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filosofia & religione


N. 58 - Ottobre 2012 (LXXXIX)

Martin Heidegger e Hannah Arendt
un amore impossibile, tra grandi filosofi

di Dalia Fortini

 

Aveva diciotto anni Hannah Arendt quando partì per frequentare l’università di Malburgo, passioni e grandi speranze per il proprio futuro; aveva circa il doppio dei suoi anni Martin Heidegger il giorno in cui si innamorò perdutamente di lei durante un seminario tenuto da lui sul Sofista di Platone.

 

Due grandi pensatori, due personalità indispensabili nel panorama della filosofia contemporanea, che si lasciarono governare tra alti e bassi da un amore fatto di avvicinamenti e allontanamenti, continui problemi e sfide: la moglie di Heidegger, la seconda guerra mondiale, la vita coniugale della Arendt.

 

Cosa stregò l’uomo nel filosofo? E cosa la giovane ragazza che aveva già sentito parlare del carismatico insegnante? Disse la Arendt ormai anziana in uno dei suoi scritti, sulla sua gioventù: «La voce che girava diceva semplicemente: il pensiero è tornato a diventare vivo […] C’è un maestro, col quale si può forse imparare a pensare».

 

E probabilmente proprio questo irretì la ragazza quando di trovò a guardare il suo professore fare lezione lì all’università di Malburgo, dove Heidegger ottenne la cattedra, e proprio lui ricorderà poi nel 1950 lo sguardo che gli lanciò la Arendt, uno sguardo che solo gli innamorati possono lanciarsi. Qualcuno dice che fu colpo di fulmine.

 

Heidegger nel maggio del 1917 si era unito in matrimonio a Elfride Petri, prima con un rito cattolico, poi protestante. Elfride lo tradì in seguito e da una sua relazione extraconiugale nel 1920 nacque il secondo figlio di lei; con Heidegger aveva avuto il primo.

 

Nel 1924 timidamente la Arendt cercò il contatto con il suo professore a un ricevimento per studenti. E alla fine del semestre dell’anno Heidegger le fece arrivare una missiva: «Cara signorina Arendt! Questa sera devo tornare a farmi vivo con lei e a parlare al suo cuore. […] Io non potrò averla per me, ma lei apparterrà d’ora in poi alla mia vita, ed essa ne trarrà nuova linfa».

 

La moglie di Heidegger soffriva terribilmente per le attenzioni che suo marito riservava alle giovani studentesse, in particolare Hannah, che stregava con il suo fascino e la sua intelligenza suo marito. Fino al 1925 il filosofo tentò di frenare la catastrofe, entrambi infatti erano consapevoli che una relazione tra loro non doveva assolutamente iniziare. Era infatti distrutto quando scrisse: «Cara Hannah, il diavolo mi ha preso. […] Non mi era mai successa una cosa del genere».

 

E così iniziarono i primi incontri clandestini e ben nascosti, a colleghi e amici. La passione esplose, ma a lungo andare la Arendt rimase delusa dal suo professore, che non accennava a voler cambiare la situazione.

 

Era insopportabile per lei l’amore clandestino e le pesava non poterlo vivere senza paura. Così lo mise alle strette chiedendogli di rendere pubblica la loro relazione, ma lui non lo fece, e lei ebbe il coraggio di rompere la relazione.

 

Non gli lasciò il suo indirizzo e si trasferì a Heidelberg, dove si laureò sul tema dell’amore in Agostino, insieme a Jaspers, altro insigne pensatore. La cercò però nel 1927 e da Jaspers seppe che lei si era fidanzata. E così Heidegger rinunciò a lei. Nello stesso anno venne pubblicata l’opera più famosa di del filosofo, Essere e Tempo, che lo rese famosissimo in ambiente filosofico, con tanto di perplessità del maestro Husserl per il distacco definitivo dal suo pensiero.

 

Quello che successe poi divise i due definitivamente: Hannah Arendt si sposò con un suo amico, Gunther Stern. La madre la voleva sapere felice e sistemata con un uomo di buona famiglia. Scrisse Hannah nel 1928 al suo amore di sempre: «Ti amo come il primo giorno, tu lo sai e io l’ho sempre saputo, anche prima di questo nostro incontro».

 

Ma una più grande sciagura si abbatté su di loro: il nazismo. Hannah era ebrea, Martin tedesco. Il mistero che circonda Heidegger riguardo la sua adesione al nazionalsocialismo è ancora difficile da sbrogliare. C’è chi dice che lui abbia aderito, chi invece no. Di fatto sappiamo che inizialmente Heidegger aveva aderito al pensiero nazionalsocialista e che sperava di diventarne uno dei maggiori esponenti, ma poi qualcosa avvenne che minò le sue convinzioni e lui lasciò definitivamente quella strada pericolosa, o così pare. Nel frattempo la Arendt aveva chiesto il divorzio da suo marito: non l’aveva mai amato.

 

Scappò via insieme a sua madre, cercando la salvezza, e la trovò negli Stati Uniti d’America. «Siamo salvi» informava l’ex marito da Los Angeles nel 1941.

 

Ma lei tornò in Germania nel 1949. E ci fu un nuovo incontro con Heidegger. Scrisse in proposito Hannah a una sua amica: «Non si è affatto reso conto che è una storia di venticinque anni fa e che sono diciassette anni che non mi vede». L’incontro avvenne nel 1950; lei gli fece pervenire un biglietto in un albergo di Friburgo con scritto «Sono qui». Temeva il momento in cui si sarebbero rivisti, aveva paura. Heidegger si scapicollò per rivederla, l’aveva sempre voluta: «Quando l’inserviente mi ha annunciato il tuo nome […] era come se il tempo si fosse improvvisamente fermato».

 

La Arendt intervenne persino in sua difesa durante un processo in cui veniva accusato di aver favorito il regime nazista.

 

Ma Heidegger non lasciò mai sua moglie, né lei il suo secondo marito. Elfride comunque ebbe di nuovo paura della donna che un tempo aveva rubato il cuore dell’uomo che amava e non riuscì a consolarsi: Martin viveva un periodo difficile dopo la guerra, relegato, umiliato, solo. E ancora innamorato.

 

Riempì la sua Hannah di poesie e lettere. Prese un componimento a lui molto vicino e lo dedicò a lei: «La lontananza che ti tiene lontana da te stessa, com’è? È montagna di gioia, mare di dolore, il desolato deserto del desiderio, luce aurorale di un avvento».

 

E Hannah come reagiva? Era furiosa con l’uomo che le aveva insegnato ad amare. Scrisse infatti al suo secondo marito, Heinrich Blucher: «Stamattina c’è stato poi anche uno scontro con sua moglie: è da venticinque anni […] che gli rende la vita impossibile. E lui […] non ha evidentemente mai […] negato che questa nostra era stata la passione della sua vita».

 

Il nuovo marito era un confidente per la Arendt, non avrebbe saputo cosa fare senza di lui, anche se Blucher era anche esso coinvolto in una relazione amorosa con un’altra donna, ma sua moglie non ne sapeva niente, per lei lui era un punto di riferimento.

 

Rimane scolpita nella storia la mancanza di dedica dell’opera della Arendt, pubblicata nel 1960 in Germania con il titolo Vita Activa o Della vita attiva. In realtà specificò in una lettera a Heidegger che se le cose fossero state diverse l’avrebbe dedicata a lui e su quel libro ci sarebbe scritto il suo nome. «Ho rinunciato alla dedica di questo libro. Come potevo dedicarlo a te, mio intimo, a cui sono e non sono rimasta fedele, ma comunque, in entrambi i casi, amandoti».

 

Heidegger intanto aveva una relazione amorosa con una contessa, ed Elfride gli stava alle calcagna chiedendogli i motivi di quell’ennesimo tradimento. Lui la rassicurò dicendole che avrebbe soltanto dato benefici al loro rapporto. Forse in verità Elfride per lui era solo la donna che doveva crescere i suoi figli, mentre le altre tante amanti un modo per risvegliare il suo eros. Aveva sessantacinque anni, ma era sempre più stanco.

 

Tra Hannah e Martin però lo scambio di opinioni non venne mai meno. Da lui tornava una volta all’anno a volte due e insieme discutevano, si confrontavano, si scambiavano doni. Nel 1975 lei scrisse a una sua amica: «Ho visto Heidegger […] è stata una cosa alquanto triste. […] era stanco, ma non è questa la parola giusta; era lontano, irraggiungibile come non mai, come spento. […] Noi due, Elfride e io, abbiamo conversato un po’ e mi è sembrata davvero preoccupata e per niente ostile».

 

La Arendt morì all’improvviso poco dopo e Heidegger soltanto cinque mesi dopo di lei.

 

Così si concluse la loro storia.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Antonia Grunemberg, Hannah Arendt e Martin Heidegger storia di un amore, Longanesi, Milano 2006.

Franco Volpi, Guida a Heidegger, Laterza, Roma 2012.



 

 

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