contemporanea
SULL’ATEISMO SCIENTIFICO
PENSIERI
E PAROLE DI GRANDI SCIENZIATI DEL ‘900 E
DI OGGI / PARTE I
di Francesco Cappellani
Nel 1998 è stata pubblicata
sull’autorevole rivista Nature
un’indagine tra i membri della
National Academy of Science, fondata
da Abraham Lincoln nel 1863, che
conta oggi circa 2.000 scienziati, su
quanti dei suoi componenti credessero in
Dio.
Il risultato fu un misero 7% e inoltre,
confrontando questo dato con altri
precedenti, si vide che si era scesi da
una percentuale del 28% nel 1914, al 15%
nel 1933, quindi un calo progressivo che
forse, rapportato a oggi, cioè oltre 20
anni dopo l’articolo di Nature,
fa presumere una percentuale attuale di
credenti ancora inferiore.
Una indagine simile, condotta nel 2013
sui “Fellows” della Royal Society
di Londra, fondata nel 1660, ha mostrato
che solo il 5% degli scienziati
britannici crede in Dio. In un recente
articolo il logico-matematico e saggista
Piergiorgio Odifreddi riporta i
seguenti dati pubblicati sull’Avvenire
del 22/01/2009: “Credono in un Dio
trascendentale il 4% dei biologi, il 7%
dei fisici, e il 14% dei matematici”
confermando che la grande maggiorana dei
ricercatori impegnati nelle varie
discipline scientifiche sono atei
o agnostici.
È interessante, limitandoci ad alcuni
scienziati del Novecento e
contemporanei, capire le ragioni che
hanno portato persone di grande spessore
intellettuale ad allontanarsi dalla
religione e, in molti casi, anche dalla
religiosità, e le spiegazioni che danno
del loro “ateismo scientifico”.
Il distacco avviene spesso per gradi
successivi: Odifreddi racconta di una
sua vocazione iniziale addirittura per
la carriera ecclesiastica, perseguita
con quattro anni di seminario dal quale
uscì quando realizzò “che il
seminario forniva soltanto le mura alla
mia vera prigione, che era la religione”.
Nel 1999 pubblica per Einaudi Il
Vangelo secondo la Scienza, dove
descrive il suo progressivo passaggio
dal mito religioso alla teoria
scientifica e dove il Cristianesimo
viene considerato “una delle tante
forme di pensiero arcaico dell’uomo, né
migliore né peggiore delle altre”
concludendo che “La vera religione è
la matematica, il resto è superstizione”.
Nel 2007, dopo una lunga immersione nei
testi sacri del Cristianesimo, pubblica
per Longanesi Perché non possiamo
essere cristiani (e meno che mai
Cattolici) dove prova a decostruire
con gli strumenti della logica non solo
la figura del Cristo della fede ma anche
quella del Gesù storico e di conseguenza
vede, in particolare nel Cattolicesimo,
il freno che ha afflitto per secoli lo
sviluppo del pensiero scientifico
e democratico. Il sito ufficiale della
Santa Sede reagisce prontamente con la
reprimenda in latino dal titolo
inequivocabile Auditu horribilia
definendo il testo un “criminoso
opuscolo”.
Giulio Giorello,
matematico e filosofo della scienza,
recentemente scomparso, ha pubblicato
nel 2011 per Longanesi il libro Senza
Dio, del buon uso dell’ateismo.
L’assunto dell’autore, che parte dalle
letture giovanili del testo Perché
non sono cristiano di Russell e
dall’impatto negativo con don Giussani,
fondatore di Comunione e Liberazione,
suo insegnante di Religione al liceo, è
che a fronte del fanatismo religioso di
qualunque origine e natura esso sia,
l’agnosticismo alla Russell non è più
sufficiente.
Occorre una nuova forma di ateismo, un “ateismo
metodologico” senza dogmi simmetrici
al teismo volti a dimostrare con
argomenti razionali che Dio non esiste,
ma inteso a definire il senso di
un’esistenza senza Dio e perfino contro
Dio, che prescinda da qualsiasi forma di
reverenza, rassegnazione, autorità,
proibizione e sottomissione. Un ateismo
libertario, che rigetti ogni tentativo
di irreggimentazione, che si appoggi,
nelle parole di Giorello, a “un
repertorio di strumenti, intellettuali e
pratici, che riguardano il nostro modo
di indagare l’universo e di scegliere il
nostro destino” e che “non sta
nel dimostrare che Dio non c’è, bensì
nel rifiuto di riconoscerlo come un
padrone”. Cioè un nuovo Illuminismo
razionalista ma aperto al “fallibilismo
epistemologico“ di matrice popperiana,
che consideri perfino le conoscenze
ritenute assolutamente certe, passibili
di revisioni critiche anche sostanziali.
Ma al “buon uso dell’ateismo” si
potrebbe contrapporre un cattivo uso, e
qui Giorello specifica che ogni forma
coercitiva di ateismo è egualmente
deplorevole: “abbiamo assistito anche
a quella particolare perversione
rappresentata dall’ateismo di Stato,
come è capitato nella disciolta Unione
Sovietica ed in altri Paesi del marxismo
realizzato”.
Molto lineare è l’atteggiamento del
fisico Carlo Rovelli, autore del
best seller 7 brevi lezioni di fisica,
che sostiene di non credere in Dio ma in
una sorta di etica naturale, non
basata sulla paura di punizioni
infernali o in attesa di un compenso da
parte di qualche divinità.
In un articolo, pubblicato sul Corriere
del 25/11/2016, spiega il suo ateismo
con una serie di negazioni del tipo: “Non
mi piace consolarmi della morte pensando
che Dio mi accoglierà. Mi piace guardare
in faccia la limitatezza della nostra
vita e imparare a sorridere con affetto
a sorella morte”, oppure “A me
non piacciono quelli che mi spiegano che
il mondo l’ha creato Dio, perché penso
che non lo sappia nessuno di noi /…/ chi
dice di saperlo si illude; preferisco
guardare in faccia il mistero, sentirne
l’emozione tremenda, piuttosto che
cercare di spegnerla con favole”.
Per concludere che “A me non
piacciono coloro che credono in Dio e
così sanno dove sta la verità, perché
penso che in realtà siano ignoranti
quanto me /…/ Non mi piace chi dice a
tutti cosa tutti devono fare, perché si
sente forte grazie al suo Dio”.
Incalzato da John Horgan, che ha
intervistato alcuni noti scienziati
interrogandoli anche sul loro rapporto
con Dio, se la scienza sia in grado di
risolvere il mistero dell’universo e
arrivare alla “verità assoluta”, Rovelli
risponde che non c’è un “mistero
dell’universo”, ma un oceano di cose che
non conosciamo e che non sa cosa
significhi verità assoluta in quanto la
scienza ci dà la consapevolezza che le
nostre conoscenze sono costantemente
pervase da incertezze e revisioni.
Richiesto se condivide il pensiero del
filosofo Thomas Nagel quando
sostiene che la scienza abbisogna di un
nuovo paradigma per spiegare l’emergere
della vita e della coscienza, dice che
non è d’accordo in quanto, se la gente
non comprende qualcosa, allora cerca
rifugio nel “nuovo paradigma” o nel
“Grande Mistero”. Spiega poi che non
capisce cosa vuol dire credere in Dio:
se la domanda è pensare che esista
qualcuno che ha creato tutto e risponde
alle nostre preghiere, la risposta è no,
ma se il credere in Dio è una forma di
attitudine religiosa connaturata con la
natura umana, questo è un aspetto
importante e universale dei
comportamenti dell’umanità che forse non
abbiamo ancora compreso.
La posizione di Albert
Einstein è alquanto complessa e per
certi versi contraddittoria data anche
l’ambiguità che si rileva in molti sue
affermazioni sull’idea di Dio. Questo ha
generato irrisolte diatribe tra teisti e
ateisti che hanno cercato di tirarlo
ciascuno dalla propria parte. In realtà
Einstein non volle mai farsi arruolare
né tra gli atei, né tra i monoteisti o i
panteisti, spiegando di credere nel “Dio
di Spinoza che rivela se stesso
nell’armonia del creato”. Precisa
però che pur ammirandone il panteismo,
trova di maggiore interesse in
Spinoza la sua moderna visione
filosofica dell’unità di corpo e anima.
Nel 1934, nel libro The world as I
see it spiega la sua religiosità con
queste parole: “Fu l’esperienza del
mistero, seppure mista alla paura, che
generò la religione. Sapere
dell’esistenza di qualcosa che non
possiamo penetrare, sapere della
manifestazione della ragione più
profonda e della più radiosa bellezza,
accessibili alla nostra ragione solo
nelle loro forme più elementari, questo
sapere e questa emozione costituiscono
la vera attitudine religiosa; in questo
senso, e solo in questo, sono un uomo
profondamente religioso. Non posso
concepire un Dio che premia e punisce le
sue creature /…/ Un individuo che
sopravvivesse alla propria morte fisica
è totalmente lontano dalla mia
comprensione, né vorrei che fosse
altrimenti; tali nozioni valgono per le
paure o per l’assurdo egoismo di anime
deboli”.
In tarda età la sua posizione ha assunto
maggiore chiarezza: in una sua lettera
del 3 gennaio 1954, manoscritta in
tedesco, al filosofo Eric Gutkind,
quindici mesi prima della morte, rimasta
sconosciuta fino al 2008 quando fu
battuta dalla casa d’aste Bloomsbury per
214.000 euro, scrive: “La parola Dio
è per me nient’altro che l’espressione e
il prodotto delle debolezze umane, la
Bibbia una collezione di rispettabili,
ma ancora primitive, leggende che sono
comunque piuttosto puerili. Nessuna
interpretazione, non importa quanto
sottile può farmi cambiare idea su
questo. /…/ Per me la religione ebraica,
come tutte le altre religioni è
un’incarnazione delle superstizioni più
infantili”. Tuttavia condanna il
fanatismo di molti atei perché “sono
creature che, nel loro rancore contro le
religioni tradizionali come “oppio delle
masse”, non possono sentire la musica
delle sfere”.
Sicuramente il paladino degli ateisti e
il più accanito difensore, grazie anche
alla sua capacità affabulatoria, di tesi
volte a dimostrare che “si può essere
atei felici, equilibrati, morali e
intellettualmente appagati” è il
biologo evolutivo dell’Università di
Oxford, Richard Dawkins col suo
libro best seller del 2006 The God
Delusion che è la “Bibbia” del
cosiddetto “New Atheism”.
Dawkins dichiara esplicitamente che col
suo testo intende fare opera di
conversione all’ateismo basandosi su
alcuni concetti fondamentali. In primis
la funzione della selezione naturale: “L’illusione
che gli esseri viventi siano
‘progettati’ non è spiegata da un
artefice, ma da un fattore molto più
economico e spietatamente elegante: la
selezione naturale darwiniana”; poi
la repulsione e la condanna, vista come
abuso psicologico, per i principi
religiosi inculcati nella prima
infanzia, dato che “per effetto
negativo della selezione naturale, il
cervello dei bambini tende a credere a
qualunque cosa dicano i genitori e gli
anziani della tribù”; infine
l’orgoglio di essere ateo: “Non
bisogna scusarsi di essere atei. Bisogna
al contrario andarne fieri, a testa
alta, perché “ateismo” significa quasi
sempre sana indipendenza di giudizio e
anzi, mente sana tout court”, il che
permette di gestire “una vita piena,
serena e liberata”.
Il libro analizza puntigliosamente gli
argomenti pro e contro l’esistenza di
Dio partendo dalle origini delle
religioni, oltre a studiare il perché
del “bisogno” consolatorio della
religione e di un’etica dettata da testi
sacri spesso in contraddizione tra loro
e che possono indurre al fanatismo. Ma
le principali ragioni di fondo per
negare l’esistenza di un Dio “capace
di monitorare e controllare in
permanenza le condizioni di ogni singola
particella dell’universo” e
parimenti di seguire “azioni,
emozioni e preghiere di ogni singolo
essere umano” sono da ricercarsi
nella concezione di un supposto Creatore
talmente “mastodontico” per
accogliere le infinite facoltà di cui
dovrebbe essere dotato, da apparire
statisticamente improbabile.
Per questo, secondo Dawkins, si può
affermare che è “quasi certo” che
Dio non esiste. E conclude il suo
ponderoso volume dicendo che “quella
atea è quindi una visione che sostiene e
potenzia la vita e al tempo stesso non è
mai inquinata dall’autoinganno, dal
desiderio illusorio o dalla querula
autocommiserazione di chi è convinto che
la vita gli debba qualcosa”.
Il celebre cosmologo e astrofisico
Martin Rees, docente al Trinity
College di Cambridge e considerato
tra i più grandi scienziati viventi, sul
rapporto Dio/Scienza si definisce
scettico: ”Non credo in alcun dogma
religioso, ma condivido un senso di
mistero e stupore con chi ne è
partecipe. Se abbiamo imparato qualcosa
dal progresso della scienza, è che anche
qualcosa così basilare come un atomo è
molto difficile da capire. Questo
dovrebbe renderci scettici su ogni dogma
o pretesa di avere ottenuto qualcosa di
più di una comprensione assai incompleta
e metaforica di ogni aspetto profondo
della nostra esistenza”. Tuttavia
afferma che va in Chiesa come “anglicano
non credente (…) per lealtà verso la
tribù”!
Sir Martin Rees ha ottenuto nel 2011 il
premio della Templeton Foundation
destinato a chi ha dato un contributo
eccezionale per affermare la dimensione
spirituale della vita, assegnato anni
prima a Madre Teresa di Calcutta e al
Dalai Lama.
Lo stesso premio è toccato nel 2019 a
Marcelo Gleiser, noto fisico e
astronomo di origine brasiliana, che si
definisce agnostico in quanto, dice: ”non
vedo evidenza per un qualsiasi genere di
essere o intervento soprannaturale, ma
mi rendo anche conto che siamo
parzialmente ciechi verso tutto ciò che
è al di fuori di noi, e quindi dovremmo
mostrare umiltà. Vedo l’ateismo
inconsistente col metodo scientifico
perché essenzialmente è un credere nel
non credere. Non offre alcuna prova di
inesistenza dal momento che questo
sarebbe letteralmente impossibile
mediante la scienza // Per un non
credente, l’unica posizione consistente
con la scienza è l’agnosticismo”.
Edward Witten,
ritenuto “the smartest living
physicist” per i suoi lavori
fondamentali sulla teoria delle stringhe
volta a spiegare l’intero universo con
un’unica “teoria del tutto”, nominato
nel 2006 da Papa Benedetto XVI membro
della Pontificia Accademia delle
Scienze, alla domanda se riteneva che
scienza e religione fossero compatibili,
ha risposto laconicamente: “Considero
le spiegazioni scientifiche più
interessanti ed illuminanti”. |