N. 95 - Novembre 2015
(CXXVI)
ASCESA E CADUTA DELLA SUPREMAZIA PONTIFICIA
DAL DICTATUS PAPAE AL CONFLITTO CON FILIPPO IL BELLO
di Davide Galluzzi
Per meglio comprendere come si arrivò al breve periodo della supremazia papale in Europa bisogna capire le condizioni in cui versava il cattolicesimo fino alla metà dell’XI secolo. Anzitutto è necessario sottolineare che, a seguito della rottura definitiva con Costantinopoli avvenuta nel 1054 a seguito di lunghe e innumerevoli tensioni, il cristianesimo era profondamente diviso.
Queste
rottura
portò
il
cattolicesimo
in
una
dimensione
forzatamente
europea.
Un
altro
punto
di
fondamentale
importanza
è
che
il
cattolicesimo
viveva
una
profonda
crisi
morale,
preda
di
una
serie
di
papi
incapaci
e
sottomesso
al
controllo
dei
laici.
Tutti
questi
fattori
uniti
causarono
come
risposta
un
vasto
movimento
di
riforma
portato
avanti
dai
monasteri
e da
vari
settori
del
clero,
destinato
a
cambiare
la
politica
della
Chiesa
nel
momento
in
cui
incontrerà
dei
pontefici
disposti
a
seguire
il
cammino
iniziato
da
altri.
Dagli
inizi
della
riforma
al
dictatus
papae:
la
nascita
della
supremazia
pontificia
Come
già
accennato
i
mali
della
Chiesa
erano
rappresentati
dal
controllo
laico
sull’istituto
cattolico
e su
un
forte
declino
morale,
rappresentato
efficacemente
dalle
pratiche
della
simonia
e
del
concubinato.
Mentre
con
quest’ultima
pratica
si
intendevano
la
convivenza
e la
relazione
di
membri
del
clero
con
donne,
con
la
simonia
si
intendeva
la
compravendita
di
cariche
ecclesiastiche.
I
primi
segni
di
riforma
si
ebbero
con
Leone
IX e
Niccolò
II.
L’azione
di
questi
pontefici
portò,
oltre
alla
condanna
della
simonia
e
del
concubinato,
una
riforma
dell’elezione
pontificia.
Con
la
bolla
In
nomine
Domini,
emessa
durante
un
sinodo
convocato
in
Laterano
nel
1059,
sanciva
che
l’elezione
del
papa
sarebbe
avvenuta
tramite
una
votazione
cui
avrebbero
partecipato
i
cardinali
vescovi
e,
in
seguito,
i
cardinali
chierici
(esponenti
del
clero
romano
e
dintorni).
Con
questa
importantissima
riforma
il
papato
veniva
sottratto
al
controllo
dei
laici,
fattore
determinante
per
gli
esiti
della
successiva
riforma
di
cui
proprio
il
vertice
del
cattolicesimo
voleva
divenire
protagonista.
Questi
primi
segni
di
riforma,
tuttavia,
non
fermarono
la
proliferazione
di
movimenti
riformatori,
molti
dei
quali
nacquero
proprio
in
Italia
(i
camaldolesi,
l’Ordine
vallombrosiano,
i
patarini…).
Fu
l’elezione
di
Gregorio
VII
(al
secolo
Ildebrando
Aldobrandeschi)
a
dare
la
svolta
definitiva.
Il
nuovo
pontefice,
che
aveva
l’importante
appoggio
del
movimento
riformatore
e di
Matilde
di
Canossa,
inizia
la
sua
opera
di
sottomissione
del
cattolicesimo
e
dell’ordine
cristiano
all’autorità
papale.
Gregorio
VII,
pur
di
veder
trionfare
i
proprio
progetti,
non
esitò
ad
usare
le
maniere
forti,
come
testimonia
la
pratica
della
scomunica
verso
chiunque
non
si
sottometta
all’autorità
pontificia
o
alle
decisioni
prese
dal
papa
(soprattutto
in
materia
di
simonia
e
concubinato).
Il
papa,
comunque,
era
consapevole
che
uno
dei
grandi
mali
della
Chiesa
dell’epoca
era,
come
già
abbondantemente
sottolineato,
la
sottomissione
al
potere
laico.
Con
al
determinazione
e
l’energia
che
caratterizzano
tutto
il
suo
pontificato
Gregorio
VII
iniziò
una
lotta
contro
questo
male,
giungendo
a
promulgare,
nel
1075,
il
cosiddetto
Dictatus
papae,
cioè
un
documento
composto
da
ventisette
enunciazioni
che
ponevano
l’autorità
pontificia
al
di
sopra
di
ogni
altra
autorità,
religiosa
o
temporale.
Di
seguito
proponiamo
le
proposizioni
contenute
nel
Dictatus
papae
per
meglio
aiutare
a
comprendere
il
suo
significato
e le
conseguenze
che
questo
documento
avrà,
a
breve
e
lungo
termine,
sulla
storia
della
Chiesa.
Il
pontefice
stabilisce:
I.
Che
la
Chiesa
Romana
è
stata
fondata
unicamente
da
Dio.
II.
Che
il
Pontefice
Romano
sia
l'unico
ad
essere
di
diritto
chiamato
universale.
III.
Che
Egli
solo
può
deporre
o
reinsediare
i
vescovi.
IV.
Che
in
qualunque
concilio
il
suo
legato,
anche
se
minore
in
grado,
ha
autorità
superiore
a
quella
dei
vescovi,
e
può
emanare
sentenza
di
deposizione
contro
di
loro.
V.
Che
il
Papa
può
deporre
gli
assenti.
VI.
Che,
fra
le
altre
cose,
non
si
possa
abitare
sotto
lo
stesso
tetto
con
coloro
che
egli
ha
scomunicato.
VII.
Che
ad
Egli
solo
è
legittimo,
secondo
i
bisogni
del
momento,
fare
nuove
leggi,
riunire
nuove
congregazioni,
fondare
abbazie
o
canoniche;
e,
dall'altra
parte,
dividere
le
diocesi
ricche
e
unire
quelle
povere.
VIII.
Che
Egli
solo
può
usare
le
insegne
imperiali.
IX.
Che
solo
al
Papa
tutti
i
principi
debbano
baciare
i
piedi.
X.
Che
solo
il
Suo
nome
sia
pronunciato
nelle
chiese.
XI.
Che
il
Suo
nome
sia
il
solo
in
tutto
il
mondo.
XII.
Che
ad
Egli
è
permesso
di
deporre
gli
imperatori.
XIII.
Che
ad
Egli
è
permesso
di
trasferire
i
vescovi
secondo
necessità.
XIV.
Che
Egli
ha
il
potere
di
ordinare
un
sacerdote
di
qualsiasi
chiesa,
in
qualsiasi
territorio.
XV.
Che
colui
che
Egli
ha
ordinato
può
dirigere
un'altra
chiesa,
ma
non
può
muovergli
guerra;
inoltre
non
può
ricevere
un
grado
superiore
da
alcun
altro
vescovo.
XVI.
Che
nessun
sinodo
sia
definito
"generale"
senza
il
Suo
ordine.
XVII.
Che
un
testo
possa
essere
dichiarato
canonico
solamente
sotto
la
Sua
autorità.
XVIII.
Che
una
Sua
sentenza
non
possa
essere
riformata
da
alcuno;
al
contrario,
Egli
può
riformare
qualsiasi
sentenza
emanata
da
altri.
XIX.
Che
Egli
non
possa
essere
giudicato
da
alcuno.
XX.
Che
nessuno
possa
condannare
chi
si è
appellato
alla
Santa
Sede.
XXI.
Che
tutte
le
maiores
cause,
di
qualsiasi
chiesa,
debbano
essere
portate
davanti
a
Lui.
XXII.
Che
la
Chiesa
Romana
non
ha
mai
errato;
né,
secondo
la
testimonianza
delle
Scritture,
mai
errerà
per
l'eternità.
XXIII.
Che
il
Pontefice
Romano
eletto
canonicamente,
è
senza
dubbio,
per
i
meriti
di
San
Pietro,
santificato,
secondo
quanto
detto
da
sant'Ennodio,
vescovo
di
Pavia,
e
confermato
da
molti
santi
padri
a
lui
favorevoli,
come
si
legge
nei
decreti
di
San
Simmaco
papa.
XXIV.
Che,
dietro
Suo
comando
e
col
suo
consenso,
i
vassalli
abbiano
titolo
per
presentare
accuse.
XXV.
Che
Egli
possa
deporre
o
reinsediare
vescovi
senza
convocare
un
sinodo.
XXVI.
Che
colui
il
quale
non
è in
comunione
con
la
Chiesa
Romana
non
sia
da
considerare
cattolico.
XXVII.
Che
Egli
possa
sciogliere
dalla
fedeltà
i
sudditi
dei
principi
iniqui.
Il
conflitto
con
l’imperatore
Questa
volontà
di
porsi
al
di
sopra
del
controllo
laico,
queste
immense
prerogative
che
il
pontefice
assegnava
a sé
stesso,
sarebbero
state
accettate
supinamente
dagli
altri
poteri
europei?
Ovviamente
no.
La
pretesa
universalistica
del
pontefice
spinse
il
papato
verso
un
forte
conflitto
con
l’altra
autorità
che
si
definiva
universale:
l’imperatore.
Sul
trono
di
imperiale
sedeva
allora
Enrico
IV,
non
disposto
ad
accettare
la
nascente
supremazia
papale.
Convocati
i
vescovi
tedeschi
ed
italiani
a
Worms
l’imperatore
ottenne
la
deposizione
di
Gregorio
VII,
il
quale
reagì
proclamando
la
decadenza
dell’imperatore
e
sciogliendo
i
suoi
vassalli
da
ogni
obbligo
di
fedeltà.
La
pronta
manovra
del
papa
sembrò
garantirgli
la
vittoria.
I
vassalli,
sciolti
dall’obbligo
di
fedeltà,
iniziarono
una
attività
d’opposizione
all’interno
dell’Impero,
decisi
a
trarre
il
maggior
profitto
dalla
situazione.
Enrico
IV,
compresa
la
gravità
della
situazione,
si
recò
a
Canossa,
con
la
volontà
di
ottenere
il
perdono
di
Gregorio
VII.
Vestito
umilmente,
costretto
a
stare
a
piedi
nudi
nella
neve,
l’imperatore
implorò
perdono.
Dopo
tre
giorni,
finalmente,
lo
ottenne.
Riconosciuto
nuovamente
imperatore
Enrico
IV
ritornò
in
Germania,
sospendendo
il
conflitto
fino
alla
sconfitta
del
rivale
Rodolfo
di
Svevia.
Sconfitta
l’opposizione
interna
l’imperatore
accese
di
nuovo
la
fiamma
del
conflitto
scendendo
in
Italia
e
ottenendo,
dai
vescovi
dell’Italia
settentrionale,
l’elezione
dell’antipapa
Clemente
III
(al
secolo
Guiberto
di
Ravenna).
Le
truppe
imperiali
non
si
fermarono
e,
conquistata
Roma,
assediarono
il
papa
a
Castel
Sant’Angelo.
L’assedio
verrà
rotto
solo
grazie
all’intervento
delle
armate
normanne
di
Roberto
il
Guiscardo,
poco
disposto
a
vedere
la
scomoda
presenza
imperiale
ai
confini
del
suo
dominio.
Gregorio
VII,
che
ormai
non
godeva
più
dell’appoggio
del
popolo
romano,
si
ritirò
presso
Montecassino,
per
morire
poi
a
Salerno
nel
1085.
Il
Concordato
di
Worms
e il
consolidamento
dello
Stato
pontificio
La
situazione
nata
con
l’elezione
di
un
antipapa
era
veramente
esplosiva.
L’Italia
centro-settentrionale
era
lacerata,
divisa
tra
i
sostenitori
dell’una
o
dell’altra
fazione.
I
vescovi,
che
detenevano
anche
poteri
civili,
videro
sfilacciarsi
la
propria
autorità
in
favore
dei
Comuni.
La
scomparsa
dei
principali
contendenti
portò
ad
una
ricomposizione
della
frattura,
avvenuta
col
cosiddetto
Concordato
di
Worms
stipulato
tra
l’imperatore
Enrico
V e
il
papa
Callisto
II.
Secondo
tale
accordo
l’investitura
spirituale
dei
vescovi
spettava
al
papa,
mentre
l’investitura
temporale
da
parte
dell’imperatore
poteva
avvenire
solo
in
seguito.
Una
importantissima
variazione
era
prevista
per
i
paesi
germanici:
qui
l’investitura
temporale
avrebbe
preceduto
quella
spirituale
(che
doveva
comunque
avvenire
alla
presenza
dell’imperatore).
Insomma,
una
battuta
d’arresto
per
le
pretese
di
supremazia
del
papato,
ma
questo
passo
indietro
può
comunque
essere
considerato
una
vittoria
se
si
considera
il
fatto
che
ormai
la
Chiesa
non
era
più
sottoposta
al
controllo
laico
come
un
tempo.
Nel
1123
il
Concilio
ecumenico
Lateranense
ratificò
i
decreti
gregoriani
e
fornì
le
basi
per
una
maggior
strutturazione
dello
Stato
pontificio.
Fu
da
quel
momento,
infatti,
che
il
papa
cominciò
ad
assumere
comportamenti
da
sovrano,
come
l’utilizzo
della
tiara
e la
formazione
di
una
corte.
Contemporaneamente
con
la
nascita
della
Curia
si
strutturò
maggiormente
il
sistema
fiscale.
Da
sottolineare
poi
che,
mentre
da
un
lato
lo
Stato
pontificio
si
strutturava
e
consolidava,
dall’altro
aumentava
il
proprio
territorio
grazie
alla
conquista
di
Spoleto
e di
Ancona.
La
supremazia
pontificia
si
consolida
I
conflitti
con
l’impero
erano
comunque
destinati
a
rinascere.
I
piani
di
supremazia
universale
del
papato,
infatti,
si
scontravano
inevitabilmente
con
l’analogo
programma
imperiale.
Con
la
dichiarazione,
espressa
nel
1139,
secondo
la
quale
“Roma
è
alla
testa
del
mondo”
la
Chiesa
entrò
nel
mirino
di
Federico
Barbarossa.
La
disputa
si
inserì
nel
più
ampio
conflitto
della
Lega
lombarda
contro
l’imperatore,
il
quale
venne
sconfitto.
Siccome
durante
il
conflitto
il
Barbarossa,
come
i
suoi
predecessori,
fece
eleggere
un
antipapa,
il
III
Concilio
ecumenico
lateranense
del
1179
decretò
che
l’elezione
papale
dovesse
avvenire
con
una
maggioranza
dei
due
terzi
del
collegio
cardinalizio.
Questa
mossa
garantì
al
papato
una
ulteriore
solidità.
In
ogni
caso
lo
snodo
fondamentale
per
la
consolidazione
della
supremazia
pontificia
avviene
con
l’elezione
di
Innocenzo
III
nel
1198.
Il
neo-eletto
papa
elabora
una
nuova
linea
secondo
la
quale,
avendo
il
Cristo
dato
a
Pietro
le
chiavi
del
regno
dei
Cieli,
i
pontefici,
eredi
di
Pietro,
sono
i
soli
a
godere
della
pienezza
del
potere
spirituale.
Queste
enunciazioni
sono
di
grandissima
portata
poiché
di
fatto
sottomettono
le
chiese
nazionali
a
Roma
e
danno
via
libera
all’intervento
del
papa
negli
affari
temporali,
qualora
sia
in
gioco
il
rispetto
della
legge
cattolica.
Il
re e
gli
imperatori,
secondo
questa
elaborazione,
godono
del
potere
pubblico
solo
per
delega.
Il
IV
Concilio
Laterano
ratificò,
nel
1215,
le
decisioni
del
papa.
Tra
le
enunciazioni
di
Innocenzo
III
ed
il
Concilio
Laterano
si
pone
l’azione
politica
del
pontefice,
destinata
a
portare
la
supremazia
del
vertice
della
Chiesa
all’apogeo.
Possiamo
notare
principalmente
due
direttrici
dell’azione
politica
di
Innocenzo
III:
la
Germania
e
l’Inghilterra.
In
Germania
il
papa
divenne
arbitro
nella
contesa
per
il
trono
imperiale,
favorendo
Ottone
di
Brunswick
ai
danni
dell’altro
pretendente,
Filippo
di
Svevia.
Da
notare
che,
in
seguito,
il
papa
abbandonerà
Ottone
favorendo
l’ascesa
al
trono
di
Federico
II,
lo
stupor
mundi.
In
Inghilterra,
invece,
il
monarca
Giovanni
Senzaterra
venne
scomunicato
a
seguito
della
sua
volontà
di
non
riconoscere
Langton
quale
arcivescovo
di
Canterbury.
Il
perdono
costerà
caro
a
Giovanni,
il
quale
dovrà
sottomettersi
al
papa
trasformando
l’Inghilterra
in
un
vassallo
della
Chiesa.
L’Inghilterra,
ad
ogni
modo,
si
trovava
in
compagnia
di
Danimarca,
Polonia,
Portogallo,
Aragona…
Ulteriore,
sebbene
apparente,
rafforzamento
del
papato
derivò
dalla
vittoria
su
Federico
II e
dalla
presunta
riunificazione
delle
Chiese
d’Occidente
e
d’Oriente.
Dalle
prime
sconfitte
al
conflitto
con
Filippo
il
Bello:
la
fine
della
supremazia
pontificia
Come
scritto
poco
sopra
la
vittoria
su
Federico
II e
la
presunta
riunificazione
del
cristianesimo
furono
due
vittorie
apparenti.
È
necessario,
infatti,
sottolineare
le
la
riunificazione
delle
due
Chiese
avvenne
su
pressione
dell’imperatore
bizantino
desideroso
di
trovare
appoggi
politici
contro
le
mire
di
Carlo
d’Angiò
in
Oriente.
L’ostilità
del
clero
ortodosso,
unito
alla
mancanza
del
forte
sostegno
che
Michele
VIII
Paleologo
si
aspettava,
portarono
alla
rottura
dell’unità
appena
sette
anni
dopo
la
decisione
conciliare.
Inoltre
lo
scoppio
dei
Vespri
siciliani
e la
relativa
cessione
della
Sicilia
al
re
d’Aragona
interruppero
i
sogni
di
egemonia
nel
meridione
d’Italia
iniziati
con
l’incoronazione
di
Carlo
d’Angiò.
Ma
non
fu
questo
a
dare
un
colpo
mortale
alla
supremazia
pontificia.
In
Inghilterra
e in
Francia
iniziava
a
formarsi
l’idea
secondo
la
quale
solo
la
monarchia
dovrebbe
avere
il
monopolio
della
giustizia
temporale.
Questo
progetto
si
scontrava
direttamente
con
i
disegni
del
papato
e
portò
alla
forte
contestazione
dei
privilegi
di
cui
godeva
il
clero
(per
esempio
Filippo
III
l’Ardito,
re
di
Francia,
limitò
i
privilegi
del
foro
ecclesiastico).
Lo
scontro
più
aspro,
in
ogni
caso,
si
ebbe
su
questioni
finanziarie.
Durante
il
suo
regno
Filippo
il
Bello,
re
di
Francia,
decise
di
far
pagare
una
imposta
al
clero,
precedentemente
immune,
al
fine
di
sostenere
la
monarchia
nella
guerra
contro
l’Inghilterra.
Nonostante
il
richiamo
all’ordine
fatto
da
Bonifacio
VIII
il
re
di
Francia
continua
la
sua
opera,
bloccando
il
trasferimento
di
fondi
verso
Roma.
Il
culmine
del
conflitto
si
raggiunge
nel
1303,
quando
re
Filippo,
stanco
dei
continui
inviti
alla
sottomissione,
invia
Guglielmo
di
Nogaret
ad
Anagni,
dove
risiedeva
il
papa.
Con
la
complicità
dell’opposizione
locale
Bonifacio
VIII
viene
schiaffeggiato
e
imprigionato
dall’emissario
francese.
La
liberazione
del
pontefice
arriverà
dopo
due
mesi,
ma
l’episodio
dimostrò
comunque
il
reale
rapporto
di
forza
nell’Europa
del
XIV
secolo
e
sancì
la
fine
della
supremazia
pontificia.