N. 81 - Settembre 2014
(CXII)
L'ASTRONOMO DI JAN VERMEER
QUANDO IL QUOTIDIANO TENDE ALL'UNIVERSO
di Federica Campanelli
Un
piccolo
capolavoro
silenzioso
datato
al
1668,
un
dipinto
da
scrutare
nella
sua
intimità:
l’Astronomo
di
Johannes
van
der
Meer,
comunemente
noto
come
Jan
Vermeer
(Delft,
31
ottobre
1632
-
Delft,
15
dicembre
1675)
è un
olio
su
tela
di
modeste
dimensioni,
50,8
x
46,3
cm,
in
cui
il
gesto
semplice
dello
studioso
che
tende
la
mano
verso
il
globo,
pronto
a
verificare
in
prima
persona
gli
aspetti
della
volta
celeste,
racchiude
in
sé
tutta
la
potenza,
il
senso
e il
valore
dell’opera,
rendendo
riduttiva
la
qualificazione
di
“pittura
di
genere”.
Con
il
suo
protendersi
verso
l’elemento
più
luminoso
e
“illuminato”
della
composizione
– la
sfera
celeste,
simbolo
della
rinascente
dottrina
astronomica
– la
figura
dell’astronomo
(reso,
forse,
con
le
fattezze
dello
stesso
artista
e
talvolta
identificato,
più
genericamente,
come
filosofo
o
matematico),
sembra
levarsi
dalla
penombra
del
suo
modesto
studiolo
come
fa
la
forza
della
conoscenza
muovendo
dall’oscurità
dell’ignoranza.
L’effetto
di
quest’azione
risulta
ancor
più
persuasiva
nel
momento
in
cui
Vermeer
non
sfrutta
la
violenza
del
contrasto
tra
colori
brillanti
e
l’oscurità
di
ambienti
chiusi,
tipico
del
Caravaggismo
in
auge
tra
i
secoli
XVI
e
XVII
e di
cui
Vermeer
fu
solo
un
conoscitore
indiretto
e
latente
“seguace”,
principalmente
durante
la
sua
fase
giovanile.
Nell’Astronomo
il
pittore
olandese
impiega,
come
dominanti,
tonalità
tenui,
spente
e
neutre,
grazie
alla
sapiente
modulazione
della
saturazione
cromatica
declinata
su
valori
bassi.
L’originario
contrasto
tra
complementari,
tra
le
fredde
gradazioni
delle
stoffe
(il
realistico
rok
in
seta
indossato
dal
protagonista
e il
rigido
panneggio
che
avvolge
la
scrivania)
e le
calde
sfumature
dell’ambiente,
è
temperato
dalla
luce
naturale
filtrata
dai
vetri
opachi
della
finestra,
quella
stessa
luce
che
lambisce
ogni
cosa
ma
che
privilegia
i
cardini
della
rappresentazione:
il
globo
celeste,
l’astrolabio,
il
libro,
le
carte,
il
compasso
(emblema
delle
scienze
esatte)
e
infine
l’uomo,
lo
studioso.
Jan
Vermeer,
Astronomo,
1668
Gli
elementi
essenziali
della
composizione
sono
manufatti
e
strumenti
dotati
di
un
verismo
materico
tale
da
poter
non
solo
riconoscerne
la
fattura,
ma
anche
di
eseguirne
un’esaustiva
analisi
filologica,
identificandoli
in
maniera
effettiva
e
inequivocabile.
La
sfera
celeste,
magnifica
nei
suoi
dettagli,
ad
esempio
è la
fedele
riproduzione
di
un
globo
firmato,
attorno
al
1598,
da
Joost
de
Hondt,
latinizzato
come
Jodocus
Hondius,
cartografo
fiammingo
ed
esperto
incisore,
continuatore
della
preziosa
attività
di
Gerhard
Kremer,
meglio
conosciuto
come
Gerardo
Mercatore.
Lo
stesso
globo
ricorre
in
altre
due
opere
di
Vermeer:
nell’Allegoria
della
Fede
cattolica
(1671-1674
circa)
e
nel
Geografo
(1668-1669
circa),
interpretato
tra
l’altro
–
considerando
il
simile
formato,
l’identica
fisionomia
del
protagonista,
la
stessa
ambientazione
e la
coincidenza
di
vari
elementi
–
come
pendant
dell’Astronomo.
Jan
Vermeer,
Geografo,
1668-1669
circa
Altro
oggetto
esaurientemente
identificato
è il
volume
tenuto
aperto
sullo
scrittoio:
un’attenta
analisi
condotta
da
James
A.
Welu
(Vermeer’s
Astronomer:
Obsevations
on
an
Open
Book,
in
“Art
Bulletin”,
1986)
ha
verificato
che
si
tratta
di
un
testo
coevo
al
pittore,
il
trattato
dal
titolo
Sull’investigazione
o
osservazione
delle
stelle,
dell’olandese
Metius,
pseudonimo
di
Adriaan
Adriaanszoon,
l’astronomo
e
matematico
che
per
primo
rivelò
il
cosiddetto
“numero
di
Metius”
(355/113),
valida
approssimazione
del
pi
greco.
Tra
le
pagine
del
volume
è
fedelmente
rappresentato
l’astrolabio
a
ruota
di
Metius,
e
tale
precisione
ha
addirittura
consentito
di
identificare
il
volume
come
la
seconda
edizione
del
trattato,
datata
1621.
Alla
destra
dello
studioso
si
nota
un
quadro
appeso
alla
parete
di
fondo,
un
dipinto
che
ha
per
tema
Mosè
salvato
dalle
acque
del
Nilo.
Alla
“necessità”
di
rappresentare
oggetti
d’interni,
tipica
consuetudine
nella
pittura
di
genere,
Vermeer
affianca
la
“virtù”
dell’allegoria
scaturita
da
un
personaggio
biblico,
Mosè,
la
cui
figura,
già
dalle
prime
speculazioni
filosofiche
circa
i
testi
sacri,
è
descritta
come
carismatica
al
pari
di
un
Re e
sapiente
come
un
filosofo,
pratico
di
tutte
le
discipline
professate
nell’antico
Egitto.
Lo
stesso
“quadro
nel
quadro”
è
stato
riprodotto
in
un
altro
dipinto
autografo
di
Vermeer
datato
al
1665:
Fantesca
e
signora
che
scrive
una
lettera.
L’astronomo
indossa,
come
accennato
in
precedenza,
un
rok
giapponese,
un
abito
di
manifattura
locale
e
realizzato
con
stoffe
importate
dall’Oriente.
Ispirato
allo
stile
del
kimono,
il
rok
era
frequentemente
indossato
da
certi
eruditi
dell’alta
borghesia
che
amavano
farsi
ritrarre
all’interno
delle
loro
stanze.
Il
XVII
secolo
fu
caratterizzato
da
un
profondo
rinnovamento
della
ricerca
teorica
nel
campo
della
fisica
astronomica,
corroborata
dall’osservazione
dei
corpi
celesti.
Fu
lungo
il
processo
che
condusse
alla
piena
coscienza
di
una
rivoluzione
scientifica
destinata
a
cambiare
per
sempre
la
percezione
della
Natura.
Gli
eredi
di
Copernico,
i
protagonisti
del
Seicento
scientifico,
furono
Johannes
Kepler,
che
agli
albori
del
secolo
fu
autore
delle
tre
note
Leggi
sul
movimento
dei
pianeti
intorno
al
Sole,
Galileo
Galilei,
principe
delle
osservazioni
astronomiche
e
fautore
di
quella
felice
alleanza
tra
scienza
e
tecnologia
che
portò
alla
realizzazione
del
telescopio
e,
più
tardi,
Isaac
Newton
con
i
suoi
eterni
Principia.
Gli
artisti
dell’epoca
non
rimasero
indifferenti
alla
progressiva
evoluzione
della
scienza
e
alla
conseguente
“crescita
sociale”
della
figura
dell’astronomo
o,
più
in
generale,
dell’osservatore
(persino
quello
amatoriale)
quale
nuovo
pensatore
in
grado
di
guardare
al
cielo
come
nessuno
aveva
fatto
prima.
L’astronomo
fu
quindi
oggetto
di
vari
ritratti
nel
cosiddetto
Secolo
d’Oro
olandese:
il
dipinto
Un
Astronomo
(1652)
di
Ferdinand
Bol,
allievo
di
Rembrandt,
il
nostalgico
Astronomo
con
candela
(1665)
di
Gerrit
Dou,
il
ritratto
del
naturalista
e
microscopista
Antoni
van
Leeuwenhoek
(1670)
a
opera
di
Johannes
Verkoljee,
rappresentano
solo
pochi
ma
validi
esempi
di
come
una
certa
pittura
di
genere
abbia
voluto
dedicarsi
alla
celebrazione
di
una
nuova
dimensione
quotidiana
e
intimista,
concentrata
su
pochi
particolari
dotati
di
tacita
concretezza.
Gerrit
Dou,
Astronomo
con
candela,
1665