antica
L’ARTE DELLA PROFUMERIA
NEL MONDO GRECO
TESTIMONIANZE
di Giulia Freni
Le origini dell’arte della profumeria si
perdono nella notte dei tempi, anche se
bisogna riconoscere che nel mondo
antico, proprio come oggi, vi era
l’abitudine di prendersi cura del
proprio corpo attraverso l’impiego di
sostanze profumate: oggi realizzate
chimicamente, nell’antichità attraverso
elementi naturali, tali sostanze erano
usate per ungere e profumare il corpo,
spesso con l’intento di ostentare la
propria condizione sociale.
Le testimonianze più antiche
dell’utilizzo di sostanze aromatiche
risalgono all’Età del Bronzo, come è
emerso dagli scavi archeologici a Pyrgos
nell’isola di Cipro, condotti dalla
Missione Archeologica Italiana del
Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
a partire dal 1998. È stata trovata
un’area artigianale risalente alla Media
Età del Bronzo (2000 - 1600 a.C. circa)
che comprendeva, oltre a delle botteghe,
anche un frantoio per la produzione di
olio.
Sono stati rivenuti vari reperti, tra i
quali delle macine per schiacciare le
sostanze aromatiche e parti di una
pressa per la spremitura delle olive,
oltre che numerosi contenitori di
unguenti e profumi. Rilevante è stata la
scoperta di due distillatori, ognuno
composto da quattro vasi e utilizzato
per l’estrazione degli oli essenziali.
Attraverso delle analisi chimiche sui
reperti si è notato come le sostanze
maggiormente utilizzate a Cipro fossero
gli ingredienti del κύπρος, ma sono
state rinvenute anche tracce di
rosmarino, prezzemolo, alloro, lavanda,
cannella.
L’interesse per l’arte della profumeria
è attestato anche nella civiltà minoica:
dal
palazzo di Festòs, risalente alla prima
fase palaziale (Medio Minoico IB - II,
1900-1700 a.C. circa), provengono delle
ceramiche per il filtraggio, la
decantazione e l’infusione delle
sostanze; nel palazzo di Zakros, della
seconda fase palaziale (Medio Minoico
III - Tardo Minoico IB, 1700-1450 a.C.
circa), sono stati invece rinvenuti
bacini, brocchette, bracieri e olle
usati per la distillazione.
Si
ricorda anche un’area per la lavorazione
dell’olio d’oliva, scoperta presso il
sito di Chamalevri a Creta:
attraverso alcune analisi chimiche sui
contenitori ritrovati in loco è
stato possibile identificare tracce di
olio mescolate a foglie di iris,
dimostrando come in quest’area l’olio
d’oliva fosse utilizzato per preparare
unguenti profumati. È rilevante come in
queste e in altre strutture palaziali
gli spazi per la preparazione dei
profumi fossero separati dagli
insediamenti, a causa delle esalazioni
di odori e vapori.
Le testimonianze aumentano con la
civiltà micenea (Tardo Elladico, 1600 -
1100 a.C. circa), nella quale oli e
profumi erano impiegati sia nell’ambito
di rituali in onore delle divinità sia
per la cura del corpo femminile; l’olio
era inoltre utilizzato per purificare e
ridare colore ai corpi dei defunti. Per
il trasporto di questi prodotti il
contenitore più utilizzato era l’anfora
a staffa, caratterizzata da un falso
collo collocato tra due anse; il suo
ritrovamento anche in altre aree del
Mediterraneo testimonia un’intensa
attività commerciale volta
all’importazione di materie prime e
all’esportazione di profumi.
Le scoperte risalenti a questo periodo
non si limitano ai numerosi recipienti
rinvenuti nelle tombe e nelle strutture
palaziali: con il ritrovamento e la
decifrazione delle tavolette di Lineare
B da parte di Michael Ventris e John
Chadwick nel 1952, sono stati infatti
trovati elenchi di spezie e sostanze
odorose, con riferimento agli
ingredienti, tu-we-ta (da cui il
greco θύεα), utilizzati per le varie
preparazioni: tra questi ricordiamo
e-ra-wa (da cui
ἔλαιον,
olio d’oliva) e wo-do-we (da cui
ῥόδινον,
olio di rosa). In alcune tavolette
ritrovate a Pilo è inoltre attestata la
figura del profumiere, a-re-pa-zo-o,
e si citano alcune persone che
svolgevano questo mestiere: Kokalos,
Eumedes, Philaios e Thyestes.
La fine della civiltà micenea ha
sicuramente determinato dei mutamenti
dal punto vista economico, dal momento
che l’aspetto principale dei palazzi
micenei era legato a questo ambito. I
successivi “secoli bui” costituiscono
anche per l’arte della profumeria un’età
oscura, nonostante siano stati ritrovati
alcuni contenitori già utilizzati
durante l’età micenea quali l’anfora a
staffa, evidenziando una certa
continuità rispetto al periodo
precedente. All’VIII secolo a.C.
risalgono
ἀρύβαλλοι e λήκυθοι decorati con stile geometrico, trovati a Rodi, Kos e
altre isole del Dodecaneso; degni di
nota sono gli
ἀρύβαλλοι della tipologia Spaghetti style, definiti così per la
decorazione composta da numerose linee
lungo il corpo del vaso.
Dal VII-VI secolo a.C. il commercio di
oli e profumi risulta ormai ben
consolidato, come emerge da numerosi
frammenti di poeti quali Saffo e Alceonei quali si evidenzia
come le élites si servissero di
questi prodotti per sottolineare il
proprio status symbol. Questo
generò un eccesso nell’ostentazione del
lusso da parte della classe
aristocratica, tanto che Solone e altri
legislatori emanarono leggi contro lo
spreco dei profumi per ridurre le
differenze tra le varie classi sociali.
Le sostanze aromatiche erano utilizzate
anche in ambiti specifici della vita
quotidiana, quali le nozze, i riti
funebri, gli agoni sportivi e il
simposio. Riguardo all’ambito simposiale,
si ricorda in modo particolare la
testimonianza del poeta e filosofo
Senofane di Colofone: come si può
leggere nel frammento 21 B1 Diels-Kranz,
durante i banchetti i commensali
indossavano corone di fiori e ricevevano
olio profumato in delle coppe, mentre
dal centro della sala si diffondeva
l’odore dell’incenso e tutto era
accompagnato da cibo e vino posti su una
mensa.
Come molte altre attività, anche l’arte
della profumeria aveva una terminologia
propria e specifica per indicare oli,
profumi e sostanze aromatiche. In primo
luogo, l’arte di prendersi cura del
proprio corpo era definita κοσμητική,
dal verbo κοσμέω “ornare, mettere in
ordine”.
Come
evidenzia Galeno, la κοσμητική
aveva come scopo il preservare quello
che nel corpo è conforme a natura; a
questa arte medica era contrapposta la
κομμωτική, la quale mirava invece a
procurare e accrescere la bellezza. Il
sostantivo che il greco antico utilizza
maggiormente per indicare un profumo è
ὀσμή,
in Omero ed Esiodo presente nella forma
ionica
ὀδμή;
il termine è riconducibile alla radice
indoeuropea *od- “sentire”, dalla quale
derivano anche il verbo
ὄζω
“profumare, odorare” e gli aggettivi εὐώδης
“profumato” e δυσώδης “fetido”.
Alternativo a
ὀσμή
per indicare il profumo è
ὀδωδή,
frequente nel dialetto eolico e dal
quale deriva l’aggettivo
ὀδωδός
“odoroso”. Dalla radice *od- deriva
anche il latino odor.
Un’altra radice indoeuropea legata alla
sfera degli odori è *dhu “fumare”, che
in greco antico dà origine al sostantivo
τῦφος
“vapore, fumo” e ai verbi τυφόω
e τύφω
“mandare fumo o vapore”. A questa radice
si può ricondurre anche il verbo θυμιάω
“profumare”, dal quale derivano θυμίαμα
“incenso, profumo” e θυώδης
“profumato”. Il verbo θυμιάω potrebbe
essere inoltre legato a θύω
“sacrificare” e quindi a “sacrificio”,
per il fatto che durante i sacrifici si
era soliti fare uso di sostanze odorose.
Alla radice *dhu si può ricondurre anche
il sostantivo fumum, dal quale
deriva il termine italiano profumo
in riferimento al fumo delle offerte
alle divinità.
Dobbiamo poi ricordare il sostantivo
e-ra-wa che nelle tavolette micenee
indicava l’olio d’oliva; da questo sono
derivati
ἔλαιον
“olio d’oliva”,
ἔλαιος
“olivo selvatico” e
ἐλάα
“oliva”, oltre al latino oleum.
Degni di nota sono anche altri termini
tecnici quali: διάπασμα, una polvere
profumata che le persone si spargevano
addosso;
ἄρωμα,
erba aromatica o spezia, che al plurale
indicava le sostanze con un buon odore;
μύρον,
sostantivo che indicava sia la mirra che
l’essenza di un profumo; χρῖσμα,
olio per ungere il corpo.
Per definire invece il profumo ricavato
da un determinato fiore, si tende a
utilizzare il genere neutro e il
suffisso -inon: parliamo infatti
di
ἴρινον
per indicare il profumo prodotto
dall’iris, di
ῥοδίνον
per indicare quello prodotto dalla rosa,
di
σούσινον per indicare quello
prodotto dal giglio… Per designare il
mestiere del profumiere in greco si
utilizzava il sostantivo
ῥιζοτόμος,
letteralmente “tagliatore di radici” da
ῥίζα
“radice” e τέμνω “tagliare”.
In
Teofrasto, nel De odoribus, per
indicare colui che svolgeva questa
attività sono attestati anche i termini
μυρεψοί e μυροπῶλαι:
in particolare i μυρεψοί, da μύρον
“profumo” e
ἕψω
“lessare”, si occupavano di “cucinare i
profumi”, ovvero di aggiungere materie
grasse agli oli essenziali. In latino,
invece, il profumiere era chiamato in
molti modi, tra i quali ricordiamo
aromatarius, unguentarius,
herbarius e myrobrecharius.
Rilevanti sono infine le figure dei
φαρμακοπῶλαι,
coloro che si occupavano di vendere i
prodotti lavorati dai
ῥιζοτόμοι;
spesso erano considerati ciarlatani
perché vendevano anche veleni e prodotti
pericolosi.
Nell’antichità il mestiere di profumiere
non godeva di buona considerazione
sociale, essendo svolto in Grecia dagli
stranieri e a Roma dagli schiavi. Sono
numerose le testimonianze letterarie che
esprimono disprezzo verso questa
professione: si ricorda in modo
particolare come Platone ritenesse
l’utilizzo di oli e profumi contrario
alla virtù o come Cicerone in De
officiis, I, 150 definisse
quest’attività indegna di un uomo
libero. Un interesse per l’arte della
profumeria è manifestato da Teofrasto e
Plinio il Vecchio, che nelle loro opere
trattano a lungo delle tecniche e dei
segreti per realizzare le fragranze.
Ci sono numerose testimonianze
letterarie di alcuni profumieri attivi
sia in Grecia che a Roma. Il poeta
Anacreonte cita Strattide, dicendo di
avergli chiesto se portasse i capelli
lunghi: “τὸν
μυροποιὸν
ἠρόμην
Στράττιν
εἰ
κομήσει”
(Page,
fr. 42). Il commediografo Strattide
e il filosofo Eraclide Pontico citano
invece Dinia, proveniente dall’Egitto e
trasferitosi ad Atene per svolgere il
mestiere di
ῥιζοτόμος
(Kassel-Austin, fr. 34; Wehrli,
fr. 61).
Lisia racconta di Eschine, un uomo che
aveva provato a vendere profumi senza
successo e che finse di essere
innamorato della moglie di un profumiere
per poter pagare i creditori con i quali
si era indebitato (Carey, fr. 1.5).
Tra i
profumieri più conosciuti ad Atene del
V-IV secolo vi era Megallo, citato da
Aristofane e altri commediografi come
l’inventore del megalleion (Kassel-Austin,
fr. 549).
Nelle loro commedie Anassandride e
Teopompo ricordavano Perone, noto per i
suoi profumi molto costosi. Particolare
è il caso di Atenogene di Atene, citato
solo dall’oratore Iperide nell’orazione
Contro Atenogene: si dice che la
sua famiglia svolgesse l’attività della
profumeria da varie generazioni e che
avesse venduto a poco prezzo uno dei
suoi schiavi per cederne anche i debiti.
In alcuni frammenti di Polemone di Ilio
e Sosibio di Sparta c’è anche la
testimonianza di una profumiera,
Plangone, che avrebbe inventato il
plangonion. Per quanto riguarda i
profumieri romani, Marziale nei suoi
epigrammi cita spesso Cosmo e Nicerote,
attivi nel I secolo d.C.
I profumieri si occupavano di
raccogliere le sostanze e di lavorarle,
per poterne poi ricavare dei prodotti
finiti che dovevano essere conservati in
vasetti di piombo, alabastro e
terracotta. Teofrasto fa riferimento ai
ῥιζοτόμοι
in Historia Plantarum, IX,
8, evidenziando come la raccolta
dovesse seguire delle regole ben
precise, spesso legate alla
superstizione: alcune piante devono
essere raccolte durante la notte, mentre
altre durante il giorno. Le botteghe dei
ῥιζοτόμοι,
definite da Teofrasto
μυροπώλια, erano collocate nell’ἀγορά
come quelle delle altre attività
commerciali. È inoltre rilevante come
Aristofane e altri autori comici
parlassero di un quartiere dedicato alla
vendita di oli profumati e sostanze
aromatiche, definendolo μύρον.
I
ῥιζοτόμοι,
oltre alla lavorazione delle sostanze,
si occupavano della loro conservazione
attraverso vasetti di piombo, alabastro
e terracotta. A riguardo, uno dei
contenitori tipici del mondo greco era
l’ἀλάβαστρον,
la cui tipologia corinzia era
caratterizzata da una bocca a disco
spesso, un collo stretto e una forma a
sacco; quella attica aveva invece ventre
ovoide o cilindrico con fondo
arrotondato, labbro largo e piatto e
spesso due anse. Si ricordano poi l’ἀρύβαλλος,
caratterizzato da un’imboccatura e un
collo stretti che permettevano di far
uscire l’olio lentamente; il
λήκυθος,
un recipiente con un collo alto e
stretto, una bocca tonda e un’unica
ansa; la πελίκη, un vaso con labbro
arrotondato e corpo con profilo a sacco,
usato sia per conservare i liquidi in
generale che gli oli profumati.
Questi recipienti erano spesso decorati
a favore di un commercio di lusso a cui
si rivolgevano le classi più elevate per
ostentare la loro ricchezza. Teofrasto
in De odoribus, 9 evidenzia
inoltre che il miglior materiale per la
conservazione dei profumi era
l’alabastro a causa della sua freddezza;
si nota anche che i contenitori dovevano
essere conservati i luoghi freschi e
poco esposti alla luce del sole, in modo
tale da non far evaporare le essenze e
da non permettere agli odori estranei di
penetrare all’interno.
L’utilizzo di contenitori di aromata
è testimoniato infine in riferimento
alla vita quotidiana, come emerge da due
epistole tramandate rispettivamente da
un papiro e da un
ὄστρακον.
La prima di queste attestazioni è
rappresentata dal PSI XV 1558,
risalente al III secolo d.C. In questo
papiro è contenuta una lettera con la
quale un certo Calleas chiede a Flavius
di ricevere le merci del battelliere
Peruan per consegnarle alla moglie di
Spartas; si aggiunge che il carico è
contenuto in un canestro, definito
σφυρίδιον, e che comprende varie
sostanze, delle quali si fa poi un
elenco dettagliato, sottolineando che
solo il croco non è stato riposto nel
contenitore affinché non si sbricioli.
Nell’O.Claud. I 171, uno degli
ὄστρακα
ritrovati nella fortezza di Mons
Claudianus in Egitto, si può leggere
invece l’epistola di un certo Menelaos
che chiede a un certo Menelaos di
inviargli un’ampolla di olio di rosa,
dal momento che quello che possedeva gli
è stato rubato.
Tutte queste testimonianze, letterarie e
archeologiche, mostrano le origini di un
aspetto peculiare della cultura antica,
quello di prendersi cura del proprio
corpo, che è ancora presente nella
società di oggi seppure con diverse
modalità dovute all’avanzamento delle
scoperte scientifiche. Sono proprio le
peculiarità, infatti, a farci apprezzare
la bellezza del mondo antico e a farci
comprendere che in fondo esso non sia
poi così diverso dal nostro.
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