dogmi simmetrici al teismo volti a dimostrare con argomenti razionali che Dio non esiste, ma inteso a definire il senso di un’esistenza senza Dio e perfino contro Dio, che prescinda da qualsiasi forma di reverenza, rassegnazione, autorità, proibizione e sottomissione. Un ateismo libertario, che rigetti ogni tentativo di irreggimentazione, che si appoggi, nelle parole di Giorello, a “un repertorio di strumenti, intellettuali e pratici, che riguardano il nostro modo di indagare l’universo e di scegliere il nostro destino” e che “non sta nel dimostrare che Dio non c’è, bensì nel rifiuto di riconoscerlo come un padrone”. Cioè un nuovo Illuminismo razionalista ma aperto al “fallibilismo epistemologico“ di matrice popperiana, che consideri perfino le conoscenze ritenute assolutamente certe, passibili di revisioni critiche anche sostanziali. Ma al “buon uso dell’ateismo” si potrebbe contrapporre un cattivo uso, e qui Giorello specifica che ogni forma coercitiva di ateismo è egualmente deplorevole: “abbiamo assistito anche a quella particolare perversione rappresentata dall’ateismo di Stato, come è capitato nella disciolta Unione Sovietica ed in altri Paesi del marxismo realizzato”.

 

Molto lineare è l’atteggiamento del fisico Carlo Rovelli, autore del best seller 7 brevi lezioni di fisica, che sostiene di non credere in Dio ma in una sorta di etica naturale, non basata sulla paura di punizioni infernali o in attesa di un compenso da parte di qualche divinità.

In un articolo, pubblicato sul Corriere del 25/11/2016, spiega il suo ateismo con una serie di negazioni del tipo: “Non mi piace consolarmi della morte pensando che Dio mi accoglierà. Mi piace guardare in faccia la limitatezza della nostra vita e imparare a sorridere con affetto a sorella morte”, oppure “A me non piacciono quelli che mi spiegano che il mondo l’ha creato Dio, perché penso che non lo sappia nessuno di noi /…/ chi dice di saperlo si illude; preferisco guardare in faccia il mistero, sentirne l’emozione tremenda, piuttosto che cercare di spegnerla con favole”. Per concludere che “A me non piacciono coloro che credono in Dio e così sanno dove sta la verità, perché penso che in realtà siano ignoranti quanto me /…/ Non mi piace chi dice a tutti cosa tutti devono fare, perché si sente forte grazie al suo Dio”.

 

Incalzato da John Horgan, che ha intervistato alcuni noti scienziati interrogandoli anche sul loro rapporto con Dio, se la scienza sia in grado di risolvere il mistero dell’universo e arrivare alla “verità assoluta”, Rovelli risponde che non c’è un “mistero dell’universo”, ma un oceano di cose che non conosciamo e che non sa cosa significhi verità assoluta in quanto la scienza ci dà la consapevolezza che le nostre conoscenze sono costantemente pervase da incertezze e revisioni. Richiesto se condivide il pensiero del filosofo Thomas Nagel quando sostiene che la scienza abbisogna di un nuovo paradigma per spiegare l’emergere della vita e della coscienza, dice che non è d’accordo in quanto, se la gente non comprende qualcosa, allora cerca rifugio nel “nuovo paradigma” o nel “Grande Mistero”. Spiega poi che non capisce cosa vuol dire credere in Dio: se la domanda è pensare che esista qualcuno che ha creato tutto e risponde alle nostre preghiere, la risposta è no, ma se il credere in Dio è una forma di attitudine religiosa connaturata con la natura umana, questo è un aspetto importante e universale dei comportamenti dell’umanità che forse non abbiamo ancora compreso.

 

La posizione di Albert Einstein è alquanto complessa e per certi versi contraddittoria data anche l’ambiguità che si rileva in molti sue affermazioni sull’idea di Dio. Questo ha generato irrisolte diatribe tra teisti e ateisti che hanno cercato di tirarlo ciascuno dalla propria parte. In realtà Einstein non volle mai farsi arruolare né tra gli atei, né tra i monoteisti o i panteisti, spiegando di credere nel “Dio di Spinoza che rivela se stesso nell’armonia del creato”. Precisa però che pur ammirandone il panteismo, trova di maggiore interesse in Spinoza la sua moderna visione filosofica dell’unità di corpo e anima.

 

Nel 1934, nel libro The world as I see it spiega la sua religiosità con queste parole: “Fu l’esperienza del mistero, seppure mista alla paura, che generò la religione. Sapere dell’esistenza di qualcosa che non possiamo penetrare, sapere della manifestazione della ragione più profonda e della più radiosa bellezza, accessibili alla nostra ragione solo nelle loro forme più elementari, questo sapere e questa emozione costituiscono la vera attitudine religiosa; in questo senso, e solo in questo, sono un uomo profondamente religioso. Non posso concepire un Dio che premia e punisce le sue creature /…/ Un individuo che sopravvivesse alla propria morte fisica è totalmente lontano dalla mia comprensione, né vorrei che fosse altrimenti; tali nozioni valgono per le paure o per l’assurdo egoismo di anime deboli”.

 

In tarda età la sua posizione ha assunto maggiore chiarezza: in una sua lettera del 3 gennaio 1954, manoscritta in tedesco, al filosofo Eric Gutkind, quindici mesi prima della morte, rimasta sconosciuta fino al 2008 quando fu battuta dalla casa d’aste Bloomsbury per 214.000 euro, scrive: “La parola Dio è per me nient’altro che l’espressione e il prodotto delle debolezze umane, la Bibbia una collezione di rispettabili, ma ancora primitive, leggende che sono comunque piuttosto puerili. Nessuna interpretazione, non importa quanto sottile può farmi cambiare idea su questo. /…/ Per me la religione ebraica, come tutte le altre religioni è un’incarnazione delle superstizioni più infantili”. Tuttavia condanna il fanatismo di molti atei perché “sono creature che, nel loro rancore contro le religioni tradizionali come “oppio delle masse”, non possono sentire la musica delle sfere”.

 

Sicuramente il paladino degli ateisti e il più accanito difensore, grazie anche alla sua capacità affabulatoria, di tesi volte a dimostrare che “si può essere atei felici, equilibrati, morali e intellettualmente appagati” è il biologo evolutivo dell’Università di Oxford, Richard Dawkins col suo libro best seller del 2006 The God Delusion che è la “Bibbia” del cosiddetto “New Atheism”.

 

Dawkins dichiara esplicitamente che col suo testo intende fare opera di conversione all’ateismo basandosi su alcuni concetti fondamentali. In primis la funzione della selezione naturale: “L’illusione che gli esseri viventi siano ‘progettati’ non è spiegata da un artefice, ma da un fattore molto più economico e spietatamente elegante: la selezione naturale darwiniana”; poi la repulsione e la condanna, vista come abuso psicologico, per i principi religiosi inculcati nella prima infanzia, dato che “per effetto negativo della selezione naturale, il cervello dei bambini tende a credere a qualunque cosa dicano i genitori e gli anziani della tribù”; infine l’orgoglio di essere ateo: “Non bisogna scusarsi di essere atei. Bisogna al contrario andarne fieri, a testa alta, perché “ateismo” significa quasi sempre sana indipendenza di giudizio e anzi, mente sana tout court”, il che permette di gestire “una vita piena, serena e liberata”.

 

Il libro analizza puntigliosamente gli argomenti pro e contro l’esistenza di Dio partendo dalle origini delle religioni, oltre a studiare il perché del “bisogno” consolatorio della religione e di un’etica dettata da testi sacri spesso in contraddizione tra loro e che possono indurre al fanatismo. Ma le principali ragioni di fondo per negare l’esistenza di un Dio “capace di monitorare e controllare in permanenza le condizioni di ogni singola particella dell’universo” e parimenti di seguire “azioni, emozioni e preghiere di ogni singolo essere umano” sono da ricercarsi nella concezione di un supposto Creatore talmente “mastodontico” per accogliere le infinite facoltà di cui dovrebbe essere dotato, da apparire statisticamente improbabile.

 

Per questo, secondo Dawkins, si può affermare che è “quasi certo” che Dio non esiste. E conclude il suo ponderoso volume dicendo che “quella atea è quindi una visione che sostiene e potenzia la vita e al tempo stesso non è mai inquinata dall’autoinganno, dal desiderio illusorio o dalla querula autocommiserazione di chi è convinto che la vita gli debba qualcosa”.

 

Il celebre cosmologo e astrofisico Martin Rees, docente al Trinity College di Cambridge e considerato tra i più grandi scienziati viventi, sul rapporto Dio/Scienza si definisce scettico: ”Non credo in alcun dogma religioso, ma condivido un senso di mistero e stupore con chi ne è partecipe. Se abbiamo imparato qualcosa dal progresso della scienza, è che anche qualcosa così basilare come un atomo è molto difficile da capire. Questo dovrebbe renderci scettici su ogni dogma o pretesa di avere ottenuto qualcosa di più di una comprensione assai incompleta e metaforica di ogni aspetto profondo della nostra esistenza”. Tuttavia afferma che va in Chiesa come “anglicano non credente (…) per lealtà verso la tribù”!

 

Sir Martin Rees ha ottenuto nel 2011 il premio della Templeton Foundation destinato a chi ha dato un contributo eccezionale per affermare la dimensione spirituale della vita, assegnato anni prima a Madre Teresa di Calcutta e al Dalai Lama.

 

Lo stesso premio è toccato nel 2019 a Marcelo Gleiser, noto fisico e astronomo di origine brasiliana, che si definisce agnostico in quanto, dice: ”non vedo evidenza per un qualsiasi genere di essere o intervento soprannaturale, ma mi rendo anche conto che siamo parzialmente ciechi verso tutto ciò che è al di fuori di noi, e quindi dovremmo mostrare umiltà. Vedo l’ateismo inconsistente col metodo scientifico perché essenzialmente è un credere nel non credere. Non offre alcuna prova di inesistenza dal momento che questo sarebbe letteralmente impossibile mediante la scienza // Per un non credente, l’unica posizione consistente con la scienza è l’agnosticismo”.

 

Edward Witten, ritenuto “the smartest living physicist” per i suoi lavori fondamentali sulla teoria delle stringhe volta a spiegare l’intero universo con un’unica “teoria del tutto”, nominato nel 2006 da Papa Benedetto XVI membro della Pontificia Accademia delle Scienze, alla domanda se riteneva che scienza e religione fossero compatibili, ha risposto laconicamente: “Considero le spiegazioni scientifiche più interessanti ed illuminanti”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]