N. 44 - Agosto 2011
(LXXV)
Pisa e l’Arno
Storia e geografia di un antico sistema portuale
di Salvina Pizzuoli
Come
tutte
le
città
fluviali
Pisa
deve
molto
al
suo
fiume.
Gli
deve
sicuramente
la
sua
posizione
strategica
tra
mare,
specchi
lagunari
e
corsi
d’acqua
che
alle
origini
l’ha
caratterizzata
rendendo
il
sito
particolarmente
favorevole
agli
insediamenti
e
agli
attracchi
protetti.
Al
fiume
e al
suo
delta
deve
la
propria
affermazione
sia
come
porto
romano
di
primaria
importanza
per
i
traffici
e
per
il
controllo
delle
acque
del
Tirreno
settentrionale
sia
come
repubblica
marinara.
All’opera
di
quello
stesso
fiume
deve
in
parte
anche
la
decadenza
perché
con
i
detriti
e le
continue
esondazioni
ne
ha
trasformato
costantemente
il
litorale,
allontanandola
dal
mare,
colmando
le
lagune,
interrando
i
suoi
ancoraggi.
Non
ultima,
ma
solo
in
ordine
di
tempo,
gli
deve
memoria
tangibile
di
quella
grande
potenza
navale
conservandone
i
relitti
tra
le
sue
sabbie
e
nei
suoi
umidi
fondali.
All’inizio,
dove
le
acque
dell’Arno
e
del
mare
si
mischiavano
e si
confondevano
tra
le
lagune
costiere
e i
rami
del
delta
ricoperti
di
fitte
foreste
e
punteggiati
da
isole
lacustri,
si
erano
sviluppati
piccoli
centri
abitati
da
pescatori
etruschi.
E’
in
questo
paesaggio
lagunare
che
i
Romani
fonderanno
Pisa,
la
prima
tra
le
nuove
città
nella
valle
dell’Arno,
vicina
al
mare
e
alla
confluenza
dell’Arno
con
il
ramo
principale
del
Serchio.
La
sua
ubicazione
era
peculiare
per
l’ancoraggio
delle
navi
mercantili,
ma
soprattutto
da
guerra.
Roma
infatti
pensava
di
utilizzare
la
felice
posizione
della
città
come
base
per
l’espansione
verso
nord
e
verso
il
Mediterraneo
occidentale.
Sebbene
non
ne
resti
traccia
visibile,
gli
storici
concordano
che
la
città
romana
di
Pisa
fosse
situata
sulla
sponda
destra
del
fiume.
La
città
sorgeva
a
cavallo
di
due
lagune
in
una
zona
già
occupata
dagli
ancoraggi
etruschi;
la
posizione
era
privilegiata
non
solo
per
la
possibilità
di
vari
approdi,
ma
anche
per
la
vicinanza
alla
via
Aurelia:
Pisa
poté
espandersi
velocemente
grazie
all’attività
commerciale
e
cantieristica
e
diventare,
intorno
al
193
a.C.,
un
nucleo
fortificato
posto
sulla
riva
destra
dell’Arno,
protetto
a
nord
e ad
ovest
dal
fiume
Serchio,
Auser
per
i
Romani,
non
lontana
dal
punto
di
confluenza
dei
due
corsi
d’acqua
che
allora
confluivano
prima
che
l’Arno
si
immettesse
nel
Tirreno.
La
geografia
di
un
territorio
si
intreccia
sempre
con
la
storia
delle
popolazioni
che
in
esso
si
sono
insediate,
ne
plasma
il
carattere,
ne
indirizza
le
abilità
e le
scelte,
in
qualche
modo
possiamo
dire
che
ne
influenzi
la
storia
e la
cultura;
così
Pisa,
nata
sulle
acque,
in
un’area
che
assomigliava
alla
laguna
di
Venezia,
ricoperta
di
fitte
foreste,
non
poteva
che
sviluppare
la
vocazione
a
navigare.
La
città
nasceva
in
un
paesaggio
diverso
da
quello
odierno:
Pisa
oggi
è
lontana
dal
litorale
perché
il
profilo
costiero,
in
origine
tanto
arretrato
che
il
mare
arrivava
a
lambire
le
Alpi
Apuane,
si è
protratto
ad
opera
dei
detriti
depositati
dai
fiumi;
l’Arno
e il
Serchio
oggi
non
confluiscono
perché
la
forza
delle
alluvioni
e i
materiali
alluvionali
accumulati
hanno
determinato
la
separazione
e lo
spostamento
verso
nord
del
corso
dell’antico
Auser
e
delle
sue
ramificazioni.
Sono
proprio
le
costanti
trasformazioni
della
geografia
del
delta
a
rendere
complicato
il
lavoro
degli
storici
che
ancora
oggi
non
sono
sempre
concordi
e
certi
della
configurazione
geografica
del
territorio
e
della
collocazione
in
età
antica
degli
attracchi
della
città
lungo
il
litorale.
Il
sistema
portuale
pisano
si
configurava
presumibilmente
come
un
insieme
di
semplici
attracchi,
moli,
lingue
di
terra
su
cui
tirare
in
secca
le
imbarcazioni,
lungo
le
vie
d’acqua
navigabili;
un
unico
grande
sistema
portuale
che
sfruttava
una
fitta
rete
di
canali
in
comunicazione
con
i
diversi
rami
dei
fiumi
che
si
riversavano
a
ventaglio
in
quella
che
oggi
è la
piana
alluvionale
di
Pisa;
una
complessa
struttura
quindi
non
solo
fluviale
e
marittima,
ma
anche
lagunare
per
la
presenza
di
sottili
lingue
di
terra
che
delimitavano
ampi
specchi
d’acqua
salmastra.
Dalle
antiche
fonti
e
dai
ritrovamenti
archeologici
è
giunta
notizia
di
tre
possibili
scali
portuali:
il
porto
delle
Conche,
l’attracco
di
San
Piero
a
Grado
e il
Portus
Pisanus.
Del
primo,
esistito
in
epoca
antichissima,
non
resta
alcuna
traccia;
ce
ne
fornisce
alcune
notizie
lo
storico
pisano
Raffaello
Roncioni
che
nel
XVI
secolo
lo
colloca
a
circa
due
miglia
da
Pisa;
altri
lo
collocano
invece
come
approdo
fluviale-urbano
sul
braccio
interno
di
un
fiume,
forse
il
Serchio
o
uno
dei
vari
rami
dell’Arno
stesso,
oppure
lo
considerano
uno
scalo
nella
laguna
a
nord
della
città;
i
ritrovamenti
di
antiche
navi
e
imbarcazioni
nella
zona
ferroviaria
di
Pisa-San
Rossore
potranno
sostenere
o
declinare
le
varie
ipotesi;
essi
rappresentano
la
testimonianza
tangibile
della
grandezza
del
sistema
portuale
pisano;
oggi,
a
circa
500
metri
in
linea
d'aria
dalla
Torre,
sono
un
ritrovamento
senza
precedenti
nella
storia
dell'archeologia
navale:
un
approdo
sul
braccio
interno
di
un
fiume
che,
in
base
alla
datazione
dei
reperti
rinvenuti,
si
colloca
tra
l’epoca
etrusca
e il
400
dopo
Cristo.
Una
flotta
variegata,
per
misure,
tipo
di
scafo
e
utilizzo,
di
almeno
una
trentina
di
imbarcazioni,
di
cui
otto
quelle
principali,
più
o
meno
integre,
spesso
una
sopra
l'altra;
i
relitti,
hanno
la
particolarità
di
avere
gli
scafi
con
il
legno
in
uno
stato
eccezionale
di
conservazione.
Si
deve
infatti
alle
particolari
condizioni
di
umidità,
limo
e
sabbie
che
hanno
sigillato
i
reperti;
da
molti
il
sito
è
stato
infatti
ribattezzato
la
Pompei
del
mare
per
l’
eccezionalità
dei
ritrovamenti.
Dell’approdo
di
San
Piero
a
Grado
ci
dà
notizia
Strabone;
lo
scalo
si
trovava
in
prossimità
della
foce
dell’Arno,
oggi
identificato
nell’area
intorno
alla
basilica
di
San
Piero
a
Grado,
a
circa
4
miglia
dalla
città;
il
toponimo
si
lega
all’etimo
latino
gradus
che
significa
appunto
gradino,
ma
può
essere
letto
anche
nel
significato
di
attracco;
un'altra
ipotesi
vede
invece
il
porto
di
Grado
come
principale
attracco
fino
al I
secolo
d.C.
quando,
insabbiatosi,
fu
sostituito
da
Triturrita
nei
pressi
del
Portus
Pisanus
che
compare
nelle
fonti
risalenti
all’età
imperiale.
Tito
Livio
ci
racconta
che
accoglieva
adeguatamente
le
triremi
romane,
e
costituì
per
un
lungo
periodo
il
rifugio
più
sicuro
lungo
le
rotte
del
Tirreno
settentrionale
e fu
forse
il
maggior
porto
fin
dall’età
etrusca.
Era
posto
probabilmente
a
nord
di
Livorno
ed
era
collegato
con
una
fitta
rete
viaria
ai
centri
minori
e
alla
città
stessa;
a
nord
e a
nord-est
del
promontorio
livornese
gli
storici
indicano
la
presenza
di
una
laguna
che
comunicava
con
il
mare
attraverso
un
canale
navigabile,
attrezzato
per
il
transito
delle
imbarcazioni,
dove
probabilmente
approdò
nel
415
d.C.
Rutilio
Namaziano,
un
aristocratico
originario
della
Gallia
nel
suo
diario
di
bordo
Itinerarium
de
reditu
suo
(Il
ritorno)
da
Roma
verso
la
Gallia,
racconta
che
la
sua
imbarcazione
giunse
ad
una
villa
chiamata
Triturrita
e la
descrive
come
una
lussuosa
dimora
protesa
sul
mare
ed
eretta
su
un
molo
artificiale
a
sud
del
bacino
del
Porto
Pisano;
Namaziano
descrive
un
fondale
ricco
di
posidonie
cui
“nel
fondo
si
cela
fitta
l’alga
e vi
s’intreccia,
ma
leggera
urta
la
nave
e
non
ne
impedisce
il
corso,
ma
non
lascia
che
i
flutti
flagellino
le
sponde”.
La
zona
del
basso
corso
dell’Arno
aveva
subito
nel
tempo
trasformazioni
non
solo
geografiche
ad
opera
dei
fiumi
e
delle
acque
marine,
ma
anche
a
causa
della
crisi
e
successiva
caduta
dell’impero
romano
d’occidente;
Rutilio
Namaziano
fornisce
un
quadro
abbastanza
dettagliato
della
situazione
viaria
del
periodo.
Il
viaggio
si
colloca
tra
il
415
e il
417
su
una
cymba,
un’imbarcazione
adatta
sia
alla
navigazione
fluviale
che
al
cabotaggio.
Namaziano
fa
presente
che
il
viaggio
per
mare
è
preferibile
in
quanto
l’Aurelia
non
è
praticabile
per
i
ponti
pericolanti
e i
fiumi
usciti
dagli
argini
e le
stazioni
di
posta
distrutte
dai
Goti.
Viaggia
quindi
sottocosta
e
approda
a
Baratti;
raggiunge
Vada
Volterrana
(vadis
conserva
nell’etimo
il
significato
di
secca
che
corre
parallela
alla
costa)
e
successivamente
Triturrita,
contigua
al
porto
romano
di
Pisa
Contiguum
stupui
portum,
quem
fama
frequentat/
Pisarum
emporio
divitiisque
maris
(Contiguo
ad
esso
ecco
ne
appar
stupendo
meraviglioso
porto,
cui
la
fama
celebra
emporio
e
fonte
di
marine
dovizie
a
Pisa;
la
traduzione
è di
Arturo
Trinch
e
risale
al
1895;
l’autore
cerca
di
rendere
la
musicalità
del
verso
antico;
difficile
opera
di
chi
traduce
poesia).
Dopo
la
caduta
dell’impero
romano
d’occidente,
la
situazione
viaria
nella
valle
dell’Arno
peggiorerà
ulteriormente:
le
pianure
erano
state
abbandonate
perché
più
esposte
alle
incursioni
e
meno
protette;
i
terreni
coltivati
si
erano
quindi
ridotti
permettendo
alle
acque
di
riprendere
il
loro
percorso
primitivo
non
più
irreggimentato
dal
lavoro
dell’uomo.
Lungo
le
coste
le
paludi
si
erano
nuovamente
ampliate
e la
stessa
cosa
era
accaduta
nelle
depressioni
della
vallata
a
nord
del
fiume.
Il
delta
si
era
prolungato
e la
linea
di
costa
si
era
modificata
e
ampliata
verso
ovest
per
cui
le
lagune
che
circondavano
Pisa
al
tempo
della
fondazione
da
parte
dei
Romani
erano
in
gran
parte
interrate
e
insieme
a
loro
gli
antichi
scali.
Se
gli
approdi
di
Pisa
etrusco-romana
lasciano
spazio
a
dubbi
e
interpretazioni,
nel
medioevo
invece
il
Portus
Pisanus
divenne
il
maggior
porto
della
Repubblica
marinara
toscana;
lì
attraccavano
e
partivano
navi
che
stabilivano
commerci
con
tutto
il
Mediterraneo.
Pisa
era
una
città
fluviale
con
il
porto
situato
a 16
miglia;
un
porto
vero
e
proprio
con
molo
e
pontili,
munito
da
torri,
catene
e
dal
castello
di
Livorno,
sul
promontorio
roccioso;
le
merci
quindi
giungevano
a
Pisa
trasbordate
dalle
navi
da
carico
su
imbarcazioni
minori,
per
poi
venire
consegnate
e
distribuite
lungo
una
rete
capillare
di
fiumi
e
canali
navigabili,
laghi
e
lagune
in
comunicazione
tra
loro
con
vari
approdi
sia
lungo
il
fiume
principale,
l’Arno,
sia
sull’Auser
e i
loro
rami
secondari
e i
loro
percorsi
tortuosi,
a
meandri;
il
lago
di
Massaciuccoli
era
unito
all’attuale
Serchio
da
canali
navigabili
e
anche
il
lago
di
Bientina;
Lucca
era
pertanto
raggiungibile
per
via
d'acqua.
Il
porto
rappresentava
una
notevole
fonte
di
ricchezza
per
la
città
che
lo
protesse
fortificandolo,
anche
perchè
non
gliene
mancavano
i
mezzi;
così
nel
1156
venne
avviata
una
prima
fase
di
fortificazione
con
la
costruzione
di
una
torre,
proseguita
l'anno
successivo
con
la
dotazione
di
altre
due
torri
nel
Portus
Magnalis,
come
si
chiamava
la
parte
meridionale
del
Porto
Pisano.
Ce
ne
dà
un
bella
descrizione
l’Itinerarium
Syriacum
di
F.
Petrarca
del
1358
quando
scrive
che
lo
scalo
era
artificiale
e
quasi
attaccato
a
Livorno
che
con
la
sua
torre
indicava
la
strada
giusta
ai
naviganti;
volgendo
lo
sguardo
a
destra
era
possibile
vedere
una
piccola
torre
in
mezzo
al
mare,
chiamata
Meloria,
nome
infausto
per
i
Pisani
in
quanto
ricordava
loro
una
battaglia
che
aveva
segnato
la
loro
disfatta.
L'accesso
al
porto
era
protetto
e
chiuso
per
maggiore
sicurezza
con
una
grossa
catena
tesa
tra
due
torri
poste
ai
lati
dell’imbocco.
Un
lavoro
accurato
e
costante
di
manutenzione
ne
garantiva
al
meglio
l’accesso
e
l’attracco;
i
Pisani
infatti,
memori
dei
pericoli
di
insabbiamento
cui
il
sito
andava
incontro
per
la
natura
del
territorio,
fecero
scavare
alcuni
canali
per
regolarizzare
e
deviare
i
corsi
d'acqua
che
avrebbero
potuto,
riversandosi
nella
rada,
favorirne
l'interramento.
Il
XII
secolo
rappresenta
la
vera
fioritura
della
città.
Porto
Pisano
assume
una
nuova
grande
importanza
sia
come
scalo
commerciale
sia
come
tappa
per
viaggiatori
e
pellegrini
diretti
a
Roma,
a
Gerusalemme,
verso
la
Francia
meridionale
e
Santiago
di
Compostella.
La
città
aveva
mercati
fiorenti,
una
campagna
florida
la
circondava
con
terre
fertili
e
abbondanza
di
acque
ed
era
splendida
nei
suoi
monumenti;
la
sua
potenza
faceva
paura
per
le
gesta
compiute,
il
fiume
era
una
grande
via
di
comunicazione
e le
sue
sponde
erano
piene
di
mulini.
Sono
le
regole
legate
ai
mestieri,
contenute
negli
statuti
della
città,
risalenti
al
XII
e
XIV
secolo,
che
ci
permettono
di
comprendere
quanto
fosse
sviluppata,
ampia
e
fiorente
ogni
sorta
di
occupazione
connessa
con
il
trasporto
delle
merci,
tanto
da
dover
essere
regolamentata
da
leggi
che
disciplinassero
tutte
le
attività
legate
alla
navigazione
sia
fluviale
che
marittima.
Negli
antichi
atti
compaiono
elencate
le
mansioni
dei
barchaiuoli,
piactaiuoli,
schafaiuoli,
nighieri,
conductori
,
regolandone
l’operato.
La
rivalità
con
altre
potenze
navali
del
Mediterraneo,
soprattutto
Genova,
determinò
scontri
e
battaglie
non
sempre
vittoriose
che
spinsero
i
vincitori
a
colpire
la
rivale
nelle
strutture
che
ne
garantivano
la
potenza.
A
seguito
infatti
delle
dure
condizioni
di
pace
imposte
dopo
la
battaglia
della
Meloria
del
1284
alla
Repubblica
marinara
di
Pisa
e
non
rispettate
dai
Pisani,
i
Genovesi
nel
1290
attaccarono
il
Porto
Pisano
distruggendolo:
furono
abbattute
le
torri
esistenti
e
per
renderne
impraticabile
l’accesso
vi
fecero
affondare
una
nave
colma
di
materiali
da
costruzione
con
l'intenzione
di
interrarne
l'ingresso;
ma
nulla
spaventava
i
Pisani
che
avevano
affrontato
nella
loro
storia
tante
battaglie,
non
ultima
quella
con
un
fiume
che
ne
disfaceva
le
strutture
con
le
sue
terribili
piene;
queste
abilità
li
avevano
resi
fieri
e
orgogliosi;
essi
infatti
ricostruirono
il
Porto
Pisano.
La
disfatta
della
Meloria
comunque
segnò
la
definitiva
supremazia
tirrenica
di
Genova
e il
lento
declino
di
Pisa
perdurato
per
tutto
il
Trecento
e
interrotto
solo
da
brevi
momenti
di
ripresa.
La
manutenzione
dello
scalo
che
era
stata
una
funzione
importante,
divenne
sempre
meno
regolare,
anche
a
causa
delle
ripetute
e
periodiche
distruzioni
da
parte
dei
vari
eserciti
invasori.
Lento
e
inesorabile
fu
quindi
l’interramento
dei
canali
d'accesso
che
lo
resero
scarsamente
utilizzabile;
questa
condizione
di
inalienabile
declino
fece
sì
che
nel
tempo
lo
scalo
di
Livorno
acquistasse
sempre
maggiore
importanza.
Se
questo
non
fosse
bastato,
per
Pisa
si
profilava
all’orizzonte
un
pericolo
maggiore
che
in
questo
periodo
storico
proveniva
dalla
politica
espansionistica
di
Firenze.
Le
nuove
mire
territoriali
spingevano
la
città
a
lotte
di
conquista
che
l’avevano
portata
a
sottomettere
Pistoia
nel
1331
e
Arezzo
nel
1380;
dopo
la
vittoria
su
Volterra
e
San
Miniato
nel
1370,
il
pericolo
si
faceva
quindi
pericolosamente
vicino:
Pisa
e il
suo
territorio
erano
ormai
seriamente
minacciati
dalla
conquista
da
parte
di
Firenze
che
avverrà
nel
1406.
Al
posto
di
Porto
Pisano
si
creò
lentamente
un
vasto
stagno
circondato
da
acquitrini
e
paludi
litoranee;
la
natura
aveva
trionfato
sull’incuria
umana
quando
Firenze
potè
nel
1421
acquistare
in
compra…
Porto
Pisano,
sembra
però
che
più
non
fosse
provveduto
ai
necessarii
spurghi,
subitochè
Giovanni
da
Uzzano,
scandagliandone
il
fondo,
non
vi
trovò
nel
1442
che
cinque
passi
d’acqua;
quindi
non
può
recar
meraviglia,
se
un
secolo
dopo
più
non
vi
approdavano
che
piccole
barchette.
Fu
allora
quel
Porto
abbandonato,
e
divenne
un
lido
deserto…
Alla
caduta
della
fiorentina
Repubblica
ormai
si
svolgevano
nel
seno
palustre
di
Porto
Pisano
germi
micidiali
di
aere
mefitico,
prodotti
dalla
promiscuanza
delle
acque
dolci
colle
saline
(A.
Zuccagni
Orlandini
Da
ricerche
statistiche
del
granducato
di
toscana
1850
);fu
prosciugato
e
bonificato
solo
nel
corso
del
XIX
secolo.