N. 11 - Novembre 2008
(XLII)
tra
calcio e storia
a.s. roma & s.s.
lazio
di Simone Valtieri
Nella Città Eterna, eterna
è anche la divisione del tifo tra i suoi cittadini. Roma
o Lazio? Questo è il bivio che un giovane dell’Urbe si
trova innanzi quando si affaccia al mondo del pallone.
In molti casi la scelta della squadra del cuore ha
origini ancestrali, spesso prenatali, per superiore
volontà dei padri che decretano l’appartenenza
calcistica del figlio lasciandogli in eredità, oltre ai
propri geni, anche la propria fede.
Alzi la mano chi non ha
mai visto foto di poveri fanciulli sotterrati da
sciarpe, bandierine, cappellini e magliette di dieci
taglie più grandi. Il fenomeno del tifo in Italia è
così: hai la tua squadra e la sostieni per la vita. Si è
più fedeli alla squadra del cuore che alla propria
religione o al proprio partner (ma va?), decretava
un’indagine statistica uscita su internet. Se questa è
una fotografia dell’Italia, zoomando su Roma la
situazione non cambia, diventando anzi ancora più
radicale.
Il tifo a Roma è caratteristica distintiva quanto può
essere quella dell’appartenenza a una determinata classe
sociale o a una ideologia politica, concetti tra l’altro
spesso abbracciati trasversalmente dai tifosi ma che non
necessariamente seguono uno schema associativo rigido.
Generalizzando, si può affermare che a Roma chi si
ritiene di sinistra è più propenso alla fede romanista,
mentre chi è di destra può tifare per l’una o per
l’altra squadra. Tale affermazione ha fondamenta nella
storia delle due società: la Lazio nasce nel 1900 da
nove ragazzi di famiglia borghese e muove i primi passi
sui campi di Prati e dei Parioli; la Roma nasce dalla
volontà del regime di unificare il popolo fondendo le
principali squadre della capitale e gioca le prime
partite sui campi del Velodromo Appio e di Testaccio.
Borghese una, popolare l’altra ma nata per volontà del
regime, così oggi è facile trovare tifosi laziali di
destra e romanisti equamente divisi. Per questo motivo
la Roma, potendo attingere da un bacino sociale più
ampio, ha sempre avuto quasi il doppio dei sostenitori
della Lazio.
Fin qui però non vi è nulla di prettamente sportivo e la
storia di queste due piazze del calcio romano è invece
ricca di trionfi nazionali e internazionali che hanno
dato lustro al nome della capitale in tutta Europa.
Si parte oltre un secolo fa quando nove giovani,
sull’onda dell’entusiasmo generato dalla nascita delle
Olimpiadi pochi anni prima, decidono di dar vita a una
polisportiva dal nome di ‘Società Sportiva Lazio’. Il 9
gennaio 1900 in Piazza della Libertà, tra il rione Prati
e l’odierno quartiere della Vittoria si incontrano i
soci fondatori. Odoacre Aloisi, Arturo Balestrieri,
Giacomo e Luigi Bigiarelli, Alceste Grifoni, Giulio
Lefévre, Galileo Massa, Alberto Mesones ed Enrico
Vernier definiscono nome, colori sociali e simboli della
nuova società. Scelgono Lazio poiché il nome Roma era
già utilizzato da un’altra polisportiva, la Società
Ginnastica Roma, fondata dieci anni prima; optano per i
colori bianco e celeste ispirandosi alla bandiera della
Grecia, terra delle Olimpiadi; decidono che il simbolo
della società sia l’aquila, antico vessillo delle truppe
romane in battaglia. La S.S. Lazio nasce inizialmente
come organizzazione per podisti, la sezione calcistica
vedrà la luce ufficialmente nel 1910 - sebbene già da
prima una selezione partecipò a diversi campionati
dilettantistici - poi man mano si aggiungeranno altri
sport fino ad arrivare ai trentasei odierni che fanno
della Lazio la società sportiva più vasta d’Europa.
Tornando al calcio, la prima partita non ufficiale,
viene disputata il 16 maggio 1902 in Piazza d’Armi e
vede la Lazio battere la Virtus (squadra nata da una
scissione repentina poco dopo la fondazione) per tre
reti a zero, tutte realizzate dal primo cannoniere della
sua storia, Sante Ancherani.
Il calcio in Italia si diffonde sul finire del XIX
secolo nelle grandi città settentrionali: Torino,
Milano, Genova. Per questo motivo le società ancora oggi
più blasonate sono per la maggior parte provenienti da
città del nord. Soprattutto nei primi anni per le
compagini centro-meridionali sarà molto difficile
emergere. Fino al 1929, il campionato italiano viene
giocato a livello regionale con una fase finale
nazionale tra tutte le migliori squadre. Nei primi anni
di questa tipologia di torneo la fase finale non era
altro che una singola partita da giocare tra la migliore
formazione del nord e la migliore del resto d’Italia.
La Lazio arriverà ben tre volte a giocarsi lo scudetto:
nel 1913, l’anno successivo e poi nel 1923, perdendo
però sempre nettamente contro le più attrezzate
compagini settentrionali.
Nel 1927 il Partito Nazionale Fascista lancia un vasto
progetto volto a ridisegnare una mappa dell’identità
culturale italiana. Tale progetto prevedeva in ambito
sportivo la nascita di squadre calcistiche cittadine per
ogni grande centro urbano. Così come già accaduto a
Firenze, Napoli, Bari e in altri centri, anche a Roma si
cerca di riunificare le varie società calcistiche in
un’unica grande squadra con il nome della capitale.
Dalla fusione di Alba Audace, Fortitudo Pro Roma e Roman,
voluta principalmente dal segretario della federazione
romana del PNF, Italo Foschi, nasce l’Associazione
Sportiva Roma. La data è incerta, molte fonti indicano
il 22 luglio 1927, ma i giornali dell’8 giugno dello
stesso anno riportano la notizia della fusione, da far
risalire dunque al giorno precedente, cioè il 7.
Da questo processo
rimangono fuori altre squadre capitoline, tra cui
soprattutto la Lazio, grazie all’opposizione del
generale della Milizia fascista Giorgio Vaccaro che
convince i gerarchi a non includere la Lazio nella nuova
associazione. La neonata squadra, che ebbe per
presidente proprio nell’anno di esordio lo stesso
Foschi, gioca le sue prime partite nel rione Campo
Marzio, al motovelodromo Appio, poi si sposta nel 1929
sullo storico campo del Testaccio, che sarà la sua casa
fino alla fine degli anni Trenta. A questo punto la
capitale ha le sue due grandi squadre, Lazio e Roma.
All’aquila biancoceleste della Lazio si contrappongono
la Lupa, che compare nell’emblema della città mentre
allatta i due “figli” Romolo e Remo, e i colori
giallo-rossi, presi dal gonfalone del Campidoglio. Che
il derby abbia inizio! La prima partita ufficiale tra le
due compagini risale all’esordio del campionato italiano
in girone unico.
In data 8 dicembre 1929, sul campo della Rondinella, la
Roma si impone in trasferta con un gol di Rodolfo Volk,
a fine stagione vice-capocannoniere del torneo con 21
reti. Nel match di ritorno è ancora la Roma ad
aggiudicarsi la partita, stavolta con un netto 3-1. Per
vincere il suo primo derby la Lazio dovrà aspettare tre
anni, quando il 23 ottobre 1932 esulterà grazie alle
reti di De Maria e di Castelli che fisseranno il
risultato finale sul 2-1. Negli anni Trenta i primi
passi delle due società romane nel mondo del calcio sono
paralleli e non varcano i confini nazionali. La Roma
vince nella sua stagione d’esordio la Coppa CONI,
antenata della Coppa Italia, battendo per 2-1 il Modena
nella terza ripetizione della finale, dopo due pareggi
negli incontri precedenti.
La Lazio disputerà anonimi campionati da mezza
classifica fino all’exploit della stagione 1936-37, in
cui concluderà seconda in campionato dietro al Bologna e
arriverà in finale nella Coppa dell’Europa centrale,
sconfitta dalla formazione ungherese del Ferencvaros.
Gli eroi biancocelesti di quella stagione sono Silvio
Piola, capocannoniere e leggenda del calcio italiano,
che segnerà nella formazione laziale più della metà del
suo irraggiungibile record di 274 marcature in
campionato, e Attilio Ferraris IV.
Ferraris, campione del mondo con la nazionale del 1934,
rappresenta il primo caso di ‘tradimento’ calcistico
nella capitale. Il giocatore era infatti capitano della
formazione giallorossa, ma nell’estate del ‘34 venne
messo sul mercato dal presidente Renato Sacerdoti, che
mirava a un ringiovanimento della rosa. Ad acquistare il
giocatore fu la Lazio, della quale Attilio diventò
subito capitano. Sulla sponda romanista del Tevere il
primo eroe è il fiumano Rodolfo ‘Sciabbolone’ Volk, che
segnerà oltre cento reti con la casacca giallorossa e
risulterà capocannoniere nel 1931. Dopo di lui è il
turno dei tre moschettieri argentini: Guaita, primo
nella classifica dei marcatori del campionato nel
1934-35, Scopelli e Stagnaro, che però rimarranno a Roma
solamente due stagioni e, dopo essere stati
naturalizzati per poter giocare in Nazionale, fuggirono
di notte nel 1935 per paura della chiamata alle armi
nella guerra che il governo intendeva muovere contro
l’Etiopia.
Il primo scudetto arriva nella capitale sulla sponda
giallorossa. è il 1942, si gioca nello Stadio Nazionale
del PNF, dove attualmente sorge il Flaminio. La Roma
batte all’ultima giornata il Modena per 2-0 vincendo a
sorpresa il campionato davanti a Torino, Venezia, Genova
e Lazio. L’eroe della stagione è un giovane centravanti,
Amadeo Amadei, detto ‘Fornaretto’ per via del suo
mestiere di panettiere, che con trenta gol in coppia con
l’argentino Pantò porterà i giallorossi al tricolore.
Durante il conflitto bellico si disputarono comunque a
Roma due stagioni di un torneo, definito ‘Campionato
romano di guerra’, che le due squadre si spartirono
equamente. Nell’immediato dopoguerra è il Grande Torino
a dettar legge e per le formazioni romane non rimangono
che le briciole. Fino all’inizio degli anni Sessanta
sarà un periodo altalenante che vedrà le due squadre
disputare buoni campionati in alternanza con stagioni
disastrose. Risale al 1950-51 la prima ed unica
retrocessione della Roma in serie B, prontamente
riscattata dalla riconquista della serie superiore
l’anno successivo. Saranno per i giallorossi gli anni
dell’uruguagio Alcides Edgardo Ghiggia e del brasiliano
Dino Da Costa, capocannoniere della stagione 56-57. La
Lazio vedrà invece in quel periodo la conquista del
primo trofeo del suo palmares. Nel 1957-58 vince la
Coppa Italia sotto la guida dell’allenatore ‘Fuffo’
Barnardini e grazie ai gol di Selmosson e Muccinelli.
Nella precedente stagione era arrivata a un ottimo terzo
posto, gettando lo scudetto alle ortiche nelle prime
giornate del girone d’andata e rimontando nel finale. In
quell’anno infatti, la Lazio vinse con il medesimo
risultato di tre reti a zero contro Milan e Fiorentina,
le due squadre classificatesi innanzi al termine della
stagione.
Gli anni Sessanta sono l’inizio di un calvario che
durerà quasi trenta anni per i biancocelesti. La Lazio
vivrà stagioni difficili e altalenanti, ritrovandosi a
dover più volte risalire dalla serie B, ma arrivando
anche a picchi di prestigio assoluto. Andiamo per
ordine. Nel 1960-61 inizia una strana e cabalistica
associazione di risultati tra le due formazioni
capitoline. Ogni qual volta che la Lazio ha a che fare
con un cambio di categoria, sia essa una retrocessione
in B o una promozione in serie A, la Roma si ritrova con
un trofeo in più in bacheca, come dire che i poveri
tifosi laziali hanno dovuto subire per trent’anni gli
sfottò dei cugini. Comincia tutto in quell’anno, quando
nonostante la finale raggiunta in Coppa Italia, i
biancocelesti finiscono diciottesimi in campionato e
retrocedono. Intanto i giallorossi ottengono la prima ed
unica affermazione internazionale della loro storia,
vincendo la Coppa delle Fiere, antesignana della moderna
Coppa UEFA.
Contro il Birmingham City
finisce 2-2 nella prima partita e 2-0 al ritorno grazie
all’autogol di Farmers e al gol di Pestrin. Cornice
dell’evento lo Stadio Olimpico, dove l’anno precedente
si erano disputati i giochi della XVII Olimpiade.
Nel 1963-64 i figli della lupa conquistano la prima
Coppa Italia delle loro nove totali (è un record),
superando in finale il Torino. In quegli anni sono molti
i campioni che indossano la casacca giallorossa e
probabilmente il fatto che in campionato per tutto il
decennio non siano mai andati oltre il quinto posto, è
dipeso dallo stile di vita dissoluto che questi
seguivano. Stelle come Manfredini, capocannoniere del
campionato 1962-63, la mezzala Lojacono, il goleador
oriundo Angelillo e l’uruguagio Schiaffino lasciarono
comunque il segno nella storia del campionato e della
società. Alcuni di questi giocatori dovettero partire da
Roma nel 1964, anno in cui la società si trovò a
fronteggiare una crisi finanziaria tanto grave da
richiedere un riassetto della struttura. Il presidente
Evangelisti, non potendo pagare gli stipendi, fu
costretto a cedere molti campioni e a trasformare la
A.S. Roma in una società per azioni.
Nel 1969 la Lazio torna in serie A, prima di retrocedere
per un’altra breve sortita nel campionato cadetto, e la
Roma si aggiudica la seconda Coppa Italia, stavolta
vincendo un girone all’italiana davanti a Cagliari,
Foggia e Torino. I romanisti guadagnano così l’accesso
alla Coppa delle Coppe della stagione seguente, nella
quale arriveranno alle semifinali, eliminati da una
squadra polacca, il Gornik Zabrze, e dalla monetina
dell’arbitro che decise il passaggio alla finale dopo
due incontri terminati in parità. Da qui cominciano gli
anni della cosiddetta “Rometta”, una squadra che per
dieci stagioni frequenta i posti di metà classifica con
il picco del terzo posto nella stagione 1974-75.
Tramonta la Roma e risorge la Lazio. Dopo un burrascoso
periodo a cavallo tra il paradiso della serie A e il
purgatorio della B, il presidente Umberto Lenzini si
affida per risalire la china a un allenatore emergente
proveniente dal Foggia, Tommaso Maestrelli.
Nella primavera del ‘72 il campionato cadetto riporta in
A i biancocelesti, che si apprestano a un’ottima
campagna acquisti estiva: arrivano Mario Frustalupi,
Renzo Garlaschelli, Luciano Re Cecconi, Felice Pulici,
Luigi Martini. I cinque vanno ad amalgamarsi con il
resto della squadra formando un gruppo eterogeneo ma di
qualità, guidato dal centravanti Giorgio Chinaglia.
Al primo anno dopo il ritorno in serie A la Lazio
contende clamorosamente lo scudetto fino all’ultima
giornata alla Juventus e al Milan. Sarà terza, dopo aver
accarezzato a lungo il sogno tricolore, per via dei
risultati che si andavano profilando durante l’ultima
giornata. La curva nord laziale non dovrà però aspettare
molto per vedere lo scudetto cucito sullo sfondo celeste
delle maglie dei loro beniamini: la stagione seguente è
quella storica del trionfo. L’unico innesto alla rosa
dell’anno precedente è l’ala Vincenzo D’Amico,
proveniente dalle giovanili. Tanto basta. I gol del
capocannoniere Chinaglia spingono una squadra che ormai
gioca a memoria a concludere il campionato due punti
davanti alla Juventus. è il primo scudetto per i
biancocelesti e rappresenterà una parentesi felice nel
trentennio altalenante di cui la squadra sarà
protagonista fino all’inizio degli anni Novanta.
Pochi anni più tardi
comincia la ricaduta. La stagione 1976-77 è drammatica,
non tanto sul piano sportivo, in cui con una giovane
formazione la Lazio ottiene un onesto quinto posto, ma
su quello extra-calcistico. Scompaiono l’allenatore
dello scudetto, Tommaso Meastrelli e soprattutto Luciano
Re Cecconi, ucciso da un colpo di pistola mentre, per
fare uno scherzo a due suoi amici, simulava una rapina
in gioielleria. Appena tre anni più tardi la società
vive un’altra sanguinosa stagione. Durante il derby
viene ucciso da un razzo lanciato dalla curva romanista
un tifoso laziale, Vincenzo Paparelli, mentre sul piano
sportivo arriva un’altra retrocessione stavolta dovuta
al coinvolgimento di alcuni giocatori nello scandalo
calcioscommesse. Per delibera della CAF, la Commissione
d’Appello Federale, la Lazio e il Milan vengono
retrocesse d’ufficio in serie B. Tramonta la Lazio,
sorge nuovamente la Roma. Gli anni Ottanta sono tra i
più lucenti della storia giallorossa. Il decennio
precedente si era chiuso con la scampata retrocessione
nel campionato 1978-79.
Dalla stagione successiva con il nuovo presidente Dino
Viola la musica cambia. Si parte subito forte con la
conquista della terza Coppa Italia nel 1979-80, bissata
l’anno successivo. Roberto Pruzzo, tre volte
capocannoniere in questi anni, trascina una formazione
ricca di talento, allenata dallo svedese Nils Liedholm.
Già nell’81 i lupi sfiorano l’impresa. Diventerà celebre
il gol annullato al difensore romanista Turone nello
scontro diretto contro la Juventus, che tutte le moviole
decretarono regolare.
In ogni caso non ci fu il tempo di rimanere troppo col
muso lungo, in quanto l’anno successivo, in coincidenza
con il ritorno in A della Lazio, la Roma vince il suo
secondo scudetto. L’affermazione fu celebrata il 15
maggio 1983 al Circo Massimo, dove il celebre cantautore
romano Antonello Venditti canta per la prima volta la
canzone ‘Grazie Roma’, che diventerà l’inno ufficiale
della squadra giallorossa e che è ancora oggi intonato
alla fine di ogni partita casalinga della squadra. Tra
gli artefici del successo il già citato bomber Pruzzo,
il sempre presente Vierchowod, l’astro brasiliano Falcao,
il capitano Di Bartolomei, il portiere Tancredi oltre ai
centrocampisti Prohaska, Conti, fresco campione del
mondo con l’Italia, e Ancelotti. L’anno successivo la
Roma puntò tutto sulla Coppa dei Campioni, la cui finale
si sarebbe disputata tra le mura amiche dello Stadio
Olimpico.
In semifinale i
giallorossi sono capaci di ribaltare nello stadio di
casa il 2-0 dell’andata in favore del Dundee United. Per
gli ospiti fu una vera e propria ‘doccia scozzese’. In
finale, il 30 maggio 1984 l’avversario è il
temibilissimo Liverpool. I tempi regolamentari e i
supplementari si concludono in pareggio con gol di Neal
per gli inglesi e del solito Pruzzo per i capitolini. I
calci di rigore passeranno alla storia per il
comportamento burlesco e antisportivo, ma non vietato
dal regolamento, del portiere Grobbelaar che per
innervosire gli avversari si mise a danzare goffamente
sulla linea di porta. Il risultato ottenuto fu
clamoroso, il penalty decisivo di Graziani scheggiò la
traversa e la Roma si vide sfuggire dalle mani il
trofeo. In quella stagione la squadra concluderà seconda
in campionato e aggiungerà al suo carniere la quinta
Coppa Italia.
La finale di Coppa dei Campioni ha importanti
ripercussioni sull’organico: il presidente Viola decide
di vendere il capitano Di Bartolomei e affida la
panchina a un giovane allenatore svedese, Sven Goran
Eriksson. Abbandona la squadra a fine stagione anche
Falcao, in polemica col presidente, e viene rimpiazzato
dall’ala polacca Boniek. La prima annata di Eriksson
sulla panchina giallorossa non fu all’altezza delle
aspettative, quella successiva invece fu positiva dal
punto di vista del risultato ottenuto, il secondo posto
in campionato, ma amarissima per come questo era
maturato. Alla penultima giornata, dopo aver rimontato
ben nove punti sulla Juventus battuta all’Olimpico per
tre reti a zero, la Roma perde clamorosamente in casa
con il volenteroso Lecce dicendo addio al suo terzo
titolo. Si consolerà con la sesta Coppa Italia, in
coincidenza, neanche a dirlo, con la retrocessione dei
cugini biancocelesti in serie B.
La Lazio rimane altri tre
anni in serie B, dopo i tre seguiti alla retrocessione
della stagione 1979-80. Al termine del 1984 si ritrova
coinvolta nel cosiddetto ‘secondo scandalo
calcioscommesse’ e parte per la stagione successiva con
nove punti di penalità nella serie cadetta, rischiando
così di finire addirittura in serie C. La promozione
arriva nel 1987-88. La Lazio passa nelle mani di
Gianmarco Calleri, che dopo aver risolto le beghe
finanziarie della società, la vende al finanziere Sergio
Cragnotti. Cambia la musica, si gettano all’inizio degli
anni Novanta le basi per quella che diventerà, sul
finire del decennio, la Lazio più forte di sempre. Dopo
quattro stagioni anonime a cavallo tra il nono e
l’undicesimo posto, i biancocelesti entrano in pianta
stabile tra le più forti squadre italiane.
Nel 1992-93 la Lazio conclude quinta in serie A grazie
anche ai gol del capocannoniere del campionato, Beppe
Signori, proveniente dal Foggia. Signori, idolo della
curva per tutto il decennio, vincerà altre due volte la
classifica marcatori, nel ‘95 e nel ‘96, e segnerà con
la casacca della sua squadra oltre 150 reti in
campionato. La società annovera tra le sue file, oltre
al suo cannoniere, alcuni validi giocatori come i
campioni del mondo tedeschi Doll e Riedle, il genio
inglese Gascoigne e l’ottimo portiere Marchegiani, ma
non ha ancora una rosa competitiva ai massimi livelli.
In panchina siede il tecnico boemo Zdenek Zeman che
porterà la Lazio al picco massimo di un secondo posto
nel 1994-95. Nelle stagioni seguenti le altisonanti e
dispendiose campagne acquisti condotte dal presidente
Cragnotti, portano, stagione dopo stagione, a un
miglioramento progressivo della squadra. Arrivano il
tecnico ex romanista Eriksson e giocatori del calibro di
Stankovic, Mancini, Nedved, Salas, Vieri, Mihajlovic e
Veron. Sono questi i nomi della Lazio dei record,
capitanata dal giovane difensore Alessandro Nesta che fa
il suo debutto nella massima serie nel 1994, dopo aver
seguito tutta la gavetta nel settore giovanile
biancoceleste, dai pulcini alla primavera.
Il primo trofeo arriva nell’anno del debutto di Eriksson
sulla panchina biancoceleste ed è la Coppa Italia della
stagione 1997-98. Il Milan, che aveva vinto la partita
di andata per uno a zero, conduceva con lo stesso
risultato anche all’Olimpico ma nel giro di dieci minuti
la Lazio realizza tre gol e si aggiudica clamorosamente
il trofeo. Nello stesso anno la squadra manca la sua
prima affermazione internazionale, perdendo 3-0 la
finale di Coppa Uefa contro l’altra compagine milanese,
l’Inter. L’anno seguente però arriva il riscatto, con
l’affermazione nell’ultima edizione storica della Coppa
delle Coppe, in finale contro il Maiorca, e con la
Supercoppa Italiana vinta ad inizio stagione sulla
Juventus. Un’altra Supercoppa, stavolta Europea, arriva
nel carniere della società a inizio stagione 1999-2000,
grazie alla vittoria contro il favorito Manchester
United.
Sarà quello l’anno storico del secondo scudetto, vinto
in maniera rocambolesca all’ultima giornata grazie ad
un’incredibile sconfitta della Juventus sul campo,
praticamente alluvionato, del Perugia. è il tripudio,
completato anche dall’arrivo della Coppa Italia. Come in
tutte le storie sportive però, una volta arrivati
all’apice, il difficile è rimanere ai massimi livelli, e
la Lazio inizia l’inevitabile parabola discendente, che
sarà in ogni caso costellata di altri due trofei, la
Supercoppa Italiana del 2002 e la Coppa Italia del
2003-04.
La Roma, negli anni della migliore Lazio, è una buona
squadra da classifica medio-alta che però non raggiunge
grandi affermazioni. Guidata dal ‘principe’ Giuseppe
Giannini e dal tedesco Voeller, a inizio decennio vince
la sua settima Coppa Italia sconfiggendo nella doppia
partita di andata e ritorno i freschi campioni d’Italia
della Sampdoria. La scomparsa dell’amato presidente Dino
Viola lascia però un vuoto incolmabile nella società
giallorossa, che passa transitoriamente in mano a
Ciarrapico. Una gestione non entusiasmante, che termina
nel 1993 con l’arresto del presidente per bancarotta.
Gli subentrerà l’imprenditore Franco Sensi. In tutto il
decennio non arrivano trofei e affermazioni
significative e le più gratificanti vittorie per i
tifosi sono quelle ottenute nei derby cittadini. Si
gettano però in questi anni le basi per quella che
tornerà ad essere, con l’avvento del nuovo millennio,
una delle più forti squadre della penisola.
Il mattone più importante in questo processo di
costruzione è rappresentato da colui che nel 1993, al
debutto in serie A, non è altro che un giovane
sedicenne, ma che diventerà presto il più amato e forse
il più forte giocatore dell’intera storia della società:
Francesco Totti.
La prima Roma del ‘Pupone’ è una buona squadra ma che
non ha i mezzi per lottare per lo scudetto. Il quarto o
il quinto posto sono la regola, eccezion fatta per la
disastrosa stagione 1996-97. Dal punto più basso però si
può solo risalire, così mentre la Lazio arriva al
massimo del suo splendore la Roma comincia la rimonta.
L’allenatore giusto è Fabio Capello, vincitore di
quattro scudetti sulla panchina del Milan, che prende la
guida della società nel 1999 e pretende nuovi acquisti.
Arrivano prima Montella e Zanetti, e, l’anno successivo,
il capocannoniere del campionato 1999-2000, l’argentino
Batistuta, il suo connazionale Samuel, il francese
Zebina e il brasiliano Emerson. Ci sono gli uomini e c’è
l’allenatore giusto, il titolo diventa una conseguenza.
La Roma parte forte e contiene nel finale il rientro
della Juventus, due punti di vantaggio bastano per
cucirsi sulla maglia il terzo scudetto e per dare il via
a una grande festa, partita con la riedizione
dell’evento di diciotto anni prima al Circo Massimo e
durata nella capitale per un anno intero.
Siamo agli anni Duemila. In questa eterna altalena che
porta una volta l’una e una volta l’altra compagine
capitolina a regnare sul trono di migliore squadra della
città eterna, è ancora il turno della Roma, che negli
ultimi tre campionati disputati, battagliando
ripetutamente con l’Inter, ottiene ben tre secondi
posti, due affermazioni in Coppa Italia e una nella
Supercoppa Italiana.
Sono questi gli ultimi trofei che il presidente Franco
Sensi vede conquistare dalla sua amata squadra.
Scomparso nell’agosto del 2008, dopo una lunga malattia,
è omaggiato da migliaia di tifosi e cittadini nella
camera ardente fatta allestire in Campidoglio. Gli
succede la figlia Rosella, già designata dal padre
amministratrice delegata della società dopo l’aggravarsi
del suo stato di salute.
La Lazio annaspa a metà classifica, diretta da un
presidente, Claudio Lotito, che ha il grande merito di
aver salvato la società dal fallimento in anni in cui il
calcio italiano è vessato da mali di ogni tipo: bilanci
truccati, scandali scommesse, episodi di violenza da
parte della tifoseria. Lo stesso presidente risulta però
osteggiato da molti tifosi, in quanto colpevole secondo
la curva di aver ridimensionato le aspettative della
squadra, non investendo abbastanza nelle campagne
acquisti.
Il calcio è uno sport che cerca oggi di ritrovare la
dignità perduta nelle ultime stagioni. Tra gli episodi
più brutti avvenuti in questi anni ben due hanno come
teatro lo Stadio Olimpico.
Nel 2004 la partita di ritorno del derby venne sospesa a
causa dei tifosi di entrambe le squadre che minacciavano
disordini adducendo come motivazione la notizia della
morte di un ragazzino ad opera di un poliziotto; notizia
infondata e subito smentita ma che rappresentò il
pretesto per gli scontri tra frange estreme del tifo
organizzato e le forze dell’ordine. Nel novembre 2007
invece la morte di Gabriele Sandri, un giovane tifoso
laziale ucciso in un autogrill sull’Autostrada del Sole
da un colpo di pistola sparato inopinatamente
dall’agente Luigi Spaccarotelle ‘a scopo intimidatorio’
per sedare una rissa, fece sì che fino a notte la zona
dello Stadio Olimpico fosse in mano agli pseudo-tifosi
romani di entrambe le curve, autori di una spaventosa
guerriglia urbana.
La via per uscire da questo buio tunnel in cui sembra
entrato il più amato sport dagli italiani è ancora
lontana ed travalica il mondo dello sport. In ogni caso
sarebbe già un traguardo importante riuscire ad
allontanare con fermezza quelli che le varie società
definiscono ‘pochi tifosi violenti’ ma che in fin dei
conti non sono né pochi, né tifosi, ma solo violenti.
Questo primo passo potrebbe rendere possibile che un
giorno si possano far tornare tutti gli stadi d’Italia,
l’Olimpico in primis, dei luoghi senza tornelli, senza
barriere in plexiglass, senza poliziotti ma con migliaia
di ragazzini pronti a gridare ‘Forza Aquile’ o ‘Daje
Roma’. |