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storia & sport


N. 11 - Novembre 2008 (XLII)

tra calcio e storia
a.s. roma & s.s. lazio

di Simone Valtieri

 

Nella Città Eterna, eterna è anche la divisione del tifo tra i suoi cittadini. Roma o Lazio? Questo è il bivio che un giovane dell’Urbe si trova innanzi quando si affaccia al mondo del pallone. In molti casi la scelta della squadra del cuore ha origini ancestrali, spesso prenatali, per superiore volontà dei padri che decretano l’appartenenza calcistica del figlio lasciandogli in eredità, oltre ai propri geni, anche la propria fede.

 

Alzi la mano chi non ha mai visto foto di poveri fanciulli sotterrati da sciarpe, bandierine, cappellini e magliette di dieci taglie più grandi. Il fenomeno del tifo in Italia è così: hai la tua squadra e la sostieni per la vita. Si è più fedeli alla squadra del cuore che alla propria religione o al proprio partner (ma va?), decretava un’indagine statistica uscita su internet. Se questa è una fotografia dell’Italia, zoomando su Roma la situazione non cambia, diventando anzi ancora più radicale.


Il tifo a Roma è caratteristica distintiva quanto può essere quella dell’appartenenza a una determinata classe sociale o a una ideologia politica, concetti tra l’altro spesso abbracciati trasversalmente dai tifosi ma che non necessariamente seguono uno schema associativo rigido.
Generalizzando, si può affermare che a Roma chi si ritiene di sinistra è più propenso alla fede romanista, mentre chi è di destra può tifare per l’una o per l’altra squadra. Tale affermazione ha fondamenta nella storia delle due società: la Lazio nasce nel 1900 da nove ragazzi di famiglia borghese e muove i primi passi sui campi di Prati e dei Parioli; la Roma nasce dalla volontà del regime di unificare il popolo fondendo le principali squadre della capitale e gioca le prime partite sui campi del Velodromo Appio e di Testaccio. Borghese una, popolare l’altra ma nata per volontà del regime, così oggi è facile trovare tifosi laziali di destra e romanisti equamente divisi. Per questo motivo la Roma, potendo attingere da un bacino sociale più ampio, ha sempre avuto quasi il doppio dei sostenitori della Lazio.


Fin qui però non vi è nulla di prettamente sportivo e la storia di queste due piazze del calcio romano è invece ricca di trionfi nazionali e internazionali che hanno dato lustro al nome della capitale in tutta Europa.


Si parte oltre un secolo fa quando nove giovani, sull’onda dell’entusiasmo generato dalla nascita delle Olimpiadi pochi anni prima, decidono di dar vita a una polisportiva dal nome di ‘Società Sportiva Lazio’. Il 9 gennaio 1900 in Piazza della Libertà, tra il rione Prati e l’odierno quartiere della Vittoria si incontrano i soci fondatori. Odoacre Aloisi, Arturo Balestrieri, Giacomo e Luigi Bigiarelli, Alceste Grifoni, Giulio Lefévre, Galileo Massa, Alberto Mesones ed Enrico Vernier definiscono nome, colori sociali e simboli della nuova società. Scelgono Lazio poiché il nome Roma era già utilizzato da un’altra polisportiva, la Società Ginnastica Roma, fondata dieci anni prima; optano per i colori bianco e celeste ispirandosi alla bandiera della Grecia, terra delle Olimpiadi; decidono che il simbolo della società sia l’aquila, antico vessillo delle truppe romane in battaglia. La S.S. Lazio nasce inizialmente come organizzazione per podisti, la sezione calcistica vedrà la luce ufficialmente nel 1910 - sebbene già da prima una selezione partecipò a diversi campionati dilettantistici - poi man mano si aggiungeranno altri sport fino ad arrivare ai trentasei odierni che fanno della Lazio la società sportiva più vasta d’Europa. Tornando al calcio, la prima partita non ufficiale, viene disputata il 16 maggio 1902 in Piazza d’Armi e vede la Lazio battere la Virtus (squadra nata da una scissione repentina poco dopo la fondazione) per tre reti a zero, tutte realizzate dal primo cannoniere della sua storia, Sante Ancherani.


Il calcio in Italia si diffonde sul finire del XIX secolo nelle grandi città settentrionali: Torino, Milano, Genova. Per questo motivo le società ancora oggi più blasonate sono per la maggior parte provenienti da città del nord. Soprattutto nei primi anni per le compagini centro-meridionali sarà molto difficile emergere. Fino al 1929, il campionato italiano viene giocato a livello regionale con una fase finale nazionale tra tutte le migliori squadre. Nei primi anni di questa tipologia di torneo la fase finale non era altro che una singola partita da giocare tra la migliore formazione del nord e la migliore del resto d’Italia.


La Lazio arriverà ben tre volte a giocarsi lo scudetto: nel 1913, l’anno successivo e poi nel 1923, perdendo però sempre nettamente contro le più attrezzate compagini settentrionali.
Nel 1927 il Partito Nazionale Fascista lancia un vasto progetto volto a ridisegnare una mappa dell’identità culturale italiana. Tale progetto prevedeva in ambito sportivo la nascita di squadre calcistiche cittadine per ogni grande centro urbano. Così come già accaduto a Firenze, Napoli, Bari e in altri centri, anche a Roma si cerca di riunificare le varie società calcistiche in un’unica grande squadra con il nome della capitale. Dalla fusione di Alba Audace, Fortitudo Pro Roma e Roman, voluta principalmente dal segretario della federazione romana del PNF, Italo Foschi, nasce l’Associazione Sportiva Roma. La data è incerta, molte fonti indicano il 22 luglio 1927, ma i giornali dell’8 giugno dello stesso anno riportano la notizia della fusione, da far risalire dunque al giorno precedente, cioè il 7.

 

Da questo processo rimangono fuori altre squadre capitoline, tra cui soprattutto la Lazio, grazie all’opposizione del generale della Milizia fascista Giorgio Vaccaro che convince i gerarchi a non includere la Lazio nella nuova associazione. La neonata squadra, che ebbe per presidente proprio nell’anno di esordio lo stesso Foschi, gioca le sue prime partite nel rione Campo Marzio, al motovelodromo Appio, poi si sposta nel 1929 sullo storico campo del Testaccio, che sarà la sua casa fino alla fine degli anni Trenta. A questo punto la capitale ha le sue due grandi squadre, Lazio e Roma. All’aquila biancoceleste della Lazio si contrappongono la Lupa, che compare nell’emblema della città mentre allatta i due “figli” Romolo e Remo, e i colori giallo-rossi, presi dal gonfalone del Campidoglio. Che il derby abbia inizio! La prima partita ufficiale tra le due compagini risale all’esordio del campionato italiano in girone unico.


In data 8 dicembre 1929, sul campo della Rondinella, la Roma si impone in trasferta con un gol di Rodolfo Volk, a fine stagione vice-capocannoniere del torneo con 21 reti. Nel match di ritorno è ancora la Roma ad aggiudicarsi la partita, stavolta con un netto 3-1. Per vincere il suo primo derby la Lazio dovrà aspettare tre anni, quando il 23 ottobre 1932 esulterà grazie alle reti di De Maria e di Castelli che fisseranno il risultato finale sul 2-1. Negli anni Trenta i primi passi delle due società romane nel mondo del calcio sono paralleli e non varcano i confini nazionali. La Roma vince nella sua stagione d’esordio la Coppa CONI, antenata della Coppa Italia, battendo per 2-1 il Modena nella terza ripetizione della finale, dopo due pareggi negli incontri precedenti.


La Lazio disputerà anonimi campionati da mezza classifica fino all’exploit della stagione 1936-37, in cui concluderà seconda in campionato dietro al Bologna e arriverà in finale nella Coppa dell’Europa centrale, sconfitta dalla formazione ungherese del Ferencvaros. Gli eroi biancocelesti di quella stagione sono Silvio Piola, capocannoniere e leggenda del calcio italiano, che segnerà nella formazione laziale più della metà del suo irraggiungibile record di 274 marcature in campionato, e Attilio Ferraris IV.


Ferraris, campione del mondo con la nazionale del 1934, rappresenta il primo caso di ‘tradimento’ calcistico nella capitale. Il giocatore era infatti capitano della formazione giallorossa, ma nell’estate del ‘34 venne messo sul mercato dal presidente Renato Sacerdoti, che mirava a un ringiovanimento della rosa. Ad acquistare il giocatore fu la Lazio, della quale Attilio diventò subito capitano. Sulla sponda romanista del Tevere il primo eroe è il fiumano Rodolfo ‘Sciabbolone’ Volk, che segnerà oltre cento reti con la casacca giallorossa e risulterà capocannoniere nel 1931. Dopo di lui è il turno dei tre moschettieri argentini: Guaita, primo nella classifica dei marcatori del campionato nel 1934-35, Scopelli e Stagnaro, che però rimarranno a Roma solamente due stagioni e, dopo essere stati naturalizzati per poter giocare in Nazionale, fuggirono di notte nel 1935 per paura della chiamata alle armi nella guerra che il governo intendeva muovere contro l’Etiopia.


Il primo scudetto arriva nella capitale sulla sponda giallorossa. è il 1942, si gioca nello Stadio Nazionale del PNF, dove attualmente sorge il Flaminio. La Roma batte all’ultima giornata il Modena per 2-0 vincendo a sorpresa il campionato davanti a Torino, Venezia, Genova e Lazio. L’eroe della stagione è un giovane centravanti, Amadeo Amadei, detto ‘Fornaretto’ per via del suo mestiere di panettiere, che con trenta gol in coppia con l’argentino Pantò porterà i giallorossi al tricolore.


Durante il conflitto bellico si disputarono comunque a Roma due stagioni di un torneo, definito ‘Campionato romano di guerra’, che le due squadre si spartirono equamente. Nell’immediato dopoguerra è il Grande Torino a dettar legge e per le formazioni romane non rimangono che le briciole. Fino all’inizio degli anni Sessanta sarà un periodo altalenante che vedrà le due squadre disputare buoni campionati in alternanza con stagioni disastrose. Risale al 1950-51 la prima ed unica retrocessione della Roma in serie B, prontamente riscattata dalla riconquista della serie superiore l’anno successivo. Saranno per i giallorossi gli anni dell’uruguagio Alcides Edgardo Ghiggia e del brasiliano Dino Da Costa, capocannoniere della stagione 56-57. La Lazio vedrà invece in quel periodo la conquista del primo trofeo del suo palmares. Nel 1957-58 vince la Coppa Italia sotto la guida dell’allenatore ‘Fuffo’ Barnardini e grazie ai gol di Selmosson e Muccinelli. Nella precedente stagione era arrivata a un ottimo terzo posto, gettando lo scudetto alle ortiche nelle prime giornate del girone d’andata e rimontando nel finale. In quell’anno infatti, la Lazio vinse con il medesimo risultato di tre reti a zero contro Milan e Fiorentina, le due squadre classificatesi innanzi al termine della stagione.


Gli anni Sessanta sono l’inizio di un calvario che durerà quasi trenta anni per i biancocelesti. La Lazio vivrà stagioni difficili e altalenanti, ritrovandosi a dover più volte risalire dalla serie B, ma arrivando anche a picchi di prestigio assoluto. Andiamo per ordine. Nel 1960-61 inizia una strana e cabalistica associazione di risultati tra le due formazioni capitoline. Ogni qual volta che la Lazio ha a che fare con un cambio di categoria, sia essa una retrocessione in B o una promozione in serie A, la Roma si ritrova con un trofeo in più in bacheca, come dire che i poveri tifosi laziali hanno dovuto subire per trent’anni gli sfottò dei cugini. Comincia tutto in quell’anno, quando nonostante la finale raggiunta in Coppa Italia, i biancocelesti finiscono diciottesimi in campionato e retrocedono. Intanto i giallorossi ottengono la prima ed unica affermazione internazionale della loro storia, vincendo la Coppa delle Fiere, antesignana della moderna Coppa UEFA.

 

Contro il Birmingham City finisce 2-2 nella prima partita e 2-0 al ritorno grazie all’autogol di Farmers e al gol di Pestrin. Cornice dell’evento lo Stadio Olimpico, dove l’anno precedente si erano disputati i giochi della XVII Olimpiade.
Nel 1963-64 i figli della lupa conquistano la prima Coppa Italia delle loro nove totali (è un record), superando in finale il Torino. In quegli anni sono molti i campioni che indossano la casacca giallorossa e probabilmente il fatto che in campionato per tutto il decennio non siano mai andati oltre il quinto posto, è dipeso dallo stile di vita dissoluto che questi seguivano. Stelle come Manfredini, capocannoniere del campionato 1962-63, la mezzala Lojacono, il goleador oriundo Angelillo e l’uruguagio Schiaffino lasciarono comunque il segno nella storia del campionato e della società. Alcuni di questi giocatori dovettero partire da Roma nel 1964, anno in cui la società si trovò a fronteggiare una crisi finanziaria tanto grave da richiedere un riassetto della struttura. Il presidente Evangelisti, non potendo pagare gli stipendi, fu costretto a cedere molti campioni e a trasformare la A.S. Roma in una società per azioni.


Nel 1969 la Lazio torna in serie A, prima di retrocedere per un’altra breve sortita nel campionato cadetto, e la Roma si aggiudica la seconda Coppa Italia, stavolta vincendo un girone all’italiana davanti a Cagliari, Foggia e Torino. I romanisti guadagnano così l’accesso alla Coppa delle Coppe della stagione seguente, nella quale arriveranno alle semifinali, eliminati da una squadra polacca, il Gornik Zabrze, e dalla monetina dell’arbitro che decise il passaggio alla finale dopo due incontri terminati in parità. Da qui cominciano gli anni della cosiddetta “Rometta”, una squadra che per dieci stagioni frequenta i posti di metà classifica con il picco del terzo posto nella stagione 1974-75.
Tramonta la Roma e risorge la Lazio. Dopo un burrascoso periodo a cavallo tra il paradiso della serie A e il purgatorio della B, il presidente Umberto Lenzini si affida per risalire la china a un allenatore emergente proveniente dal Foggia, Tommaso Maestrelli.
Nella primavera del ‘72 il campionato cadetto riporta in A i biancocelesti, che si apprestano a un’ottima campagna acquisti estiva: arrivano Mario Frustalupi, Renzo Garlaschelli, Luciano Re Cecconi, Felice Pulici, Luigi Martini. I cinque vanno ad amalgamarsi con il resto della squadra formando un gruppo eterogeneo ma di qualità, guidato dal centravanti Giorgio Chinaglia.


Al primo anno dopo il ritorno in serie A la Lazio contende clamorosamente lo scudetto fino all’ultima giornata alla Juventus e al Milan. Sarà terza, dopo aver accarezzato a lungo il sogno tricolore, per via dei risultati che si andavano profilando durante l’ultima giornata. La curva nord laziale non dovrà però aspettare molto per vedere lo scudetto cucito sullo sfondo celeste delle maglie dei loro beniamini: la stagione seguente è quella storica del trionfo. L’unico innesto alla rosa dell’anno precedente è l’ala Vincenzo D’Amico, proveniente dalle giovanili. Tanto basta. I gol del capocannoniere Chinaglia spingono una squadra che ormai gioca a memoria a concludere il campionato due punti davanti alla Juventus. è il primo scudetto per i biancocelesti e rappresenterà una parentesi felice nel trentennio altalenante di cui la squadra sarà protagonista fino all’inizio degli anni Novanta.

 

Pochi anni più tardi comincia la ricaduta. La stagione 1976-77 è drammatica, non tanto sul piano sportivo, in cui con una giovane formazione la Lazio ottiene un onesto quinto posto, ma su quello extra-calcistico. Scompaiono l’allenatore dello scudetto, Tommaso Meastrelli e soprattutto Luciano Re Cecconi, ucciso da un colpo di pistola mentre, per fare uno scherzo a due suoi amici, simulava una rapina in gioielleria. Appena tre anni più tardi la società vive un’altra sanguinosa stagione. Durante il derby viene ucciso da un razzo lanciato dalla curva romanista un tifoso laziale, Vincenzo Paparelli, mentre sul piano sportivo arriva un’altra retrocessione stavolta dovuta al coinvolgimento di alcuni giocatori nello scandalo calcioscommesse. Per delibera della CAF, la Commissione d’Appello Federale, la Lazio e il Milan vengono retrocesse d’ufficio in serie B. Tramonta la Lazio, sorge nuovamente la Roma. Gli anni Ottanta sono tra i più lucenti della storia giallorossa. Il decennio precedente si era chiuso con la scampata retrocessione nel campionato 1978-79.


Dalla stagione successiva con il nuovo presidente Dino Viola la musica cambia. Si parte subito forte con la conquista della terza Coppa Italia nel 1979-80, bissata l’anno successivo. Roberto Pruzzo, tre volte capocannoniere in questi anni, trascina una formazione ricca di talento, allenata dallo svedese Nils Liedholm. Già nell’81 i lupi sfiorano l’impresa. Diventerà celebre il gol annullato al difensore romanista Turone nello scontro diretto contro la Juventus, che tutte le moviole decretarono regolare.


In ogni caso non ci fu il tempo di rimanere troppo col muso lungo, in quanto l’anno successivo, in coincidenza con il ritorno in A della Lazio, la Roma vince il suo secondo scudetto. L’affermazione fu celebrata il 15 maggio 1983 al Circo Massimo, dove il celebre cantautore romano Antonello Venditti canta per la prima volta la canzone ‘Grazie Roma’, che diventerà l’inno ufficiale della squadra giallorossa e che è ancora oggi intonato alla fine di ogni partita casalinga della squadra. Tra gli artefici del successo il già citato bomber Pruzzo, il sempre presente Vierchowod, l’astro brasiliano Falcao, il capitano Di Bartolomei, il portiere Tancredi oltre ai centrocampisti Prohaska, Conti, fresco campione del mondo con l’Italia, e Ancelotti. L’anno successivo la Roma puntò tutto sulla Coppa dei Campioni, la cui finale si sarebbe disputata tra le mura amiche dello Stadio Olimpico.

 

In semifinale i giallorossi sono capaci di ribaltare nello stadio di casa il 2-0 dell’andata in favore del Dundee United. Per gli ospiti fu una vera e propria ‘doccia scozzese’. In finale, il 30 maggio 1984 l’avversario è il temibilissimo Liverpool. I tempi regolamentari e i supplementari si concludono in pareggio con gol di Neal per gli inglesi e del solito Pruzzo per i capitolini. I calci di rigore passeranno alla storia per il comportamento burlesco e antisportivo, ma non vietato dal regolamento, del portiere Grobbelaar che per innervosire gli avversari si mise a danzare goffamente sulla linea di porta. Il risultato ottenuto fu clamoroso, il penalty decisivo di Graziani scheggiò la traversa e la Roma si vide sfuggire dalle mani il trofeo. In quella stagione la squadra concluderà seconda in campionato e aggiungerà al suo carniere la quinta Coppa Italia.


La finale di Coppa dei Campioni ha importanti ripercussioni sull’organico: il presidente Viola decide di vendere il capitano Di Bartolomei e affida la panchina a un giovane allenatore svedese, Sven Goran Eriksson. Abbandona la squadra a fine stagione anche Falcao, in polemica col presidente, e viene rimpiazzato dall’ala polacca Boniek. La prima annata di Eriksson sulla panchina giallorossa non fu all’altezza delle aspettative, quella successiva invece fu positiva dal punto di vista del risultato ottenuto, il secondo posto in campionato, ma amarissima per come questo era maturato. Alla penultima giornata, dopo aver rimontato ben nove punti sulla Juventus battuta all’Olimpico per tre reti a zero, la Roma perde clamorosamente in casa con il volenteroso Lecce dicendo addio al suo terzo titolo. Si consolerà con la sesta Coppa Italia, in coincidenza, neanche a dirlo, con la retrocessione dei cugini biancocelesti in serie B.

 

La Lazio rimane altri tre anni in serie B, dopo i tre seguiti alla retrocessione della stagione 1979-80. Al termine del 1984 si ritrova coinvolta nel cosiddetto ‘secondo scandalo calcioscommesse’ e parte per la stagione successiva con nove punti di penalità nella serie cadetta, rischiando così di finire addirittura in serie C. La promozione arriva nel 1987-88. La Lazio passa nelle mani di Gianmarco Calleri, che dopo aver risolto le beghe finanziarie della società, la vende al finanziere Sergio Cragnotti. Cambia la musica, si gettano all’inizio degli anni Novanta le basi per quella che diventerà, sul finire del decennio, la Lazio più forte di sempre. Dopo quattro stagioni anonime a cavallo tra il nono e l’undicesimo posto, i biancocelesti entrano in pianta stabile tra le più forti squadre italiane.


Nel 1992-93 la Lazio conclude quinta in serie A grazie anche ai gol del capocannoniere del campionato, Beppe Signori, proveniente dal Foggia. Signori, idolo della curva per tutto il decennio, vincerà altre due volte la classifica marcatori, nel ‘95 e nel ‘96, e segnerà con la casacca della sua squadra oltre 150 reti in campionato. La società annovera tra le sue file, oltre al suo cannoniere, alcuni validi giocatori come i campioni del mondo tedeschi Doll e Riedle, il genio inglese Gascoigne e l’ottimo portiere Marchegiani, ma non ha ancora una rosa competitiva ai massimi livelli. In panchina siede il tecnico boemo Zdenek Zeman che porterà la Lazio al picco massimo di un secondo posto nel 1994-95. Nelle stagioni seguenti le altisonanti e dispendiose campagne acquisti condotte dal presidente Cragnotti, portano, stagione dopo stagione, a un miglioramento progressivo della squadra. Arrivano il tecnico ex romanista Eriksson e giocatori del calibro di Stankovic, Mancini, Nedved, Salas, Vieri, Mihajlovic e Veron. Sono questi i nomi della Lazio dei record, capitanata dal giovane difensore Alessandro Nesta che fa il suo debutto nella massima serie nel 1994, dopo aver seguito tutta la gavetta nel settore giovanile biancoceleste, dai pulcini alla primavera.


Il primo trofeo arriva nell’anno del debutto di Eriksson sulla panchina biancoceleste ed è la Coppa Italia della stagione 1997-98. Il Milan, che aveva vinto la partita di andata per uno a zero, conduceva con lo stesso risultato anche all’Olimpico ma nel giro di dieci minuti la Lazio realizza tre gol e si aggiudica clamorosamente il trofeo. Nello stesso anno la squadra manca la sua prima affermazione internazionale, perdendo 3-0 la finale di Coppa Uefa contro l’altra compagine milanese, l’Inter. L’anno seguente però arriva il riscatto, con l’affermazione nell’ultima edizione storica della Coppa delle Coppe, in finale contro il Maiorca, e con la Supercoppa Italiana vinta ad inizio stagione sulla Juventus. Un’altra Supercoppa, stavolta Europea, arriva nel carniere della società a inizio stagione 1999-2000, grazie alla vittoria contro il favorito Manchester United.


Sarà quello l’anno storico del secondo scudetto, vinto in maniera rocambolesca all’ultima giornata grazie ad un’incredibile sconfitta della Juventus sul campo, praticamente alluvionato, del Perugia. è il tripudio, completato anche dall’arrivo della Coppa Italia. Come in tutte le storie sportive però, una volta arrivati all’apice, il difficile è rimanere ai massimi livelli, e la Lazio inizia l’inevitabile parabola discendente, che sarà in ogni caso costellata di altri due trofei, la Supercoppa Italiana del 2002 e la Coppa Italia del 2003-04.


La Roma, negli anni della migliore Lazio, è una buona squadra da classifica medio-alta che però non raggiunge grandi affermazioni. Guidata dal ‘principe’ Giuseppe Giannini e dal tedesco Voeller, a inizio decennio vince la sua settima Coppa Italia sconfiggendo nella doppia partita di andata e ritorno i freschi campioni d’Italia della Sampdoria. La scomparsa dell’amato presidente Dino Viola lascia però un vuoto incolmabile nella società giallorossa, che passa transitoriamente in mano a Ciarrapico. Una gestione non entusiasmante, che termina nel 1993 con l’arresto del presidente per bancarotta. Gli subentrerà l’imprenditore Franco Sensi. In tutto il decennio non arrivano trofei e affermazioni significative e le più gratificanti vittorie per i tifosi sono quelle ottenute nei derby cittadini. Si gettano però in questi anni le basi per quella che tornerà ad essere, con l’avvento del nuovo millennio, una delle più forti squadre della penisola.


Il mattone più importante in questo processo di costruzione è rappresentato da colui che nel 1993, al debutto in serie A, non è altro che un giovane sedicenne, ma che diventerà presto il più amato e forse il più forte giocatore dell’intera storia della società: Francesco Totti.
La prima Roma del ‘Pupone’ è una buona squadra ma che non ha i mezzi per lottare per lo scudetto. Il quarto o il quinto posto sono la regola, eccezion fatta per la disastrosa stagione 1996-97. Dal punto più basso però si può solo risalire, così mentre la Lazio arriva al massimo del suo splendore la Roma comincia la rimonta. L’allenatore giusto è Fabio Capello, vincitore di quattro scudetti sulla panchina del Milan, che prende la guida della società nel 1999 e pretende nuovi acquisti. Arrivano prima Montella e Zanetti, e, l’anno successivo, il capocannoniere del campionato 1999-2000, l’argentino Batistuta, il suo connazionale Samuel, il francese Zebina e il brasiliano Emerson. Ci sono gli uomini e c’è l’allenatore giusto, il titolo diventa una conseguenza.


La Roma parte forte e contiene nel finale il rientro della Juventus, due punti di vantaggio bastano per cucirsi sulla maglia il terzo scudetto e per dare il via a una grande festa, partita con la riedizione dell’evento di diciotto anni prima al Circo Massimo e durata nella capitale per un anno intero.


Siamo agli anni Duemila. In questa eterna altalena che porta una volta l’una e una volta l’altra compagine capitolina a regnare sul trono di migliore squadra della città eterna, è ancora il turno della Roma, che negli ultimi tre campionati disputati, battagliando ripetutamente con l’Inter, ottiene ben tre secondi posti, due affermazioni in Coppa Italia e una nella Supercoppa Italiana.


Sono questi gli ultimi trofei che il presidente Franco Sensi vede conquistare dalla sua amata squadra. Scomparso nell’agosto del 2008, dopo una lunga malattia, è omaggiato da migliaia di tifosi e cittadini nella camera ardente fatta allestire in Campidoglio. Gli succede la figlia Rosella, già designata dal padre amministratrice delegata della società dopo l’aggravarsi del suo stato di salute.


La Lazio annaspa a metà classifica, diretta da un presidente, Claudio Lotito, che ha il grande merito di aver salvato la società dal fallimento in anni in cui il calcio italiano è vessato da mali di ogni tipo: bilanci truccati, scandali scommesse, episodi di violenza da parte della tifoseria. Lo stesso presidente risulta però osteggiato da molti tifosi, in quanto colpevole secondo la curva di aver ridimensionato le aspettative della squadra, non investendo abbastanza nelle campagne acquisti.


Il calcio è uno sport che cerca oggi di ritrovare la dignità perduta nelle ultime stagioni. Tra gli episodi più brutti avvenuti in questi anni ben due hanno come teatro lo Stadio Olimpico.


Nel 2004 la partita di ritorno del derby venne sospesa a causa dei tifosi di entrambe le squadre che minacciavano disordini adducendo come motivazione la notizia della morte di un ragazzino ad opera di un poliziotto; notizia infondata e subito smentita ma che rappresentò il pretesto per gli scontri tra frange estreme del tifo organizzato e le forze dell’ordine. Nel novembre 2007 invece la morte di Gabriele Sandri, un giovane tifoso laziale ucciso in un autogrill sull’Autostrada del Sole da un colpo di pistola sparato inopinatamente dall’agente Luigi Spaccarotelle ‘a scopo intimidatorio’ per sedare una rissa, fece sì che fino a notte la zona dello Stadio Olimpico fosse in mano agli pseudo-tifosi romani di entrambe le curve, autori di una spaventosa guerriglia urbana.


La via per uscire da questo buio tunnel in cui sembra entrato il più amato sport dagli italiani è ancora lontana ed travalica il mondo dello sport. In ogni caso sarebbe già un traguardo importante riuscire ad allontanare con fermezza quelli che le varie società definiscono ‘pochi tifosi violenti’ ma che in fin dei conti non sono né pochi, né tifosi, ma solo violenti.


Questo primo passo potrebbe rendere possibile che un giorno si possano far tornare tutti gli stadi d’Italia, l’Olimpico in primis, dei luoghi senza tornelli, senza barriere in plexiglass, senza poliziotti ma con migliaia di ragazzini pronti a gridare ‘Forza Aquile’ o ‘Daje Roma’.



 

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