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ATTUALITà


N. 52 - Aprile 2012 (LXXXIII)

ancora a proposito dell'articolo 18...
... l'ago della bilancia della storia italiana

di Simona Caltabiano

 

ART. 18, non solo un numero, ma l’emblema di un’epoca, un feticcio brandito a piacere dalle fazioni opposte sul campo di battaglia, un corpo del reato agonizzante riesumato a piacimento e svuotato di ogni più profondo significato.


Ma ora il gioco si è rotto, dopo anni e anni di dibattiti politici, manifestazioni, interi palinsesti televisivi dedicati all’argomento, l’imperativo latino sempre valido in questo paese è il “dividi et impera”, in barba ad anni e anni di concertazione, l’art. 18 sta per essere ufficialmente modificato.

 

L’art. 18 è stato per questo paese come un ago che ha tenuto insieme molti fili della nostra storia.

 

La famosa legge 300/1970, meglio conosciuta come lo Statuto dei Lavoratori, dava finalmente attuazione ad uno dei principi fondamentali della nostra carta costituzionale, l’art. 1 “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

 

L’art. 18 è stato una delle conquiste del ’68 all’italiana e della stagione delle lotte nelle fabbriche iniziate già nel 1967.

 

È stato forse la prima concessione che lo Stato italiano ha dato ai sindacati e ai lavoratori, in conseguenza di quelle strane commistioni tra la politica e i gruppi estremisti che avevano già inaugurato nel 1969 con Piazza Fontana la stagione stragista.

 

È stato attore silente durante gli anni ‘90 quando la concertazione cominciò a dominare i rapporti fra i soggetti istituzionali, ritornando ad avere un ruolo di primo piano solo nel nuovo millennio.

 

L’art. 18 è stata anche la storia di Maria Teresa per la quale nel giugno del 1970 venne attuato per la prima volta. Diciassettenne operaia di una tappezzeria in Veneto, fu sospesa dalla sua azienda il 1° giugno del 1970, perché assente ingiustificata.

 

La ragazza aveva partecipato allo sciopero proclamato a livello nazionale per il rinnovo del contratto di categoria. Fu riassunta una settimana più tardi.


Maria Teresa continuò ad essere vessata all’interno della sua azienda. Lei come molti altri non ha retto e poco dopo si è licenziata.

 

Nella storia di Maria Teresa sono racchiuse le ragioni di chi ritiene che l’art. 18 non debba essere toccato e di chi al contrario pensa che debba essere modificato a favore di un indennizzo economico piuttosto che ad un reintegro nel posto di lavoro difficile da continuare a svolgere in un ambiente comunque ostile.

 

Con la modifica dell’art. 18 un’epoca è sicuramente archiviata, mettendo in evidenza tutte le contraddizioni di un paese in cui la logica dei guelfi e ghibellini porta a far divenire i capitoli della nostra storia armi di lotta, simboli da svuotare di ogni significato. Il risultato è sempre lo stesso, la mancanza del senso profondo delle cose, il mitizzare per non capire e il conseguente immobilismo politico e culturale.

 

Il dibattito sull’art. 18 ha messo in evidenza forse le ragioni più profonde di un cancro che da anni e con più evidenza da alcuni mesi si è introdotto nel nostro paese.

 

L’inerzia dei partiti che hanno felicemente abdicato ad un governo non eletto dal popolo ha fatto sì che il meccanismo democratico si inceppasse.

 

La democrazia del nostro paese così talmente vulnerabile è la vera posta in gioco.

 

Sappiamo come è andata a finire la storia di Maria Teresa, non sappiamo invece quali risvolti avranno queste vicende sulla nostra storia e sulla nostra democrazia.


Non sappiamo se il paese giovane che aveva lottato per scrivere i suoi diritti nello statuto dei lavoratori, svegliato dalla sua innocenza con l’inizio dell’epoca stragista, ha passato il timone, nero su bianco, ad un paese più maturo o forse più vecchio.

 

Attendiamo la risposta come spettatori inerti di una storia, come ci ha dimostrato il caso di Maria Teresa, troppo spesso scritta sulla nostra pelle.



 

 

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