N. 88 - Aprile 2015
(CXIX)
Armin Theophil Wegner
il poeta eroe della giusta causa
di Gaetano Cellura
Si
sono
amati,
sposati,
hanno
avuto
una
figlia
e
poi
si
sono
separati.
La
Germania
nazista
era
diventata
un
paese
ostile
per
loro.
E
allora
lei
con
i
tre
figli
–
due
li
aveva
avuti
dal
precedente
matrimonio
con
il
filosofo
socialista
Siegfried
Marck
–
emigra
in
Palestina
mentre
lui
sceglie
l’Italia,
prima
Roma
e
poi
Positano
e
Stromboli.
Lola
Landau
e
Armin
Theophil
Wegner
si
erano
conosciuti
a
Breslau
e li
univa,
oltre
all’amore,
il
comune
interesse
per
la
poesia
e
l’impegno
pacifista.
Insieme
scrissero
e
pubblicarono
opere
teatrali.
Insieme
provarono
a
opporsi
alle
leggi
e
alle
persecuzioni
razziali.
Lei
era
ebrea.
Lui
un
tedesco
di
ottima
famiglia,
figlio
di
Gustav
Wegner
e di
Marie
Witt
dalla
quale
aveva
ereditato
tutta
la
sensibilità
ai
valori
della
pace
e
dei
diritti
umani.
Armin
Wegner
fece
subito
parlare
di
sé.
Aveva
partecipato
alla
Prima
guerra
mondiale
come
infermiere
della
Croce
Rossa
ed
era
rimasto
inorridito
dal
genocidio
degli
armeni
compiuto
dall’Impero
Ottomano.
Quello
denunciato
da
Papa
Francesco
nei
giorni
scorsi
come
il
primo
dei
tre
stermini
di
massa
del
secolo
scorso.
“E
come
posso
io
continuare
a
vivere
e a
respirare
dopo
quello
che
ho
visto?”
scriveva
alla
madre
da
Bagdad
nel
marzo
del
1916.
Un’infinità
di
morti
lo
circondava.
Occhi
di
cristiani
sterminati
che
parevano
guardarlo
dall’abisso.
Guardare
proprio
lui,
testimone
di
quella
terribile
pulizia
etnica.
Occhi
di
bambini
ischeletriti
e
morti
di
fame
sotto
le
mura
di
Aleppo.
Villaggi
e
chiese
bruciate
o
trasformate
in
moschee.
Bestiame
rubato
ai
proprietari
in
un
vortice
di
sangue
e di
ferocia.
Ragazze
orfane
violentate;
vescovi,
sacerdoti
e
uomini
anziani
eliminati
senza
pietà.
Con
tutt’altro
animo
il
giovane
Wegner
era
partito
per
la
guerra.
Con
l’animo
di
stare
al
fianco
dei
soldati
tedeschi
alleati
dei
turchi
contro
l’Impero
Russo.
Non
sapeva
di
dover
essere
invece
testimone
di
uno
sterminio
che
il
governo
turco,
cent’anni
dopo
e
replicando
duramente
alle
parole
del
Papa,
ancora
nega.
Fotografa
tutto
Armin.
Fotografa
e
nasconde
sotto
la
cintola
a
rischio
della
vita
le
immagini
dell’orrore
che
il
mondo
doveva
ignorare.
E
quando
torna
in
Germania,
colpito
dal
silenzio
del
suo
paese
e
dal
silenzio
dei
cristiani
al
corrente
dello
sterminio
armeno,
scrive
una
pubblica
lettera
al
presidente
americano
Wilson.
“Salvi
lei,
–
gli
dice
–
salvi
lei
l’onore
dell’Europa”.
Per
punirlo
della
sua
attività
umanitaria,
che
dispiaceva
all’alleato
turco,
la
Germania
lo
spedisce
in
Mesopotamia:
e lì
oltre,
a
scattare
foto,
riempie
i
suoi
taccuini
di
suppliche
delle
vittime
delle
atrocità
inviate
ai
consolati,
di
testimonianze,
delle
sofferenze
degli
ammalati
di
colera
nelle
baracche.
Anche
lui
contrae
la
malattia
prima
di
essere
rimandato
in
Germania
alla
fine
del
1916.
Lo
scrittore
Armin,
l’infermiere
intellettuale
aveva
fatto
abbastanza
danni
al
fronte.
I
suoi
taccuini
e le
lettere
raccolte
del
dolore
armeno
inascoltato
diventano
un
libro
nel
1919.
A
Berlino
pubblica
La
via
senza
ritorno.
Armin
era
fedele
ai
valori
della
sua
anima
e
aveva
trovato
in
Lola
Landau,
sin
da
bambina
educata
agli
ideali
liberali,
una
vera
compagna
di
vita
con
cui
condividere
tutto.
Anche
l’angoscia
per
il
loro
paese,
che
andava
cambiando.
Cambiando
in
peggio.
E al
peggio
si
sa
non
c’è
limite.
Hitler
sale
al
potere
e
inizia
la
sua
serrata
contro
gli
ebrei.
È
lui
l’altro
grande
della
terra
cui
Armin
scrive,
osa
scrivere:
“Lei
è
mal
consigliato
–
gli
dice.
– Se
la
Germania
è
grande
nel
mondo,
alla
sua
grandezza
hanno
contribuito
pure
gli
ebrei”.
Lo
scrittore
Wegner
Theophil
Wanger,
cui
certo
non
faceva
difetto
il
coraggio,
paga
caramente
queste
sue
parole.
Paga
caramente
la
sua
autonomia
di
pensiero,
la
sua
libertà.
Viene
arrestato,
pestato,
frustato
a
sangue,
deportato
nel
lager
di
Oranienburg,
i
suoi
libri
bruciati,
costretto
dopo
tutte
le
torture
e le
umiliazioni
subite
a
lasciare
la
Germania.
La
moglie
lo
segue
in
Inghilterra,
ma
le
loro
strade
si
dividono
quando
Armin
sceglie
l’Italia
come
paese
in
cui
vivere.
Lei
ritiene
sia
la
Palestina
la
sua
nuova
patria.
Lì
fa i
lavori
più
umili
per
campare
la
vita
e la
famiglia.
Ma
continua
a
scrivere
–
poesie,
drammi,
saggi,
articoli
– e
a
sostenere
la
causa
sionista.
Racconterà
tutto
nella
sua
autobiografia
pubblicata
nel
1987.
Il
marito
era
morto
otto
anni
prima
a
Roma.
Lei
aveva
provato
a
ricomporre
la
famiglia.
Ma
lui
in
Italia
amava
un’altra
donna,
Irene
Kowaliska.
Era
un’artista
polacca.
La
Germania,
dove
non
volle
più
tornare,
nemmeno
quando
fu
Willy
Brandt
a
chiederglielo,
aveva
tradito
i
suoi
ideali,
l’aveva
privato
della
sua
identità
di
scrittore
in
cerca
della
verità
rendendolo
un
esule
perennemente
inquieto.
Nonostante
tutto
continuò
ad
amare
sempre
il
suo
paese.
Le
ceneri
di
Armin
Wegner
sono
state
trasferite
nel
Muro
della
Memoria
di
Yaravan,
capitale
dell’Armenia,
dove
si
trovano
dal
1996.
Il
posto
riservato
ai
Giusti
che
hanno
testimoniato
il
genocidio
di
un
popolo.
Ogni
anno,
il
24
aprile,
a
Yaravan
di
quel
genocidio
vengono
ricordate
le
vittime
seppellite
sulla
Collina
delle
Rondini.
Le
vittime
e i
Giusti
che
provarono
ad
aiutarle.