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N. 21 - Settembre 2009 (LII)

L’ASSASINIO Di DOLLFUß
La prima vittima di Hitler?

di Leila Tavi

 

Engelbert Dollfuß è una delle figure più controverse della storia austriaca; il suo assassinio è legato alla violenta rivolta dei nazionalsocialisti austriaci del 25 luglio 1934, appoggiata dagli uomini delle SS e passata alla storia con il nome di Juliputsch (Putsch di luglio). Ancora oggi gli storici s’interrogano sul ruolo che ebbe Dollfuß nella storia tra le due guerre: fu un martire del Nazismo o un despota che voleva annientare la classe operaia?

 

L’acceso dibattito tra gli intellettuali austriaci

 

Il dibattito tra gli intellettuali austriaci ogni anno, in occasione della ricorrenza dei tragici eventi dell’estate del 1934, è acceso. Recentemente Roman Sandgruber, docente universitario, ha portato avanti la tesi del martirio, mentre Nikolaus Jilch, giornalista, lo considera il penultimo dittatore in Austria.

 

Si può certamente affermare che gli anni dell’austro-fascismo hanno influenzato dal dopoguerra fino ai nostri giorni i rapporti tra i due maggiori partiti austriaci: SPÖ (Sozialdemokratische Partei Österreichs) e l’ÖVP (Österreichische Volkspartei).

 

La sinistra polemizza ancora sul fatto che un ritratto del cancelliere Dollfuß si trovi nella sede dell’ÖVP in Parlamento. Nel 2001 Kohl Dollfuß, al tempo della coalizione nero-blu con la FPÖ di Haider, ha definito l’assassinio del 1934 come il “martirio di un patriota”; la risposta della sinistra non ha tardato ad arrivare. Il parlamentare della SPÖ Günther Kräuter ha commentato le parole di Kohl Dollfuß dichiarando: “Guardi, le dico che per me e per la mia frazione il cancelliere Dollfuß è stato un sudicio fascista!”.

 

Alcuni cenni biografici

 

Engelbert Dollfuß nacque il 4 ottobre del 1892 a Texing, nel Niederösterreich, come figlio illegittimo di un piccolo proprietario terriero. Entrò nelle fila del Partito cristiano-sociale dopo la disfatta austriaca nella Prima Guerra Mondiale e la fine dell’Impero asburgico. Nel 1932 fu democraticamente votato e divenne cancelliere grazie a una maggioranza instabile.

 

Nello stesso anno fondò insieme al principe Ernst Rüdiger Starhemberg il Vaterlandfront, un fronte di chiara ispirazione fascista che riuniva tutti i partiti di destra dell’Austria. Il 4 marzo del 1933 fu sciolto il Parlamento. Per anni la storiografia austriaca del dopoguerra ha parlato di scioglimento volontario, ma dalle rivelazioni del 2003 di Andreas Kohl, in quell’anno presidente del Nationalrat e membro del partito dell’ÖVP, si è parlato di una trasformazione da Rechtstaat a Staatsstreich e del riconoscimento, inizialmente contra legem, di un regime autoritario.

 

Dollfuß non indisse nuove elezioni e decise di governare autoritariamente richiamandosi al Ermächtigungsgesetz del 1917, una legge varata appositamente per superare l’impasse economica dell’immediato dopoguerra e che concedeva vasti poteri al governo. In conseguenza di ciò ci fu una stretta politica: tutti le altre compagini politiche furono dichiarate illegali.

 

Nel 1933 i contatti fra Dollfuß e Benito Mussolini furono frequenti; i due s’incontrarono in aprile a Vienna, in giugno a Roma e in agosto a Riccione. Il duce tentava di creare una specie di cordone sanitario alla possibile avanzata delle truppe del neoeletto cancelliere tedesco Adolf Hitler.

 

Sul fronte della politica interna la tensione sociale sfociò nei disordini del febbraio 1934, quando ci furono scontri di piazza tra l’organizzazione paramilitare della sinistra, lo Schutzbund, e quella di destra, la Heimwehr, appoggiata e finanziata dal regime. Gli scontri durarono fino al 14 febbraio causando trecento vittime e sancendo la definitiva sconfitta dei gruppi armati di sinistra. Molti degli insorti furono giustiziati, fu ribadito con forza il divieto di formare nuovi partiti politici, il Landesregierung di Vienna fu sciolto. Il 1° maggio fu dichiarato lo stato di emergenza.

 

Il 17 marzo del 1934 Dollfuß si recò un’altra volta a Roma, dove firmò, insieme a Mussolini e al primo ministro ungherese Gömbös, i “Protocolli di Roma”, un accordo che prevedeva alcune facilitazioni doganali tra i tre paesi contraenti e aiuti militari in caso di attacco da parte di altri paesi.

Il 25 luglio circa centocinquanta putschisti, appartenenti ai gruppi dell’estrema destra favorevoli all’Anschluß, si recano verso l’una del pomeriggio nel palazzo sede della Cancelleria nella Ballhausplatz con uniformi dell’esercito. Dopo circa venti minuti uomini delle SS occuparono gli studi della Ravag, una stazione radio, costringendo lo speaker a dare l’annuncio della proclamazione di un nuovo governo guidato da Anton Rintelen, un cristiano socialista che cooperava con i nazionalsocialisti tedeschi. Nel frattempo, assediato dai putschisti, Dollfuß aveva cercato di lasciare l’edificio da una scala di servizio, ma il tentativo di fuga fallì miseramente. Il cancelliere fu raggiunto da un gruppo di rivoltosi che gli spararono.

 

Dopo qualche ora Dollfuß morì dissanguato per una profonda ferita alla gola; i putschisti gli avevano negato le necessarie cure mediche prima e l’estrema unzione poi. Contemporaneamente negli studi della Ravag le SS si arrendevano all’esercito austriaco; gli occupanti la Cancelleria resistettero invece fino alla sera. In provincia i tentativi di sovvertire l’ordine da parte della destra estrema continuarono fino alla giornata del 28 luglio prima di essere domati. Lo storico Kurt Bauer parla di duecentoventitre vittime: centouno dalla parte del governo, centoundici dalla parte dei rivoltosi e undici persone estranee ai fatti.

 

Il successore di Dollfuß fu Kurt Alois von Schuschnigg, che aveva sedato in veste di Ministro della Giustizia la rivolta. Schuschnigg stipulò nel 1836 il patto con la Germania per cui formalmente l’Austria rimaneva un paese indipendente dalla Germania, ma la sua politica estera dipendeva da Berlino. Il 12 marzo 1938 fu annunciato da Hitler l’Anschluss.

 

Il contesto storico-politico

 

Una delle conseguenze della Prima Guerra Mondiale fu la costituzione di uno Stato indipendente dalle terre di lingua tedesca, appartenenti in precedenza all’Impero austro-ungarico.

 

In tale piccolo Stato convissero nel periodo tra le due guerre tutte le correnti ideologiche del primo Novecento, quelle che prevedevano una legittimazione al potere di tipo parlamentare e quelle che professavano una via “non parlamentare”, violenta e irrazionale.

 

L’Austria era divisa in varie fazioni, dette Lager; i maggiori contendenti erano i socialisti, guidati da Otto Bauer ed esponenti dell’austro-marxismo; i cristiano sociali di Iganz Seipel e i pan-germanici, che molto presto diventarono sostenitori del Nazionalsocialismo. A livello popolare tali principali attori politici erano identificati rispettivamente come “rossi”, “neri” e “marroni”.

 

I socialisti austriaci, parzialmente influenzati dalle idee di piccoli gruppi comunisti, perseguivano la lotta di classe e credevano nella rivoluzione, ma de facto non si discostarono mai dalla democrazia parlamentare.

 

I cristiano sociali godevano del supporto dei nostalgici monarchici, tra cui numerosi ricchi imprenditori e industriali, degli esponenti del clero e della classe contadina. Gli appartenenti a questa fazione si sentivano minacciati dal pericolo bolscevico e da un’imminente rivoluzione socialista. Intendevano governare secondo un modello di fascismo di tipo clericale, ispirato alle teorie corporative di Othmar Spann.

 

I pan-germanici non avevano un “codice” ideologico proprio, caldeggiavano semplicemente la fusione con lo Stato tedesco, all’insegna della Volksgemeinschaft.

Sia i partiti di destra che di sinistra erano dotati di un braccio armato, come accennato sopra. I socialisti utilizzavano lo Schutzbund, che inizialmente aveva un mero scopo difensivo, ma che presto venne riorganizzato allo scopo di realizzare la rivoluzione. La Heimwehr, invece, nacque come supporto all’esercito per contrastare i tentativi della Yugoslavia di occupare territori austriaci sul confine e divenne, perciò, il corpo armato della destra, impiegato per contrastare la lotta nei quartieri operai.

 

Conclusioni

 

L’Austria fu in quegli anni un vero dilemma per la politica internazionale europea: schiacciata tra il nazionalsocialismo tedesco, il fascismo italiano e il revisionismo ungherese, fallì la sua unica opportunità di un ricongiungimento con le potenze occidentali quando decise di far affondare la democrazia parlamentare.

 

La Prima repubblica austriaca è sicuramente un interessante esempio nella storia contemporanea di come uno Stato si sia trovato a dover fronteggiare problemi legati a un riassetto politico istituzionale post-imperiale.

 

Con i patti del luglio 1936 l’Austria si trasformò nella “seconda Germania”, Stato vassallo di Hitler, fiduciosa nel quid pro quo di un’apparente indipendenza formale. La mancata alternativa, la riconciliazione con la sinistra, fu impedita principalmente da un fatale errore strategico: la convinzione che uno Stato corporativo fosse il male minore rispetto alla minaccia del totalitarismo di stampo marxista.

L’Anschluß del 1938 è il risultato della debolezza politica di Kurt von Schuschnigg, la confusione politico-sociale dell’Austria e l’azzardo di Hitler che nessuna potenza occidentale avrebbe mosso un dito per un piccolo Stato, reduce dalla dissoluzione di un impero vasto e potente.

 

Sicuramente l’Anschluß non fu una conseguenza della Depressione del 1929, come spiega Walter B. Simon, che confuta la tesi della debolezza economica dell’Austria come pretesto per la deriva democratica. Tra l’autunno del 1929 e i primi mesi del 1932 ci fu una proficua collaborazione politica tra i due principali attori politici, i socialisti e i cristiano sociali, e una costruttiva revisione della Costituzione.

 

L’ascesa al potere di Hitler nel 1933 fu accolta in Austria dalla destra estrema come un evento positivo, un esempio da emulare e dalla destra moderata come un pericolo da arginare con uno Stato forte. Allo stesso tempo la sinistra rifiutava la via della mediazione con i cristiano sociali, perseguendo in modo ingenuo la lotta di classe: i socialdemocratici credevano nell’utopia di una società senza classi prevista dal programma Heinfeld del 1888, mentre i socialisti vivevano nell’illusione che in breve tempo sarebbero arrivati drastici cambiamenti sociali in Europa e che la rivoluzione russa si sarebbe espansa a macchia d’olio su tutto il territorio europeo. Il programma politico di riferimento dei socialisti era quello di Linz del 1926, con l’abolizione della proprietà privata, un provvedimento fortemente osteggiato dalla borghesia e dai contadini.

 

Un’Austria democratica e parlamentare non sarebbe stata comunque in grado di fermare l’avanzata di Hitler, avrebbe però permesso la costituzione di un governo in esilio, sul modello di quello francese, con una maggiore credibilità e forza contrattuale, benefici di cui l’Austria non ha potuto godere al tavolo delle trattative con le potenze occidentali nel 1945.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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