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N. 56 - Agosto 2012 (LXXXVII)

L'ARRIVO DEGLI ARABI NEL MEDITERRANEO
GLI ARABI E LE NUOVE ROTTE COMMERCIALI EUROPEE TRA VII E IX SECOLO

di Alessandro Valenzano

 

L’arrivo degli Arabi nel Mediterraneo rappresenta per la Storia europea un punto fondamentale di non ritorno, che portò, nel tempo, alla definizione degli odierni confini culturali e religiosi tra Mondo islamico e Mondo cristiano.

 

Con gli Arabi giunse, nei territori euro-asiatici, una nuova confessione religiosa: l’Islam, che sconvolse, come fece in passato il Cristianesimo, le tradizioni di diversi popoli.

 

La nuova religione monoteista, divulgata dal Profeta Maometto, però, non fu l’unica novità di questo importante periodo di transizione. Oltre al nuovo credo religioso, i popoli del Mediterraneo appresero le innovative scoperte matematiche, chimiche e astronomiche, degli alchimisti levantini; i mercanti impararono ad apprezzare nuove spezie, incensi e sete pregiate; nei contadi nord africani, spagnoli e siciliani, si diffusero nuove tecniche agrarie e la coltivazione di piante esotiche, prima sconosciute.

 

Sin da principio, però, la forzata convivenza tra i due Mondi religiosi portò a un clima di tensione. Per molti, infatti, il Mediterraneo non rappresentava più il ponte millenario tra Oriente e Occidente, bensì era visto come una barriera insormontabile, al di là della quale c’era il nemico.

 

Inizialmente, nel VII secolo, l’irruzione degli Arabi nel bacino del Mediterraneo aveva bloccato il traffico commerciale a gran parte delle città cristiane, ma non a tutte. Soltanto il Tirreno era diventato un lago musulmano; l’Egeo e l’Adriatico, nonostante tutto, erano ancora navigati dai mercanti cristiani.

 

La difesa del Mediterraneo Orientale fu garantita dalla flotta militare bizantina, che ancora riusciva a mantenere il confronto con quella araba di Damasco: dopo la vittoria bizantina del 719 la Mezzaluna non si espose più nel Bosforo.

 

Nel Mediterraneo Occidentale e in Asia, il Califfato ampliava i suoi territori a macchia d’olio, chiudendo le rotte ai mercanti infedeli. A partire dall’VIII secolo, la situazione iniziò a sbloccarsi, grazie anche alle violente lotte intestine per la successione al soglio califfale.

 

I mercanti cristiani ripresero, così, le loro attività marittime, pur stando sempre attenti alle scorribande dei pirati saraceni, ma riuscirono ad approdare anche nei porti musulmani alla ricerca di nuovi prodotti da proporre nei mercati d’Occidente.

 

I souk del Nord Africa e i bazar levantini offrivano quantità numerose di merci, di ottima qualità. Il movimento economico iniziò a orientarsi totalmente verso i territori dell’Impero islamico, che, intanto, in brevissimo tempo, si era affermato come grande potenza Euroasiatica. I Regni del centro Europa (franchi, longobardi, visigoti...) erano troppo impegnati in complotti e lotte interne per dedicarsi all’attività commerciale. Inoltre si stava consolidando sempre più un’economia rurale, con scambi su brevi distanze.

 

I territori di Damasco si estendevano dalla Persia all’Africa del Nord, inglobando ben presto anche Spagna e Sicilia. Nel 762 la capitale fu trasferita a Baghdad in seguito all’ascesa della dinastia Abbaside. Baghdad era da diverso tempo, ormai, il nuovo crocevia commerciale del Mondo conosciuto, paragonabile al ruolo che un tempo ebbero Roma e Costantinopoli.

 

Fu così che molti armatori e ricchi mercanti d’Occidente, italici soprattutto, ripresero gli scambi a lunga distanza, fino ad allora sporadici.

 

L’influenza araba fu tanto acuta da condizionare anche il Nord Europa vichingo. La Russia meridionale, durante l’VIII secolo, fu occupata da comunità scandinave, che si trovarono tra due aree di civiltà superiore: a Est, al di là del Caspio, si estendeva il Califfato di Baghdad; a Sud, il Mar Nero bagnava le coste dell’Impero bizantino.

 

I mercanti del bacino del Dnepr furono subito sensibili a questa duplice attrazione e gli ebrei, gli arabi e i bizantini, che già frequentavano quelle terre, al momento del loro arrivo gli mostrarono la via da seguire per giungere nei grandi mercati del Sud-Est, mettendo alla prova le qualità d’esplorazione vichinghe.

 

Fu così che i mercanti arabi e scandinavi, partendo dai territori del Sud-Est Europa, iniziarono a risalire i grandi fiumi navigabili, diretti nel Mar Baltico, per approdare nei numerosi Emporia del Nord, come quello di Dorestad, di Ribe, di Hadeby, di Birka. Qui, i mercanti stranieri portavano tessuti pregiati, materie prime, incenso, beni di lusso, vino e spezie. Gran parte di questi prodotti, a loro volta, venivano rivenduti, dai commercianti vichinghi, nei mercati franchi e germani del Sacro Romano Impero.

 

Nel IX secolo si consolidò, nei territori continentali, l’Impero Carolingio, che ebbe sempre più la conformazione di una potenza puramente terrestre. L’Imperatore di Aquisgrana, per importare prodotti orientali e materie prime, di cui aveva vitale bisogno, sfruttava l’attività mercantile dei vichinghi a Nord, e quella dei porti italici a Sud, monitorando così il flusso commerciale del centro Europa.

 

I mercanti bizantini, invece, orientati a una politica commerciale marittima e decisamente più attiva di quella franca, consideravano i loro guadagni troppo importanti per rinunciarvi solo per motivi religiosi o per l’attacco dei pirati. A partire dal IX secolo le città bizantine riallacciarono i rapporti con la maggior parte degli Emirati arabi, trattando accordi commerciali e uno scambio cospicuo di prodotti.

 

I veneziani, in particolar modo, esportavano, verso gli Harem d’Egitto e di Siria, giovani slavi, rapiti o comprati sulla costa dalmata (il traffico di schiavi slavi è paragonabile a quello africano del XVIII secolo voluto da Francia e Inghilterra).

 

Venezia, che assumeva sempre più la conformazione di una repubblica indipendente, si occupava del vettovagliamento di Costantinopoli, la cui popolazione era di circa un milione di abitanti. I suoi mercanti, oltre a giovani schiavi, per aumentare il proprio prestigio e la propria area d’influenza, iniziarono a stringere rapporti di scambio con molti centri musulmani, offrendo un approvvigionamento di alta qualità con l’esportazione di grano, olio e vino. In cambio le fabbriche saracene garantivano una costante fornitura di sete e spezie, prima fra tutte lo zafferano, del quale le cucine Occidentali non potevano fare a meno.

 

Le lotte di conquista mosse dall’Impero Arabo, nel IX secolo, continuarono. Padroni dell’Africa, gli Arabi si accanirono nella conquista della Sicilia, dove il loro dominio fu totale solo dopo la presa di Siracusa nel 878. I loro insediamenti, che ripopolarono le alture, diedero un nuovo assetto territoriale e agricolo all’Isola.

 

Gli agronomi arabi, consci del potenziale agricolo che la Sicilia offriva, si impegnarono nel perfezionare i sistemi d’irrigazione e nel introdurre nuove colture, come gli agrumi. Furono, inoltre, incrementate le coltivazioni destinate sia all’alimentazione umana, sia all’industria tessile (di cotone, seta e piante tintorie). Nelle città si formarono grandi quartieri artigianali specializzati, i cui prodotti furono richiesti in tutto l’Impero islamico, oltre che nei territori longobardi e bizantini del sud Italia.

 

In concomitanza con la conquista della Sicilia arrivò anche quella della Penisola Iberica, con la formazione di Emirati indipendenti.

 

Il Mediterraneo era ormai controllato del tutto dagli Emiri, che tendevano sempre più a svincolarsi dal rapporto di sudditanza verso il Califfo di Baghdad. Costantinopoli e i Regni di Germania, Francia e Italia, riuscirono solo ad arginare l’attacco islamico, che si poneva come una continua minaccia al loro potere e territorio. Il Papato e i sovrani cristiani poterono tirare un sospiro di sollievo solo nel X secolo, quando giunse dal Nord un nuovo popolo di guerrieri, che poco alla volta riconquistò i territori cristiani d’Europa: i Normanni.

  

L’arrivo dei Normanni, tuttavia, fece continuare per secoli le lotte tra le due fazioni religiose, ma sotto lo strato di tensione, che forse era il più apparente, ce n’era un altro più sottile e nascosto, di unione e scambio culturale. Nonostante gli scontri e, in seguito, le crociate, il flusso commerciale, tra arabi e cristiani, continuò a intensificarsi sempre più.

 

Avere rapporti commerciali, nel Medioevo, non significava solo comprare e vendere prodotti, ma anche scambiarsi notizie e costumi, ampliare il proprio orizzonte di pensiero e apprendere tecniche prima sconosciute. Commerciare significava migliorarsi.

 

Questo fu uno dei motivi che portò Federico II a raccogliere attorno a se molti eruditi arabi ed ebrei, di terre lontane, che resero la sua corte unica nella storia.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

G. Vitolo, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano 2000.

H. Pirenne, (a cura di Maurizio Grasso), Storia economica e sociale del Medioevo, Newton, Roma 2012.

S.Gelichi, Introduzione all’archeologia medievale, Carocci, Roma 1997.



 

 

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