N. 29 - Ottobre 2007
ARTE PALEOCRISTIANA
Un'arte semplice
di Francesco Arduini
“Osservate
come crescono i gigli della campagna; essi
non faticano e non filano; eppure io vi dico
che neanche Salomone, con tutta la sua
gloria, fu vestito come uno di loro”
(Matteo 6:28).
Queste parole,
pronunciate da Gesù nel famoso sermone della
montagna, mostrano come la teologia
cristiana non sia estranea alla bellezza e
all'arte. Bellezza e arte che in tutte le
sue espressioni sono un meraviglioso dono di
Dio che accompagna la nostra vita. Un dono
che partorisce emozioni, che stimola
interrogativi, che ricrea il mondo
trasfigurandolo. In questo senso, l’arte è
sorella della teologia.
Si deve
premettere che sarebbe un grosso errore
avvicinarsi all’arte con una mentalità da
iconoclasta confondendo fra icona e idolo.
L’impulso iconoclasta nasce quando le opere
d’arte si presentano in modo tale da sfidare
altri valori: la teologia vieta soltanto di
fare del visibile una via di accesso
all’invisibile. Ciò che è condannato non è
la bellezza delle opere umane, ma ogni loro
pretesa metafisica, la pretesa di
avvicinarci a Dio, la confusione dei piani
che fa sì che una realtà estetica conduca ad
una realtà spirituale.
Avvicinandoci
a questa arte, senza i riferimenti
metafisici che a volte le sono
impropriamente assegnati, non si può fare a
meno di considerarne una delle prime forme:
l’arte catacombale.
Nei tempi
arcaici della Chiesa, sembra che cristiani,
ebrei e pagani, fossero sepolti fianco a
fianco senza discriminazione alcuna. Verso
la fine del II secolo, le comunità cristiane
trovarono la forza e l’organizzazione per
svincolarsi dalle sepolture pagane per
creare delle aree proprie. Vengono così
realizzate le prime catacombe, scavate nel
tufo o in altri terreni facilmente
asportabili, ma solidi tanto da poter creare
un’architettura negativa. L’architettura
delle catacombe comporta obbligatoriamente
la presenza di scale che conducono a
gallerie. Nelle pareti delle gallerie sono
sistemati i “loculi”, ossia le sepolture dei
cristiani realizzate nel senso della
lunghezza; questi sepolcri sono chiusi con
lastre di marmo o con mattoni. I loculi
rappresentano il sistema sepolcrale più
umile ed egualitario per rispettare quel
senso comunitario che animava i primi
cristiani. Nelle catacombe si trovano,
comunque, anche tombe più complesse che sono
vere e proprie camere sepolcrali.
La visione
delle catacombe associata ai momenti di
persecuzione, non corrisponde allo spirito
che aveva animato i primi cristiani quando
decisero di costruire questi cimiteri
propri, in attesa della resurrezione finale.
Le catacombe erano ben conosciute dalle
autorità nella loro ubicazione e
dislocazione. Esse non si proponevano come
luoghi di rifugio, proprio per il fatto che
erano le sedi più note alle autorità, ancor
più delle chiese che invece, nei primi
secoli, potevano mimetizzarsi tra gli
edifici di abitazione comune. Uno spiccato
senso comunitario guidò la genesi e la
fortuna delle catacombe che ben presto
soppiantarono l’uso di seppellire
sopratterra. Tra gli obblighi sociali della
comunità c’era quello di occuparsi delle
sepolture dei meno abbienti, che non
dovevano affrontare nessuna spesa, né per la
chiusura delle tombe né per la cura delle
stesse.
Le catacombe
conclusero la loro vita funeraria nel corso
della prima metà del V secolo mantenendo
esclusivamente il ruolo di sedi del culto
martiriale. Questo selezionò un ristretto
gruppo di monumenti, condannando alla
dimenticanza tutti gli altri che non
conservavano spoglie di martiri. Molte
catacombe, con il trascorrere dei secoli,
divennero cave per materiale da costruzione.
La pittura
delle catacombe è sempre stata disattesa
dagli storici dell’arte e dagli iconografi
di ogni epoca, tanto da essere considerata
come una sorta di produzione artigianale.
Michael Gough, storico ed archeologo, scrive
in tal senso: “ … parlando dell’arte
cristiana, si deve ben ricordare che la
parola ‘arte’ è qui un termine relativo,
perché molta di essa è abbastanza ‘rudimentale’,
notevole più per il suo intento religioso
che per la sua ben riuscita esecuzione”.
Un giudizio
discutibile, che sembra confondere il valore
artistico con la precisione tecnica. L’arte
catacombale è un’arte che descrive un
immaginario salvifico tra i più ricchi e
completi che abbia elaborato la cultura
figurativa religiosa dell’antichità.
La “legge
dell’uguaglianza” fu seguita alla lettera
soltanto nei primi tempi, quando sulla
chiusura dei loculi apparivano a malapena le
iscrizioni relative ai soli nomi dei
defunti, i cosiddetti nomina singula,
o addirittura si nascondevano dietro al più
assoluto e silenzioso anonimato.
Già alla fine
del II, inizio del III secolo, i loculi
perdono questa austera sobrietà e cominciano
ad accogliere i primi impercettibili segni
decorativi. Alla fine del secolo i temi
biblici invadono completamente le sedi
decorabili, comprese quelle dei sarcofagi
marmorei a volte sepolti all’interno delle
catacombe. L’arte delle catacombe è
specialmente quella delle decorazioni
pittoriche che si dispiegano sulle volte e
sulle pareti dei cubicoli e delle gallerie.
In questo repertorio iconografico non
mancano episodi biblici: il paralitico,
Lazzaro, Giona, Noè, Daniele, i tre giovani
di Babilonia, ecc..
I loculi
costituiscono la cellula elementare del
connettivo sepolcrale delle catacombe. Sulle
lastre di chiusura dei loculi sono spesso
incisi dei simboli di diverso significato.
Il repertorio simbolico delle piccole cifre
figurative, quelle che ancora oggi
colpiscono l’immaginario comune per la
forza, per la chiarezza ed efficacia dei
loro significati, sono le ancore, i pesci,
le barche, i pavoni, le palme, gli ovini, i
cristogrammi incisi sulle chiusure dei
loculi. In qualche caso viene rappresentato
un attrezzo relativo al mestiere svolto in
vita dal defunto.
Giovanni
Battista de Rossi attribuì ad alcuni di
questi segni un significato solo mnemonico:
essi potevano rappresentare un’efficace
sistema di riconoscimento del sepolcro
nell’ambito delle dense pareti delle
gallerie costellate di loculi tutti uguali e
difficilmente identificabili.
Ad altri segni
si attribuì immediatamente un significato
cristologico, ma non è escluso che alle
origini possano esistere significati più
generici che si caricarono pian piano di
altri sensi. Se prendiamo ad esempio i segni
proverbialmente cristologici come il pesce,
l’ancora e l’agnello, non possiamo non
considerare che queste immagini compaiono a
commento delle due entità della pax terra
marique parta.
Prima di
rivestire il ruolo di equivalenza
cristologica, questi simboli avevano preso a
significare allegoricamente la pace cosmica,
quella che si esprime nella tranquillitas
marina e nella quies bucolica.
Infatti, tenendo conto che la speranza post
mortem si esprimeva tradizionalmente come un
idillio bucolico, è comprensibile come, col
passare degli anni, il “pastore che porta la
pecora” si allontana dalla scena pastorale
nella quale è apparso e finisce con
l’assumere una nuova identificazione: Gesù
che porta la pecorella perduta.
Spostandoci
all'esterno delle catacombe, Gough afferma
come a tutto ciò ci siano delle notevoli
eccezioni. Ovvero ci sarebbero dei simboli
che sin dall’origine rivestirebbero una
valenza cristologica pari a quella assegnata
ad altri simboli in tarda epoca. Egli
afferma: “… in un cimitero recentemente
scoperto vicino a Gerusalemme, che risale
senza dubbio a un periodo anteriore alla
distruzione della città da parte di Tito nel
70, si trovò che alcuni ossari erano segnati
con una croce incisa …” Tali simboli
sarebbero, secondo Gough, la più antica
testimonianza archeologica dell’esistenza di
una chiesa cristiana in loco.
Va ricordato
come, in accordo con la maggioranza degli
studiosi, la chiesa paleocristiana fosse
caratterizzata da un assordante silenzio
iconografico. Alle affermazioni di Gouch si
possono contrapporre quelle di R.H. Smith in
Palestine Exploration Quarterly:
“Senza dubbio, le numerosissime croci e
segni simili a croce che compaiono negli
ossari si trovano lì in funzione di guide
per far combaciare i coperchi ai
ricettacoli” (PEQ Januay-June 1974, pag.
65) o quelle del The Anchor Bible
Dictionary: “I segni a forma di X o di
croce sul coperchio corrispondono
normalmente a identici segni sulla cassa e
non hanno alcun significato religioso” (Vol.
V, pag. 132).
Fu solo verso
la fine del II secolo che iniziarono a
comparire delle raffigurazioni pittoriche
identificabili come di natura cristiana (Early
Christian Art – The Ancor Bible Dictionary,
Vol. I pag. 455).
L'arte
paleocristiana in ogni sua rappresentazione
è un’arte semplice, com’è semplice,
immediata e commovente la conversione dei
cristiani dei primi secoli che ricrearono,
con una pittura altrettanto semplice, un
paradiso fatto di pavoni, uccelli in volo,
fontane, … non possiamo non vedere come la
natura di queste immagini si evolva verso
uno stato liturgico: sono immagini che
invitano ad alzare lo sguardo a Dio, sono
immagini da porre nella categoria delle
preghiere. L’arte cristiana è speranza
e preghiera.
Riferimenti
bibliografici:
Arte e Teologia, AA.VV., Ed. Claudiana, 1997
I Primi Cristiani, Michael Gough, Ed. EST,
1996
Roma Sotterranea, G.B. De Rossi, III Roma