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N. 22 - Ottobre 2009
(LIII)
L’arte dei rumori
La musica futurista di Luigi Russolo
di Monica Sanfilippo
Nel
febbraio
del
1909,
sul
quotidiano
parigino
Le
Figaro,
viene
pubblicato
il
Manifesto
del
Futurismo
di
Filippo
Tommaso
Marinetti,
programma
d’avanguardia
improntato
all’anticonformismo
radicale,
al
gesto
ribelle
e
dissacratorio,
al
culto
della
velocità.
Da
questa
uscita
in
poi
fu
un
ininterrotto
susseguirsi
di
Manifesti
tecnici
in
ogni
ambito
espressivo,
dai
più
ovvi
come
quelli
sulla
letteratura,
la
musica
e il
teatro,
ai
più
stravaganti
come
quelli
sulla
Lussuria
(1913)
o
sulla
Cucina
futurista
(1930).
Accanto
alla
poetica
letteraria
di
“parole
in
libertà”
e
“immaginazione
senza
fili”,
in
musica
si
celebra
la
distruzione
della
quadratura
(18
luglio
1912)
e
L’Arte
dei
Rumori
(11
marzo1913),
manifesti
rispettivamente
firmati
da
Francesco
Balilla
Pratella
e
Luigi
Russolo.
Pur
non
essendo
quest’ultimo
un
compositore
di
formazione,
è a
lui
che
la
musica
futurista
deve
le
esperienze
più
significative,
nell’intuizione
di
allargare
la
sfera
timbrica
dell’orchestra
alla
“varietà
infinita
dei
suoni-rumori”
e
nell’inventare,
insieme
a
Ugo
Piatti,
appositi
strumenti
atti
a
riprodurli,
gli
Intonarumori.
Prima
di
Russolo,
il
compito
di
rinnovare
la
musica
classica
italiana
era
stato
affidato
a
Pratella,
compositore
professionista
che
Marinetti
aveva
incontrato
a
Imola
lo
stesso
anno
del
suo
celebre
annuncio
futurista.
Ai
primi
due
contributi
teorici
sulla
musica
futurista
–
Manifesto
dei
musicisti
futuristi
(1910)
e
Manifesto
tecnico
della
musica
futurista
(1911)
–
Pratella
fa
seguire
la
prima
composizione
aderente
al
programma,
Musica
futurista,
in
cui
tenta
di
mettere
in
opera
i
punti
teorici
dichiarati:
l’enarmonia,
la
libertà
poliritmica,
i
valori
espressivi
e
dinamici
dell’orchestra.
Eppure
lo
spirito
dell’insolito
e
della
“rottura”
non
si
manifesta
che
in
scaltre
didascalie
(Ridendo,
Di
corsa,
Aumenta
l’ansia,
Cercando
uno
sfogo)
e
incastri
bruschi
“disposti
a
casaccio”,
nota
qualcuno:
insomma,
«l’uso
dei
mezzi
musicali
non
si
rivela
poi
così
“ardito”
come
asseriva
il
musicista,
se
gli
intervalli
non
risultano
veramente
inconsueti
al
loro
tempo,
e se
la
novità
si
affida
soprattutto
alla
scala
esatonale»
(Salvetti,
Martinotti).
La
svolta
decisiva
avviene
con
gli
Intonarumori
realizzati
da
Russolo,
pittore
della
cerchia
di
Balla,
Boccioni,
Carrà
e
Severini,
che
pure
si
addentra
nel
mondo
dei
suoni
poiché
sostenuto
da
una
forte
intuizione:
il
“Rumore
Musicale”.
«Nel
diciannovesimo
secolo,
coll’invenzione
delle
macchine
[…]
il
Rumore
trionfa
e
domina
sovrano
sulla
sensibilità
degli
uomini».
Convinto
della
nuova
sensibilità
auditiva
dell’uomo
contemporaneo,
è
proprio
assistendo
all’esecuzione
di
Musica
futurista
che
Russolo
matura
l’esigenza
di
arricchire
l’ascolto
con
sonorità
inaudite.
«Bisogna
rompere
questo
cerchio
ristretto
di
suoni
puri
–
sostiene
nei
riguardi
dei
timbri
orchestrali
– e
conquistare
la
varietà
infinita
dei
suoni-rumori».
L’uomo
dell’età
della
tecnica
ha
necessità
di
rivolgersi
«al
palpitare
delle
valvole,
all’andirivieni
degli
stantuffi,
agli
stridori
delle
seghe
metalliche,
ai
frastuoni
delle
ferrovie,
delle
filande,
delle
tipografie,
delle
centrali
elettriche
e
delle
ferrovie»,
ecco
perché
il
già
udito
annoia,
e
classici
come
Beethoven
e
Wagner
hanno
“squassato
i
nervi
e il
cuore”.
«Ora
ne
siamo
sazî
–
afferma
radicalmente
– e
godiamo
molto
più
nel
combinare
idealmente
dei
rumori
[…]
che
nel
riudire,
per
esempio,
l’Eroica
o la
Pastorale».
Nella
ricerca
sul
rumore
Russolo
distingue
sei
famiglie
fondamentali,
che
fanno
capo
rispettivamente
ai
rombi,
ai
fischi,
ai
bisbigli,
agli
stridori,
ai
rumori
ottenuti
a
percussione,
alle
voci
di
animali
e di
uomini,
a
partire
dai
quali
sviluppa
specifici
meccanismi
di
riproduzione
sonora.
L’11
gennaio
1914
brevetta
il
primo
Intonatore
di
rumore
(n.
146.066),
una
scatola
di
dimensione
variabile
contenente
all’interno
un
ingranaggio
specifico
a
seconda
del
principio
di
sollecitazione
(per
battimenti,
sfregamento,
pizzico,
ecc.),
azionato
da
una
manovella
esterna;
il
rumore
prodotto
è a
sua
volta
amplificato
da
una
tromba
anteriore
simile
a
quella
dell’antico
grammofono.
L’orchestra
è
pronta:
non
resta
che
combinare
con
fantasia
la
musica
del
futuro
e
avviare
le
spirali
di
rumori.
Il
21
aprile
del
1914
l’orchestra
d’avanguardia
debutta
al
Teatro
Dal
Verme
di
Milano,
inaugurando
una
nuova
stagione
nella
musica
contemporanea.
Ventitré
scatole
meccaniche
–
ululatori,
rombatori,
crepitatori,
stropicciatori,
scoppiatori,
ronzatori,
gorgogliatori
e
sibillatori
–
riproducono
vortici
di
suoni
simulando
i
rumori
dell’ambiente
moderno
e
articolandosi
nei
tre
pezzi
rimasti
gli
unici
di
Russolo:
Risveglio
di
una
città,
Si
pranza
sulla
terrazza
del
Kursaal,
Convegno
di
automobili
e
aeroplani.
Il
bizzarro
organico
lascia
di
stucco
e
indigna
pesantemente
gli
orecchi
dei
“passatisti”
al
punto
da
provocare
risse
di
pugni
e
schiaffi.
A
detta
dello
stesso
autore,
non
fu
il
grosso
pubblico
a
protestare,
ma
alcuni
professori
di
Conservatorio
e
musicisti:
«che
dalle
loro
poltrone
iniziarono
il
baccano
[…]
Furono
però
raggiunti
dai
pugni
formidabili
e
infallibili
dei
miei
amici,
Marinetti,
Boccioni,
Armando
Mazza
e
Piatti,
che
mentre
io
continuavo
a
dirigere
l’ultimo
pezzo
[…]
piombarono
in
platea
e
impegnarono
una
terribile
mischia,
che
continuò
poi
anche
fuori
dal
teatro».
Se
la
“memorabile”
serata
finisce
nella
rissa
generale,
migliore
destino
attende
il
repertorio
rumorista,
prima
al
Politeama
di
Genova,
poi
al
Coliseum
di
Londra
per
dodici
concerti
consecutivi
dall’incalzante
successo.
Numerose
le
tournèe
programmate
in
giro
per
l’Europa,
ma
la
guerra
“fece
rimandare
tutto”.
Anche
l’attenzione
di
Strawinsky,
incontrato
nella
capitale
londinese,
non
si
concretizza
in
collaborazioni
di
fatto,
nonostante
l’interesse
per
i
marchingegni
d’avanguardia
lo
spinga,
insieme
a
Diaghilev
e
Prokof’ev,
a
frequentare
la
famosa
Casa
rosa
di
Marinetti
(1915).
L’utilizzo
degli
Intonarumori
troverà
scarsa
applicazione
all’interno
di
orchestre
classiche
al
fine
di
suggestionare
sporadicamente
con
rumori
d’effetto,
e
per
i
due
spettacoli
di
Depero,
Canto
degli
uccelli
e
Fuochi
d’artificio.
Russolo
s’impegna:
costruisce
anche
il
rumonarmonico,
una
sorta
di
tastiera
che
riunisce
più
strumenti
rumoristici,
azionati
da
pedali
e
tasti.
Ma
la
sensibilità
dell’epoca
non
è
ancora
pronta
ad
avvertire
i
risvolti
dell’estetica
musicale
futurista,
se
non
con
l’avvento
postumo
della
musique
concrète
e
dell’elettronica:
la
critica
degli
anni
Trenta
farà
il
resto,
osteggiando
tutto
il
movimento
e
inculcando
il
dubbio,
per
qualcuno
ancora
valido:
“esiste
una
musica
futurista?”.
Sicuramente
allo
scarso
successo
delle
composizioni
rumoristiche,
si
oppone
lo
sviluppo
capillare
dell’intuizione
russoliana,
ossia
che
il
rumore
possa
considerarsi
una
componente
dell’espressione
artistica.
Questo
concetto,
pur
nell’inconsapevolezza
dei
risvolti
da
parte
dello
stesso
inventore,
penetra
profondamente
nella
poetica
musicale
novecentesca
dell’esplorazione
sonora,
da
Karlheinz
Stockhausen
a
Edgard
Varèse,
da
John
Cage
al
rap.
Riferimenti
bibliografici:
S.
Bianchi,
La
musica
futurista.
Ricerche
e
documenti,
LIM
1995
A.
Bassi,
La
musica
futurista,
Le
Monnier
1999
L.
Russolo,
L’Arte
dei
Rumori,
Edizioni
Futuriste
di
Poesia
1916
G.
Salvetti,
La
nascita
del
Novecento,
EDT
1991
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