OMERO E L’astronomia
L’universo nell’Iliade
E NELL'ODISSEA
di Fabio Serafini
L’Iliade e l’Odissea riportate per
iscritto attorno all’VIII secolo
a.C. e attribuite a Omero sono opere
così conosciute in tutto il mondo da
poter evitare di soffermarsi sulla
loro storia. Tuttavia probabilmente
pochi sono coloro a conoscenza che
entrambi i testi contengono
informazioni astronomiche, a riprova
di come gli astri fossero studiati
già in epoca antica, fin da un
momento precedente la nascita della
civiltà greca.
Il libro 18 dell’Iliade descrive la
disperazione di Achille per la morte
dell’amico Patroclo; Teti, madre del
semidio, promette al figlio nuove
armi per combattere i Troiani, le
quali saranno poi forgiate da Efesto
durante una notte. In questo
contesto vengono menzionati il Sole,
la Luna e le costellazioni delle
Pleiadi, delle Iadi, di Orione e
dell’Orsa Maggiore, che per l’autore
dell’Iliade gira attorno al polo e
riguarda Orione, con le due
costellazioni divise dai lavacri del
mare.
Come per il Sole, lo spostamento
delle stelle durante le ore notturne
– nella fattispecie l’Orsa Maggiore
menzionata da Omero – è dovuto
all’illusione ottica, poiché solo al
di fuori del nostro pianeta si
avvertono i moti della Terra. La
stessa frase sull’Orsa Maggiore
quanto meno suggerisce, se non
dimostra, come già gli Antichi Greci
– e forse anche le civiltà
precedenti – si siano accorti di
come sia possibile osservare tale
costellazione tutto l’anno e che la
stessa costellazione non sia lontana
da quella Stella Polare verso cui è
allineato l’asse di rotazione della
Terra.
L’Orsa Maggiore, infine, è
effettivamente rivolta verso la
costellazione di Orione, con
quest’ultima che dà le spalle alla
prima. Le attenzioni di Orione –
denominato anche Cacciatore –, ai
cui piedi vi sono le costellazioni
del Cane Maggiore (con la sua stella
Sirio) e del Cane Minore, sono
infatti rivolte al Toro, al cui
interno è osservabile l’ammasso
aperto delle Pleiadi – conosciute
anche come Sette Sorelle –, formato
da dodici stelle visibili a occhio
nudo sebbene l’inquinamento luminoso
cittadino permette al giorno d’oggi
di osservarne solo circa la metà.
Anche l’ammasso aperto delle Iadi –
che risulta essere quello più vicino
al nostro pianeta – è visibile
all’interno della costellazione del
Toro, in quanto ne costituisce la
testa, tanto che ne fa parte
Aldebaran, stella più luminosa
dell’intera costellazione.
Rispetto l’Iliade, Omero ha dato più
ampio spazio all’astronomia
all’interno dell’Odissea, opera
divisa in tre parti: i primi quattro
capitoli formano la Telemachia,
seguita dai viaggi di Ulisse –
formata dai capitoli compresi fra il
quinto e il dodicesimo –, mentre i
capitoli fra il tredicesimo e il
ventiquattresimo narrano del ritorno
e della vendetta dell’eroe.
Le prime notizie astronomiche
dell’Odissea si riscontrano nel
quinto capitolo, in cui un Ulisse
intento a navigare osserva le
Pleiadi e tenendo alla propria
sinistra l’Orsa, probabilmente
intesa come l’Orsa Maggiore già
riscontrata nell’Iliade. Dell’Orsa
viene aggiunto essere l’unica mai a
tramontare: quindi, come già detto
in precedenza, essa è visibile per
tutto l’arco dell’anno. Ciò è
tuttavia un errore, poiché è
possibile osservare in ogni momento
anche l’Orsa Minore con la sua
Stella Polare.
Un secondo sbaglio sulla stessa
costellazione contenuto in questa
parte dell’Odissea è rappresentato
dal quel passaggio in cui il Carro
Maggiore è un suo altro nome: in
realtà il Carro Maggiore è solo una
parte – quella finale – dell’Orsa
Maggiore, così come il Carro Minore
è solo una porzione dell’Orsa
Minore.
Negli stessi versi del quinto
capitolo viene altresì aggiunto come
l’Orsa Maggiore sia rivolta verso
Orione, mentre la costellazione del
Boote è ormai nella fase del
tramonto. In questa parte
dell’Odissea sono quindi scomparse
le Iadi, mentre ha trovato spazio il
Boote – o Bifolco –, anch’essa non
distante dall’Orsa Maggiore e la cui
stella più importante è Arturo;
inoltre, osservando questa
costellazione durante il mese di
gennaio è possibile visionare lo
sciame meteoritico delle Quatrantidi.
Nel quindicesimo capitolo, invece,
Eumeo, nel parlare con Ulisse,
menziona l’isola di Syros –
denominata Siria nella traduzione
dell’Odissea –, in cui si osservano
i ritorni del Sole. Per ritorni
si intendono i solstizi,
rappresentati da quei momenti in
cui, in base al moto apparente
sull’eclittica, la stella del nostro
sistema solare raggiunge il punto di
declinazione massima o minima e
coincidenti con l’inizio dell’estate
e dell’inverno.
Per convenzione i due solstizi
vengono fatti ricadere il 21 giugno
e il 21 dicembre di ogni anno,
sebbene in realtà il primo talvolta
può essere anticipato al 20 giugno,
mentre il secondo ricade fra il 20 e
il 22 dicembre.
L’isola di Syros fa oggi parte
dell’arcipelago delle Cicladi, il
suo centro abitato più importante è
Ermopoli ed ebbe qui i natali
Fereciade, maestro di Pitagora.
Per concludere, i due poemi omerici
posseggono informazioni astronomiche
su alcune costellazioni – forse fra
le più famose e importanti ancora
oggi – dell’emisfero settentrionale,
oltre a riportare l’esistenza di
studi sui solstizi presso un’isola
greca.
Le notizie astronomiche riportate
dall’autore dei poemi sono tuttavia
scarne, ma pur dimostrano come fosse
già ampia la conoscenza del cielo.
Ciò quindi dimostra come sia antico
lo studio dell’universo, iniziato
sicuramente già prima dell’avvento
della civiltà greca, la quale forse
ereditò le conoscenze dei popoli
precedenti, oltre a dare sicuramente
un contributo fondamentale alla
migliore comprensione del cosmo.
Riferimenti bibliografici:
Omero, Iliade, introduzione e
traduzione di M. G. Ciani, commento
di E. Avezzù, Venezia 2010.
Omero, Odissea, a cura di V.
Di Benedetto, Milano 2010.
F. Bernacchia, Le direzioni del
sole e delle stelle dai monumenti
agli orologi solari, in
Memoria Rerum, volume X, Fano
2020.
F. Gallo, I grandi medici
calabresi, Cosenza 2013.