N. 102 - Giugno 2016
(CXXXIII)
L’arte
dei
presepi
Intervista
al
maestro
presepista
Francesco
Salvati
di
Chiara
Tangredi
Non capita tutti i giorni
di
incontrare
un
maestro
presepista
qui
nel
Sannio.
Soprattutto
ora
che
non
è
più
Natale.
D’altronde
un
presepe
non
nasce
in
un
giorno.
Lo ammetto. Ero rimasta
imbarazzata
di
fronte
al
blocco
dell’intervistatore.
Possibile
che
non
sapessi
cosa
chiedergli?
Allora
mi
ero
organizzata
delle
domandine.
Avevo
fatto
appello
alla
regola
delle
5W.
Allo
stesso
modo
in
cui
un
penitente
fa
ricorso
all’intercessione
della
Vergine.
Da Febbraio il maestro
Francesco
Salvati
collabora
con
l’associazione
A&MID
(Arti
e
Mestieri
in
Dono).
Gestisce
un
laboratorio
d’arte
presepiale.
Lo
trovo
a
controllare
le
casette
dei
suoi
studentelli,
con
i
capelli
bianchi
raccolti
in
un
codino,
l’espressione
degli
uomini
saggi.
Spiega
che
non
vanno
bene
queste
casette,
perché
l’intonaco
esterno
è
moderno.
Devono,
invece,
somigliare
a
ruderi.
Ci accomodiamo in un’aula
vuota.
Seduti
come
scolaretti
delle
elementari.
È la
prima
cosa
che
ho
notato
quando
ho
cominciato
a
fare
interviste:
la
gente
vuole
parlare,
comunicarsi.
Chi
è il
maestro
Francesco
Salvati?
Io sono nato a Roccabascerana,
il
15-4-29.
Nella
mia
vita
ho
fatto
vari
mestieri.
Ho
imparato
musica,
ho
suonato
in
una
banda,
ho
fatto
il
militare,
sono
stato
artificiere,
geniere,
musicante
anche
sotto
le
armi.
Poi
tornai
al
mio
paese
e
lì,
certo,
non
c’erano
tante
cose
da
fare.
Io
dovevo
prendere
una
strada,
perché
la
musica
non
è
che
ti
poteva
dare
un
grande
avvenire.
Allora
andai
a
Napoli.
Vinsi
un
concorso
di
sorvegliante
in
un
parco.
Ho
continuato
a
cimentarmi
nell’arte,
perché
avevo
molto
tempo
a
disposizione,
il
mio
lavoro
non
era
molto
impegnativo,
dovevo
stare
lì a
guardare,
controllare,
passeggiare
nel
parco.
Mi
dedicai
non
solo
alla
musica,
anche
a
dei
quadretti,
li
ho
fatti
per
diversi
anni,
erano
delle
stampe
anticate.
Bruciavo
dei
pezzetti
di
legno,
grattavo
via
tutto
il
carbone
e,
così
come
venivano,
tutti
scheggiati,
storti,
ci
incollavo
sopra
una
stampa.
Questa
stampa
veniva
poi
trattata
con
tante
di
quelle
pitture,
il
trasparente
e
altro
materiale.
Alla
fine
si
aveva
l’impressione
che
la
stampa
fosse
nata
in
quel
pezzo
di
legno
bruciato.
Non
si
notava
che
era
una
carta.
“Come si è avvicinato al
presepe?”
è la
domanda
che
sto
per
fare.
Il
maestro,
però,
mi
anticipa.
Segue
un
filo
suo
proprio
quest’uomo.
Non
si
lascia
distrarre
dai
tuoi
interventi.
Mi
colpisce
la
lentezza
del
discorso,
il
tempo
preso
per
rammendare
le
memorie,
accordare
il
filo
del
pensiero.
Allora
tu
temi
che,
se
quel
filo
si
spezzasse,
il
maestro
finirebbe
perduto.
Come
si è
avvicinato
al
presepe?
Il presepe è stato un
fatto
un
po’
“curiosello”,
un
po’
strano.
Ognuno
di
noi
è
artista,
ma
forse
non
lo
sa
nemmeno.
Io
di
presepi
non
ne
capivo
niente,
non
mi
interessavano
proprio.
Sì,
li
guardavo,
ma
come
si
guarda
una
chiesa.
E
come
successe?
Mia
figlia
divorziò
dal
marito.
Aveva
già
due
bambini.
Oggi
questi
bambini
hanno
oltre
trent’anni,
sono
ancora
zitelli
e
stanno
a
Napoli.
Allora
avevano
cinque
o
sei
anni,
quando
il
padre
se
ne
andò,
li
abbandonò,
figli
e
moglie.
E i
bambini
si
rivolsero
a me
per
il
Natale.
Mi
cadde
addosso
come
un
macigno
quando
mi
chiesero:
Papà
se
ne è
andato,
mo’
tu
perché
non
ci
fai
il
presepe?
Io
non
potevo
deluderli,
non
potevo
dir
loro:
no,
non
lo
so
fare.
Va
bene,
gli
dissi,
faremo
questo
presepe.
Così
andai
a
Benevento
a
comprare
qualcosa.
Precisamente
era
il
negozio
“Santa
Maria”.
Comprai
un
po’
di
casette,
dei
ponticelli,
qualche
pastorello,
per
fare
un
presepino
non
grande.
Tornai
a
casa,
presi
una
base,
ma
non
ci
riuscivo.
Non
ho
capito
perché,
io
volevo
farlo,
volevo
accontentare
i
ragazzi.
Questo
fatto
di
muovere
e
muovere,
montare
e
smontare
durava
ormai
da
una
mezz’oretta.
Senza
risolvere
niente.
I
ragazzi
erano
lì
pronti
a
veder
nascere
il
presepe,
quando
gli
chiesi:
vi
dispiace
se
invece
di
usare
queste
cose
comprate,
faccio
a
modo
mio?
A
loro
interessava
il
presepe,
non
con
che
cosa
lo
realizzassi.
Così
tolsi
tutto,
tranne
i
pastori.
Incominciai
a
fare
le
cose
a
modo
mio.
Quello
che
io
sentivo
dentro.
Fai,
fai
e
fai
e da
quel
momento
mi
trovo
impiastrato
in
questa
situazione,
da
quel
momento
mi
attaccai
a
quest’arte.
Per
sfondare
è
stato
difficile.
Beh
qualche
maestro
ti
incoraggia,
qualcuno
ti
“sfrugulea”
(ti
prende
in
giro),
qualcuno
si
fa
la “risatella”,
e
poi
la
mortificazione.
È
vero,
allora
ero
scadente,
d’altra
parte
era
anche
giusto,
ero
all’inizio.
Eppure
ho
molto
apprezzato
le
persone
che
mi
incoraggiavano.
Si
ha
bisogno
anche
delle
critiche,
critiche
costruttive
però.
A
chi
si
faceva
il
risolino
dicevo:
un
giorno
vedrai,
andrò
ad
insegnare
nelle
scuole.
E
quelli
mi
prendevano
in
giro:
Eheee,
Salvati,
non
dire
fesserie.
Ebbene
ci
sono
riuscito.
Ho
studiato
con
i
maestri,
tutti
i
trucchi,
tutte
le
tecniche.
Ho
il
diploma
internazionale
rilasciato
dalla
Commissione
europea.
I
miei
presepi
sono
sparsi
in
tutto
il
mondo.
Ora
sono
a
Benevento,
dove,
otto
anni
fa,
ho
fondato
un’associazione
“Amici
del
Presepe”,
in
Italia
si
contano
settanta
sezioni,
la
direzione
è a
Roma,
a
sua
volta
Roma
dipende
dalla
Spagna
dove
è
nata
originariamente
questa
organizzazione.
Ho
una
mia
scuola,
diversi
allievi,
insieme
ai
miei
assistenti
abbiamo
lavorato
nelle
scuole
pubbliche
di
Benevento.
Adesso,
in
verità,
a me
piace
più
insegnare
che
lavorare
ai
presepi.
Ecco,
in
genere,
si
tende
ad
associare
l’arte
presepiale
a
Napoli,
a
San
Gregorio
Armeno.
Perché
il
presepe
è
come
la
pizza:
napoletano.
Invece
pare
che
quest’arte
travalichi
i
confini
geografici
e
non
si
imponga
come
patrimonio
di
un
luogo
soltanto.
Come
mai?
Proprio a questo volevo
arrivare.
L’associazione
“Amici
del
Presepe”
di
Benevento
è
nata
in
Spagna.
Molti
mi
chiedono:
perché
in
Spagna
e
non
a
Napoli?
Il
presepe
napoletano
è
del
Settecento.
Nel
Settecento
a
Napoli
governavano
i
Borboni,
di
origine
spagnola.
I
Borboni
erano
attaccati
ai
presepi
peggio
di
un
bambino.
Lavoravano
tutti,
pure
il
re e
la
regina,
coinvolgevano
ingegneri,
architetti,
pittori,
scultori,
orefici,
costumisti.
Venivano
istallate
delle
scenografie
grandiose.
Molti
pezzi
di
quest’arte
napoletana
furono
pure
esportati
in
Spagna.
In
genere
quanto
tempo
impiega
per
realizzare
un
presepe?
Non si può calcolare. Il
presepe
è
un’opera,
una
scena,
la
devi
prendere
e la
devi
lasciare,
si
deve
asciugare,
poi
ti
accorgi
di
aver
fatto
degli
errori.
Per
completare
un
presepe
ci
vogliono
sempre
cinque
o
sei
mesi,
volendo
essere
proprio
pignolo.
Ma,
in
cinque
o
sei
mesi,
normalmente,
realizzi
cinque
o
sei
presepi
contemporaneamente.
Sì,
perché
ne
prendi
uno
e lo
lasci,
ci
devi
fare
un
intervento
di
un
quarto
d’ora,
poi
ne
prendi
un
altro.
Passiamo
ad
un
aspetto
più
tecnico,
quali
materiali
utilizza?
I materiali: infiniti.
Tutto.
Legno,
polistirolo,
gesso,
cemento,
zucchero,
cera,
plastica,
colla,
sughero.
Le
cose
più
impensate,
quello
che
voi
buttate.
Io
se
prendo
quel
cestino
dell’immondizia
e lo
svuoto
a
terra,
trovo
della
roba
che
a me
può
servire.
Ad
esempio
le
vaschette
di
polistirolo
dei
macellai.
Il
polistirolo
è
ampiamente
usato,
sia
perché
è
molto
semplice
da
lavorare,
sia
perché
è
leggero.
Anche
perché
è
più
facile
da
trovare
rispetto
al
sughero.
I presepi, maestro, lei
mi
spiega
sono
opere
polimateriche.
Rappresentano
un’alternativa
al
concetto
dell’usa
e
getta.
A
ricordarci
la
legge
di
conservazione
della
massa
di
Lavoisier.
Per
cui
in
una
reazione
chimica
la
massa
complessiva
dei
reagenti
è
uguale
alla
massa
complessiva
dei
prodotti
ovvero
nulla
si
crea,
nulla
si
distrugge,
tutto
si
trasforma.
Insomma
per
un
presepista
la
pattumiera
è
come
quell’animale
di
cui,
per
tradizione,
non
si
butta
via
niente.
Cosa
la
ispira
quando
fa
un
presepe?
Normalmente noi presepisti
guardiamo
i
ruderi.
Guardo
una
casa
dirotta
e
subito
mi
si
mette
in
mente.
In
televisione
guardo
un
altare
in
una
chiesa,
e
viene
subito
l’idea
di
farlo.
L’arte
presepiale
è
l’arte
più
bella.
Non
c’è
arte
al
mondo
come
questa.
Abbraccia
quattro
aspetti
principali:
arte,
storia,
cultura
e
religiosità.
Il
presepista
deve
saper
fare
tante
cose,
è
spronato
a
tante
cose:
le
dimensioni,
la
casa,
il
pastore...
Quando
faccio
il
presepe,
io
mi
dimentico
che
esisto,
che
mia
moglie
è di
là,
che
si
deve
mangiare...
E
guai,
poi,
quando
vado
in
laboratorio
e, o
mia
moglie
o
una
telefonata
o
un’altra
cosa,
e
vengo
interrotto.
L’artigiano
ha
bisogno
di
concentrarsi,
deve
fare
tutto
uno
studio
mentale
prima.
E
quando
ha
fatto
tutto
questo
si
accorge,
nella
fase
costruttiva,
che
sta
sbagliando
qualcosa
o
che
c’è
qualcosa
che
può
essere
fatta
meglio
di
come
l’aveva
pensata.
Inciampo in una curiosità
insolita:
cosa
fa
la
moglie
mentre
lui
costruisce
presepi?
La
vedo
star
dietro
a
mille
cose.
Mentre
il
maestro
si
concentra,
evita
di
rispondere
a
telefono,
aborrisce
qualsiasi
interruzione.
Il
maestro
deve
essere
uno
schellinghiano.
Magari
senza
saperlo.
Per
Schelling
l’arte
si
presenta
come
la
sintesi
di
un
momento
inconscio
e
spontaneo
(l’ispirazione)
e di
un
momento
conscio
e
meditato
(l’esecuzione).
Proprio
come
per
Salvati:
l’arte
viene
da
dentro,
ha
bisogno
d’essere
espressa
in
qualche
maniera,
indipendentemente
da
dove
giunga
l’ispirazione
è
necessario
un
lavoro
mentale
per
eseguire
in
forma
materiale,
concretizzare,
rendere
visibile
quel
che
si
ha
dentro.
In
famiglia,
diceva
di
avere
due
nipoti,
bene,
qualcuno
ha
deciso
di
intraprendere
questa
strada?
Non credo. È come dicevo
all’inizio,
io
non
so
come
mi
sia
capitato.
Si
ha
qualcosa
dentro
da
tirar
fuori.
Bisogna
aspettare
l’occasione,
il
momento
giusto.
È
come
quando
tu
stai
per
morire
e ti
devi
salvare
per
qualche
cosa.
Così
è
capitato
a
me.
C’è
bisogno
di
una
molla
per
esternare
quello
che
si
ha
dentro?
Esatto. Ho avuto bisogno
di
questo.
Però
c’era
già
una
fiammella
d’arte
dentro
di
me.
Facevo
musica,
mi
dedicavo
alla
pittura...
Dovevo
solo
capire
il
modo
più
consono
per
esprimerla.
Va
bene?
È stanco. Adesso. Ha
bisogno
di
bere.
Mi
riprometto
di
chiudere
alla
svelta.
Un’ultima
domanda,
maestro:
perché
oggi
un
giovane
dovrebbe
imparare
e
praticare
l’arte
presepiale?
Non è proprio l’arte
presepiale
che
i
ragazzi
devono
imparare.
Attraverso
quest’arte
innanzitutto
acquisiscono
una
base
religiosa.
Secondaria
cosa,
questo
lo
dico
per
esperienza
fatta
nelle
scuole,
mi
sono
accorto
che
questi
ragazzi
erano
attratti,
stavano
attenti,
si
attaccavano
alla
casetta,
alla
scena,
erano
interessati
a
come
si
fa
questo,
come
si
fa
quest’altro.
Non
tutti.
Infatti
quando
mi
chiamano
per
andare
a
insegnare,
dico
sempre
agli
insegnati:
voi
dovete
fare
un
po’
una
scelta,
prendere
i
ragazzi
che
sono
portati
all’arte,
altrimenti
mi
mandate
chi
non
vuol
far
niente
e
non
mi
sta
bene.
Dicevo,
erano
così
attenti,
tanto
che
una
volta
mi
ha
fatto
un
richiamo
un
bambino
di
sette
anni.
Erano
settanta
di
loro,
seduti
come
gli
indiani
per
terra,
io
stavo
in
cattedra
e
insegnavo
a
costruire
una
casa.
Gli
dicevo:
non
mettete
il
cornicione
a
fil
di
muro,
dateci
un
dente
di
cornicione.
Per
andare
di
fretta
incollo
il
cornicione
in
una
direzione,
allora
il
bambino
mi
fa:
maestro
avete
sbagliato.
Come
ho
sbagliato?
Maestro
a
noi
ci
avete
insegnato
in
un
modo
e
voi
avete
fatto
tutto
il
contrario.
Allora
ho
capito
che
ne
sono
così
attratti
perché
oggi
da
questi
ragazzi
non
nasce
niente.
Se
mi
metto
davanti
a un
computer,
a
facebook,
io
non
risolvo
nessun
problema,
di
mio
non
ho
fatto
niente.
Fa
tutto
il
congegno
elettronico,
congegno
che
ha
realizzato
un
altro,
non
io.
Mentre
dal
presepe
viene
fuori
qualcosa
di
tuo.
Tu
guardi
un
presepe
fatto
da
te e
ti
stupisci:
quello
l’ho
fatto
io!
E
poi
il
presepe
è un
lavoro
prodotto
dalla
tua
mente,
visto
e
apprezzato
dagli
altri.
Questo
è
importante.
Un
altro
fatto
importante:
ogni
volta,
prima
di
cominciare
il
laboratorio
nelle
scuole,
mi
raccomandavo:
ragazzi
se
l’insegnante
si
lamenta
che
a
scuola
non
andate
bene,
io
di
qua
ve
ne
mando.
È
capitato
che
qualcuno,
che
zoppicava
in
qualche
materia,
pur
di
seguire
il
corso
dei
presepi,
è
migliorato.
Ora
questo
è un
fatto
positivo.
Credo sia arrivato il
momento
di
terminare.
Anche
se a
malincuore.
Anche
se
continuo
a
pensare
a
quello
che
ha
detto.
Al
fatto
che
attraverso
l’arte
è
possibile
mostrare
agli
altri
quello
che
si
ha
dentro.
È
possibile
rendere
visibile
un
pensiero,
plasmandolo
con
i
materiali.
Io
la
ringrazio
per
il
tempo
concesso.
Non so se sono stato
esauriente.
Certo.
Anzi.
È
stato
un
motivo
di
confronto
anche
per
me,
entrare
in
un
mondo
che
non
conoscevo.
No, tu devi conoscere
questo
mondo.
Perché
è
quell’arte
che
sprona
a
tante
cose...
E’
una
cosa
molto
bella.
Va
bene.
Grazie.
Grazie
a
lei.
E complimenti, complimenti
di
tutto.
A quel punto mi accorgo
delle
tante
domande
non
fatte.
Scopro
di
avere
delle
curiosità
irrisolte
verso
un’arte
poco
conosciuta
e
verso
quest’uomo
che
alla
sua
età
conosce
facebook.
Egli
si è
adattato
a
questi
nostri
giorni,
conservando
e
tramandando
un’eredità
culturale
antica:
l’arte
dei
presepi.
All’improvviso
mi
rendo
conto
di
non
avergli
nemmeno
chiesto
il
perché
ha
il
codino.