N. 19 - Dicembre 2006
L'ASIA
CENTRALE E I SUOI CONFLITTI LATENTI
Risorse
idriche, inquinamento, strategia del petrolio e
fondamentalismo islamico
di
Leila Tavi
Le ex repubbliche sovietica dell'Asia
centrale sono un'area d'importanza geo-strategica tra
l'Europa e l'Asia. Dal crollo dell’Unione sovietica
sono lo scenario della lotta per il controllo delle
risorse energetiche nel bacino del mar Caspio. Lotta
tra USA, Russia e la criminalità organizzata locale.
L’Asia centrale è delimitata a est e a sud dalle
montagne del Tian Shan, del Pamir e
dell’Elbrouz, a ovest dal mar Caspio, mentre a
nord nessuna barriera fisica separa la steppa kazaka
dalla pianura russa.
Proprio l’assenza di barriere al confine con la Russia
ha permesso a partire dalla fine del XVIII secolo la
penetrazione russa.
Dal
Tian Shan nascono i due fiumi principali della
regione: l’Amu Darja al sud e il Syr Darja
al nord, che si gettano nel mare d’Aral, uno tra i
quattro più grandi mare interni al mondo.
I
due fiumi con i loro affluenti sono sfruttati per un’irrigazione
intensiva sin dall’epoca sovietica per la
coltivazione del cotone in Uzbekistan e del grano in
Kazakhstan.
Lo
sfruttamento intensivo delle risorse idriche sta
lentamente causando il prosciugamento del mare d’Aral
ed è motivo di conflitti interetnici nella regione.
L’Asia centrale è tornata a essere un osservatorio per
analizzare il fragile equilibrio geopolitico dell’Eurasia;
in primis perché è una regione petrolifera
strategica e poi perché, dopo il rovesciamento del
regime dei Taliban nel novembre 2001,
l’attenzione della comunità internazionale si è
spostato in Asia centrale, in particolar modo nella
valle del Fergana dove, in seguito alla crisi
economica e sociale causata dal collasso dell’Unione
sovietica, a una tradizione islamica moderata,
tollerante e intimista “asiatica” si è sostituita una
matrice radicale, violenta e fondamentalista “araba”.
In
Asia centrale passano gli oleodotti che collegano il
mar Caspio al mar Nero.
E’
per il controllo del commercio di petrolio e di
questi oleodotti che la Russia non vuole perdere la
sua influenza politica e militare sulle repubbliche
nate dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica e che
gli Stati uniti finanziano le rivoluzioni, più o meno
riuscite, filo-occidentali e, dopo la guerra in
Afghanistan, hanno istallato basi militari nella
regione.
Le
riserve petrolifere del bacino del mar Caspio
rappresentano per l’Azerbaidjan, il Turkmenistan e il
Kazakhstan 30 miliardi di barili di petrolio, pari al
3% delle riserve mondiali.
La
regione è inoltre ricca di gas, con il 4% delle
riserve mondiali, di cui 159 miliardi di metri cubi
solo in Turkmenistan.
Facile comprendere cosa è in gioco in Asia centrale e
come i principali attori fanno le loro mosse.
Gli
Stati uniti cercano a ogni costo di limitare
l’influenza russa sulle sue ex repubbliche asiatiche,
così da scongiurare il pericolo che la Russia rinasca
come una fenice sulle ceneri del colosso sovietico.
La
Russia di Putin cerca chiaramente di ritornare in
auge come potenza economica e militare.
Tutte e due cercano contemporaneamente di collaborare
in senso anti-islamico per evitare che la regione vada
alla deriva e alla mercé dei gruppi armati islamici
che vogliono costituire un califfato nel cuore
dell’Asia.
La
Cina, potenza emergente ma ancora nell’ombra,
collabora con gli USA, ma soprattutto con la Russia,
per evitare il propagarsi del fenomeno islamico anche
nelle sue province periferiche al confine occidentale;
allo stesso tempo cerca di accaparrarsi energia per lo
sviluppo del paese.
Per
il momento la Cina è ancora dipendente dai produttori
arabi, ma ha bisogno di guardare anche altrove per
soddisfare il crescente fabbisogno di risorse
energetiche per supportare l’enorme crescita economica
e industriale di questi ultimi anni.
Nel
quadro di questa cooperazione va a collocarsi
l’importante accordo di Shanghai con la Russia per la
lotta al terrorismo e per la sicurezza energetica.
Il “gruppo
di Shanghai” è stato fondato dalla Russia insieme
al Kazakhstan, al Kirgizistan e al Tadjikistan;
l’accordo è stato esteso alla Cina solo in un secondo
momento.
Mentre la politica internazionale cerca di controllare
la gestione del Sud-Ovest asiatico, all’interno della
regione la tensione e i conflitti aumentano sempre
più.
Un
dei motivi di conflitto tra le cinque repubbliche
dell’Asia centrale è la dipendenza dal mare, o lago,
d’Aral che, a causa del troppo intenso sfruttamento
per la monocoltura del cotone, sta evaporando perché
non riceve più acqua a sufficienza dai fiumi Amu Darja
e Syr Darja.
Con
l’introduzione della monocoltura nella regione, dagli
anni Sessanta del XX secolo fino ad oggi, il mare d’Aral
ha perso il 60% della sua superficie e l’80% del suo
volume e rischia di prosciugarsi entro il 2020.
Dall’estate 2003 il fiume Amu Darja non riesce più a
sfociare nel mare.
Secondo uno studio dell’Unesco il peggioramento delle
condizioni igieniche e ambientali che i due paesi
bagnati dal mar d’Aral devono affrontare, il
Kazakhstan e l’Uzbekistan, è dovuto al lento
prosciugamento del mare e all’inquinamento dei fiumi
che vi confluiscono.
Ci
sono 36.000 chilometri di fondali marini scoperti,
ricchi di sale che viene portato via dal vento fino a
giungere nelle terre arabe; senza considerare che sui
fondali si sono accumulati pesticidi e sostanze
tossiche, riversate nell’acqua e nei canali
d’irrigazione dalle industrie, e che hanno causato
l’avvelenamento d’acqua potabile e cibi.
A
farne le spese sono cinque milioni di persone.
Dal
1960 al 1990 la zona fertile in Asia centrale è
passata da 3,5 a 7,5 milioni di ettari, permettendo
all’Uzbekistan, il maggiore produttore di cotone della
regione, di diventare il quarto produttore mondiale.
Negli anni Ottanta del XX secolo il mare d’Aral ha
ricevuto dieci volte meno acqua dolce che negli anni
Cinquanta. Gli enormi accumuli di sale sui suoi
fondali hanno distrutto la flora e la fauna marini
danneggiando il settore pesca nell’area.
Le
trenta specie di pesce prima presenti nel mare si sono
tutte estinte a causa dell’inquinamento e del
prosciugamento.
L’acqua potabile della regione contiene adesso un
quantitativo di sale quattro volte maggiore con gravi
danni alla salute della popolazione, ha denunciato
l’Organizzazione mondiale per la salute.
I
casi di malfunzionamento renale, diarrea e tubercolosi
sono quintuplicati.
La
popolazione è affetta anche da varie forme tumorali da
quando la regione è diventata una discarica di scorie
nucleari.
Il
mare d’Aral è il motore per il sostentamento di tutte
e cinque le repubbliche dell’Asia centrale e se nulla
verrà fatto per evitare il prosciugamento si possono
immaginare scenari di guerra apocalittici.
In
questo capillare intreccio di interessi regionali e
internazionali intorno ai due punti strategici, il
mare d’Aral e la valle del Fergana, la sopravvivenza
di ognuna delle cinque repubbliche è indissolubilmente
legata al destino delle altre.
Il
Kazakhstan, l’Uzbekistan e il Turkmenistan, a valle,
dispongono di riserve di gas e petrolio, ma dipendono
dalle risorse idriche degli altri due paesi; il
Kirgizistan e il Tadjikistan, a monte, sono ricchi di
centrali idroelettriche, ma sono dipendenti dagli
altri tre stati per gas e petrolio.
Vari
sono i tentativi da parte delle singole nazioni di
deviare i corsi d’acqua per assicurarsi
l’approvvigionamento e ciò è causa di conflitti.
Nessun accordo interstatale è stato firmato e l’ICWC,
Interstate Coordinating Water Commission, un ente
intergovernativo fondato nel 1992, è stato un
fallimento.
Il
risultato è che, all’interno della regione, ogni stato
cerca di difendere gli interessi nazionali anche con
la forza e l’azione dei paesi occidentali si limita al
finanziamento di singole imprese a livello nazionale,
esasperando ancora di più la competizione tra le
cinque repubbliche.
L’Asia centrale non ha bisogno di una soluzione
“tecnica” al problema dell’acqua, ma politica.
Lo
sfruttamento dell’acqua in Asia centrale non è, come
abbiamo visto, solo un problema agricolo e ambientale,
ma demografico, strategico e politico.
Nelle cinque repubbliche non ci sono ancora le basi
per una democratizzazione e l’accesso da parte dei
media e dei cittadini all’informazione o al processo
decisionale è ancora troppo basso.
Noi
Europei finora siano stati solo a guardare.
Dovremmo, invece, smettere di bilanciare le politiche
di sviluppo e ambientali nella regione con la
“politica del compromesso” per non essere tagliati
fuori come acquirenti dal mercato del petrolio.
E’ necessario abbandonare la strategia
dello struzzo: è troppo tardi per togliere la gramigna
solo dal proprio campo.
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