moderna
La meteora
murattiana
Dalla campagna
d’Italia al Proclama di Rimini
di Giulia Iacovelli
Con la campagna d’Italia, condotta da
Napoleone nel 1796, si inaugura
apparentemente una nuova stagione di
subalternità della penisola a una
potenza straniera. Di questa armata
francese la figura principale per i
successivi venti anni di storia d’Italia
è Gioacchino Murat.
Ultimo degli undici figli di un oste,
Gioacchino
Murat nasce nel 1767 in Occitania. Per
consentirgli di avere migliori
prospettive di vita, i genitori lo
indirizzano verso la carriera
ecclesiastica, spingendolo a entrare in
seminario. Tuttavia, sin da subito il
giovane Gioacchino dimostra una spiccata
passione per il mondo militare, per il
quale sceglie di abbandonare il cammino
che la famiglia ha scelto per lui.
La decisione di Murat di arruolarsi
inaugura una storia personale che è
esempio della mobilità sociale divenuta
possibile nella Francia
post-rivoluzionaria. Viene notato da
Napoleone Bonaparte, all’epoca Capo di
Stato maggiore, nel corso delle azioni
militari per sedare le rivolte che
insanguinano Parigi a sei anni dalla
Rivoluzione.
Bonaparte, a seguito di quelle
operazioni, viene nominato Comandante
dell’Armata destinata a recarsi in
Italia per affrontare il Regno di
Sardegna, lo Stato pontificio e il Sacro
Romano Impero.
Decide di portare Murat con sé in
qualità di primo aiutante di campo,
consentendogli così, da un lato, di
iniziare a sentirsi parte della grande
storia che sarà l’età napoleonica e,
dall’altro, di vedere per la prima volta
la terra che tanto importante sarà nella
sua vita pubblica, osservandone con
attenzione la frammentazione politica
che contrasta nettamente con lo spirito
nazionale che caratterizza invece la
Francia.
La vittoria dell’esercito guidato dal
Comandante corso sugli avversari
dell’antico regime è schiacciante. È
solo l’inizio della vertiginosa ascesa,
militare prima e politica poi, che egli
intende condividere con gli uomini più
capaci e leali che gli sono stati vicini
in questa prima campagna.
Tre anni dopo egli vuole Murat di nuovo
al suo fianco nell’Armata d’Oriente in
Egitto. Si tratta di una campagna
difficile, nella quale il contingente
francese deve misurarsi con le asperità
di un campo di battaglia prevalentemente
desertico e persino con una epidemia di
peste. La vittoria francese è peraltro
effimera, poiché destinata a essere
ribaltata dalla successiva sconfitta
nella campagna di Siria, che implica in
definitiva un indebolimento dell’esagono
nelle dinamiche geopolitiche del
Mediterraneo.
Resta il coraggio dimostrato ancora una
volta da Napoleone e il suo carisma, che
attrae sulla sua figura un consenso tale
da portarlo il 18 brumaio (9 novembre)
1799 a diventare Console della
Repubblica francese, assieme a Emmanuel
Sieyès e Roger Ducos. Ciò avviene a
seguito di un vero e proprio colpo di
Stato nella cui riuscita Murat,
distintosi anche nel corso della
campagna d’Egitto in quanto a capacità
di comando e strategia, ha un ruolo
fondamentale. È infatti lui a forzare la
decisione dell’Assemblea dei
Cinquecento, facendovi irruzione alla
guida di un comparto di fanteria e
inducendola a dare pieni poteri al
triumvirato.
La ricompensa non tarda ad arrivare:
Gioacchino è nominato Comandante della
Guardia dei Consoli. Tuttavia, è
l’ingresso nella famiglia dell’astro
nascente Napoleone a rappresentare la
vera svolta. Bonaparte, dopo mesi di
resistenza, nel gennaio del 1800 cede
infatti alla richiesta del Comandante di
sposare la sua sorella minore Carolina:
un matrimonio d’amore, inizialmente
osteggiato da Napoleone, il quale
avrebbe desiderato per la più brillante
delle donne della sua famiglia un’unione
con un uomo di rango più elevato.
Carolina riuscirà però a restare
centrale tra i Bonaparte, pur senza
sposare un nobile, a differenza delle
sorelle Elisa e Paolina. Peraltro, dal 2
dicembre 1804, data dell’incoronazione
di Napoleone nella Cattedrale di Notre
Dame, è necessario riferirsi a loro come
alla famiglia imperiale.
I Bonaparte appartengono alla piccola
nobiltà corsa, il che li rende a
malapena Francesi e tendenzialmente
sgraditi all’aristocrazia parigina. Ciò
nonostante controllano ora il trono più
importante d’Europa e hanno l’enorme
ambizione di condurre sotto il proprio
controllo una vasta parte del
continente. Questo richiede una
imponente politica di alleanze, che
Napoleone non esita a portare avanti
utilizzando il vincolo più forte che
esista, quello di sangue.
Nel giro di pochi anni aumenta il
controllo sulle articolazioni
dell’Impero, coinvolgendo attivamente i
suoi familiari: ne sono esempi le nomine
dei fratelli Luigi, Gerolamo e Giuseppe
rispettivamente a Re d’Olanda, di
Westfalia e di Napoli (dove si inaugura
così il “decennio francese”).
In questo scenario, i Murat, Gioacchino
e Carolina, sono inizialmente isolati.
Certo, non mancano i riconoscimenti per
le mirabili azioni militari del
Comandante, nominato nel 1805 Grand
Aigle, il prestigioso titolo
onorifico oggi noto come Grand Croix
della Legion d’onore.
Tuttavia, soprattutto alla luce della
stima particolare che lega Napoleone
alla sorella minore, questa condizione
di scarsa valorizzazione politica
risulta difficile da protrarre a lungo.
I coniugi non nascondono l’ambizione di
ricevere un Regno e per giunta un Regno
importante, come quello di Spagna.
Ambizione frustrata dall’incostanza dei
rapporti tra l’Imperatore e Murat, che
spingono il primo a scegliere per il
trono di Madrid suo fratello Giuseppe.
Il Regno di Napoli, a sua volta, torna
così nella disponibilità
dell’Imperatore.
A questo punto nemmeno l’assegnazione di
tale trono a Gioacchino è pacifica: il
resto della famiglia imperiale
preferirebbe infatti una indicazione di
Carolina. Viene infine individuata una
soluzione di mediazione: nel 1808, a 41
anni, Gioacchino è nominato Re di Napoli
e di Sicilia, con il diritto di
trasmettere il potere con la regola del
maggiorascato, fatta salva però la
possibilità per Carolina di succedere al
marito.
Inizia per il Mezzogiorno della penisola
una stagione breve, ma caratterizzata da
uno sviluppo e una prosperità notevoli.
L’Italia in cui Gioacchino torna non è
molto diversa da quella che ha
conosciuto nel 1796. Alla condizione di
profonda instabilità politica e di
assenza di un sentimento nazionale, si
aggiungono le difficoltà economiche e
sociali di un Sud dominato da
aristocrazia ed enti ecclesiastici che
nulla fanno per agevolare un suo
riscatto.
Murat è animato da un forte spirito
riformista, nella consapevolezza che,
seppur un semplice ripiego rispetto al
tanto ambito trono di Spagna, quello di
Napoli è comunque un Regno, che può
essere trasformato, arricchito,
rafforzato militarmente e reso centrale
nelle dinamiche della politica europea.
Rivoluzionaria, nell’Italia dell’inizio
dell’Ottocento, è l’adozione del Codice
civile entrato in vigore in Francia nel
1804, che rappresenta uno dei principali
balzi in avanti della modernità. 2.281
articoli divisi, oltre a una sezione
preliminare, in tre parti: persone, beni
e proprietà. Per il Sud Italia
naturalmente è il fatto che sia la legge
e non la religione a normare la vita
familiare e sociale dell’individuo,
unito al superamento del regime feudale,
a rompere tabù che hanno per secoli
limitato il potenziale di sviluppo
dell’area e della sua mentalità.
Murat sceglie anche di affrontare
ulteriori questioni problematiche:
l’assenza di una identità nazionale e la
presenza di numerose diseguaglianze
territoriali, che impediscono
l’affermazione di un principio di
coesione. Sul piano delle politiche di
costruzione nazionale egli dalla
costituzione di un esercito. Supera
infatti la formazione disordinata e
occasionale incaricata della difesa del
Regno, introducendo la Guardia nazionale
e la coscrizione.
Porta avanti una serie di riforme
istituzionali: in particolare la
riorganizzazione della burocrazia sulla
base di criteri di merito e non più di
clientelismo e la riforma dell’esercizio
del potere giudiziario.
A Murat si deve il primo grande sforzo
di colmare la frattura centro/periferia
al Meridione, investendo in
infrastrutture di collegamento e in
profonde trasformazioni urbanistiche, e
la “statistica murattiana”, indagine
approfondita sullo stato economico e
sociale del Regno.
Tutto ciò sarebbe però vano senza
l’impegno della nuova famiglia reale a
promuovere una cultura napoletana
impregnata di stile Impero. L’attenzione
che la corte guidata da Gioacchino e
Carolina presta al mecenatismo nei
confronti di intellettuali e artisti si
riflette anche nel lavoro che viene
svolto per riformare il mondo
dell’università, che conosce per la
prima volta in Italia notevoli incentivi
agli studi scientifici.
Il vento del cambiamento portato dai
Bonaparte è però osteggiato da un numero
crescente di Stati e case regnanti, che
non condividono l’idea, oggettivamente
modernissima, di una Europa unificata
sotto l’insegna dell’aquila francese a
spese delle loro corone. Le fratture che
caratterizzano l’Italia diventano i
contorni di uno scacchiere prezioso per
le coalizioni antinapoleoniche, che non
esitano a sfruttare la frustrazione
delle terre italiche a loro vantaggio.
Murat comprende che il suo Regno, che
pure sta conoscendo una fase di
rinascita, è in pericolo: non basterà la
soddisfazione dei sudditi per le nuove
infrastrutture e un esercito degno di
questo nome a tutelare il suo trono in
caso di caduta del cognato.
È in questo quadro che si innesta
l’intuizione più brillante del Re di
Napoli, destinato a renderlo un punto di
riferimento per la successiva età
risorgimentale. Innanzitutto, nel
novembre del 1813 suggerisce a Napoleone
di promuovere una semplificazione del
quadro politico italiano, da limitare, a
suo avviso, a due soli Regni: il suo a
Sud e uno da assegnare a Eugène de
Beauharnais, figlio maggiore di
Josephine, prima moglie dell’Imperatore,
a Nord, con l’esclusione del Piemonte e
di Genova.
La ritrosia di Bonaparte a mettere in
pratica questa soluzione spinge Murat
tra le braccia degli Austriaci, che
promettono di tutelare il suo trono in
cambio di una rottura con il governo di
Parigi. Gioacchino gioca però ora una
sua partita: sa che, se riuscirà
nell’impresa, ritenuta fino a quel
momento impossibile, di “redimere
l’Italia” e di unificarla sotto una sola
corona, non basterà il crollo
dell’Impero napoleonico né l’assenza
dell’appoggio austriaco a far vacillare
il suo potere. Avanza verso Nord, in una
palese sfida alla Francia, ma Napoleone
lo ferma subito, nel febbraio del 1814,
tornando sui suoi passi e accettando la
proposta dei due Regni. La questione
italiana resta dunque aperta e
Gioacchino rientra a Napoli.
Tuttavia, nel giro di pochi mesi, la
storia d’Europa subisce un’accelerazione
notevole. A partire dal marzo del 1814
si susseguono l’occupazione
austro-prussiana di Parigi, il Trattato
di Fontainebleu del 14 aprile che
prevede l’abdicazione di Napoleone in
favore del figlio e il suo trasferimento
all’isola d’Elba, la restaurazione del
Regno di Luigi XVIII lo stesso mese e la
fuga di Napoleone dal confino, che lo
riporta a Parigi il 20 marzo 1815.
È proprio durante la marcia di Bonaparte
verso la capitale che riprende vigore il
progetto di Murat, il quale torna
ufficialmente dalla parte dei Francesi,
dichiarando dunque guerra all’Austria
che intanto minaccia il Nord Italia.
Gioacchino risale il Paese e coordina le
operazioni dal suo nuovo quartier
generale ad Ancona.
Insieme al suo Capo di Stato maggiore
Millet de Villeneuve, redige un
documento fondamentale per la storia
d’Italia. È il 30 marzo 1815 e vede la
luce il Proclama di Rimini, che ha
l’obiettivo di incentivare gli Italiani
a unirsi a una causa di libertà e di
costruzione di una nazione.
Il Proclama si apre con la parola
“Italiani”: destinatari del testo sono
infatti i cittadini della penisola
“dall’Alpi allo Stretto di Scilla”, in
una visione quanto mai chiara e
inclusiva di Italia, che il testo
sottolinea essere definita da confini
naturali.
Il documento sostiene che sia la
Provvidenza a chiamarli tutti a uno
sforzo per realizzare finalmente la
propria indipendenza. Approfondisce il
tema del glorioso passato dello stivale
e della effettiva possibilità di una
nuova era di grandezza che abbia inizio
proprio con la liberazione da ogni
oppressione: “Padroni una volta del
mondo, espiaste questa gloria perigliosa
con venti secoli d’oppressioni, e di
stragi. Sia oggi vostra gloria di non
avere più padroni”.
Informa gli Italiani dello stato della
situazione dell’esercito che intende
battersi per la loro liberazione: si
tratta di quarantamila uomini (diecimila
in meno degli Austriaci dislocati in
Italia) “comandati dal loro Re”, il
quale porta avanti un “magnanimo
disegno”. Chiede agli Italiani di unirsi
a queste file per far sentire una
“libera voce” che “parli in nome della
patria a ogni petto veramente Italiano”.
Si spinge anche, come da buona
tradizione francese, che accompagna a
ogni svolta storica una revisione
importante dell’impianto istituzionale,
a immaginare una Costituzione: “Stringetevi
in salda unione, e un governo di vostra
scelta, una rappresentanza veramente
nazionale, una Costituzione degna del
secolo e di voi, garantisca la vostra
libertà e prosperità interna, tosto che
il vostro coraggio avrà garantita la
vostra indipendenza”. Termina
assegnando due attributi all’Italia, che
è “felice” e “indipendente”.
È importante notare questo riferimento
alla felicità, che era tornato molte
volte nel contesto della Rivoluzione
atlantica. Tuttavia, si tratta di un
concetto che, seppur presente già negli
auspici di Machiavelli sul futuro della
penisola, non appartiene certo
all’immaginario italiano: eppure ha
senso in questo quadro, dal momento che,
se il tentativo di Murat avesse avuto
successo, l’Italia sarebbe stata per
sempre legata a quella tradizione
valoriale. L’intera stagione
bonapartista è infatti figlia della
Rivoluzione.
Non è un caso che il Re di Napoli si
firmi nel Proclama Gioacchino Napoleone,
rivendicando l’appartenenza alla
famiglia imperiale che ha sviluppato una
visione di Europa di cui secondo Murat
l’Italia unita dovrebbe assolutamente
far parte.
Questo accorato appello non sortisce
però l’effetto sperato. I volontari che
aderiscono al progetto non possono in
alcun modo incidere sulle più ampie
evoluzioni che interessano il
continente. A Waterloo il 18 giugno 1815
Napoleone è sconfitto dalla settima
coalizione delle potenze europee contro
di lui, i cui protagonisti sono Regno
Unito, Russia, Austria e Prussia. Il 23
giugno Napoleone abdica per la seconda
volta e, sotto tutela degli Inglesi,
viene condotto a Sant’Elena, proprio nel
cuore di quell’oceano che aveva
collegato le rivoluzioni di fine
Settecento, dove, sei anni dopo, avranno
fine i suoi giorni.
È ormai solo questione di tempo prima
che anche il trono di Murat, a seguito
del Congresso di Vienna, vada incontro
alla restaurazione del precedente
dominio dei Borbone. Tale passaggio a
Ferdinando IV, al quale spetta la corona
una volta venuta meno la linea di
successione napoleonica, avverrà in modo
repentino, con l’arresto di Gioacchino a
Pizzo Calabro l’8 ottobre, dove era
sbarcato con un piccolo contingente di
soldati al fine di tentare la
riconquista del Meridione.
Viene sottoposto a processo da parte di
un tribunale militare, che non ha in
realtà la competenza a giudicare un
generale né tantomeno un Re che non ha
abdicato e che quindi ha il diritto a un
giudizio da parte dei suoi pari. A nulla
vale la contestazione tentata da Murat,
che viene così fucilato il 13 ottobre
1815, dopo aver chiesto e ottenuto di
guidare lui stesso il plotone incaricato
di eseguire la sentenza.
Riferimenti bibliografici:
Bollati Giulio, L’Italiano. Il
carattere nazionale come storia e come
invenzione, Giulio Einaudi Editore,
Torino 1996.
D’Errico Sergio, L’importanza del
Proclama di Rimini di Gioacchino Murat
del 30 marzo 1815, in “Rivista di
diritto e storia costituzionale del
Risorgimento”, 2015.
De Lorenzo Renata, Murat, Salerno
Editrice, Roma 2011.
Ellul
Jacques, Histoire des Institutions,
Presses Universitaires de France, Paris
1961 (trad. it.
Storia delle istituzioni. L’età moderna
e contemporanea: dal XVI al XIX secolo,
Ugo Mursia Editore, Milano 1981).
Galasso Giuseppe, L’importanza
fondamentale di Murat offuscata dal mito
borbonico, in “Corriere del
Mezzogiorno”, 25 maggio 2015.
Graziano Manlio, The Failure of
Italian Nationhood. The Geopolitics of a
Troubled Identity, Palgrave
Macmillan, New York 2010.
Landon William J., Politics,
Patriotism, and Language. Niccolò
Machiavelli’s “Senior Patria” and the
Creation of an Italian National Identity,
Peter Lang Publishing, New York 2005.
Mieli Paolo, Murat, il re francese
che avviò il Risorgimento, in
“Corriere della sera”, 22 marzo 2011. |