N. 12 - Maggio 2006
LE AREE PROTETTE
Breve storia della tutela
diretta del territorio
di
Matteo Liberti
Si è visto, ragionando sulle problematiche di
desertificazione della terra e della distruzioni di
alcuni habitats, ma anche parlando di caccia, che la
protezione e la tutela di un area verde può
rappresentare la risposta più radicale ad un
disboscamento eccessivo ed incontrollato.
Il primo paese in cui vennero istituite delle
aree protette furono gli Stati Uniti, che già nei
primi decenni del XIX secolo si mossero con decisione
verso questa prospettiva, mentre in Europa a dare per
prima il buon esempio fu la Russia zarista, dove erano
“vasti e numerosi i domini vincolati e riservati,
per ciò che riguarda la caccia, alla famiglia
imperiale.”
La Germania diede poi il suo decisivo apporto
nel 1907, quando un apposito decreto governativo
stabilì la costituzione di comitati provinciali e
distrettuali retti ognuno da un botanico, uno zoologo,
un geologo, un geografo, un rappresentante del Governo
ed un segretario.
Nel 1908, grazie all’opera dei diciotto
comitati in funzione, i diversi Landtags votarono la
considerevole cifra di 11500 marchi per le spese
annuali indispensabili all’istituzione di parchi e
riserve nuove. L’anno successivo i comitati
diventarono ventinove.
Sull’esempio tedesco si mosse anche l’Austria,
con la Imperiale Società Zoologico-botanica di Vienna
che promosse, nel 1909, l’istituzione di Parchi
Nazionali.
In Danimarca e in Olanda, nel 1905, si
costituirono due analoghe Società per la protezione
dei monumenti naturali mentre in Svezia, già nel
1909, si istituivano i primi Parchi nazionali.
Negli stessi anni anche in Francia, dove fin
dal 1861 esistevano nella foresta di Fontainebleau
delle reserves artistiques, venne dato ordine
di costituire Parchi nazionali e nuove riserve di
caccia.
Ma la nazione in cui il concetto di difesa
della natura e delle “bellezze naturali ha fatto
maggiori progressi è certamente la piccola Svizzera.”
Il movimento iniziò nel 1905 con la formazione di
una Lega per la conservazione della Svizzera
pittoresca. L’anno successivo si unì all’azione
della Lega anche la Società svizzera dei
forestali, votando una somma di duemila lire per
la creazione di riserve forestali e poco dopo la
Société des Sciences Naturelles (la più importante
società scientifica del paese) volle creare una
Commissione svizzera per la conservazione dei
monumenti naturali e preistorici, composta da
quattordici membri tra geologi, botanici, zoologi,
geografi ed archeologi.
La suddetta commissione fu la vera
organizzatrice dei Parchi, che vennero progettati
soprattutto per la regione sud-orientale del paese,
dove “altissime montagne superanti i tremila metri
comprendono tutte le zone biologiche da quella dei
boschi alla nivale. In mezzo a foreste ricchissime,
molto ben conservate, si svolge un paesaggio
eminentemente pittoresco. Vi sono ricche la flora e la
fauna.”
La regione in questione era molto vasta (oltre
200 km quadrati) e ricca di pascoli ed abitazioni che
andavano dallo Scanf a Schuls, ed essendo impossibile
acquistarla tutta, si iniziò con pagare un affitto di
1400 lire all’anno per la parte più grande e
selvaggia: la Val Cluoza. “Ecco dunque istituito il
primo Parco nazionale svizzero! Ecco compiuto il primo
passo del vasto programma!”
Si era nel 1910, e negli anni successivi si
affittarono altri fondi, come le valli di Tantermozza,
di Minger e di Favra, fino ad avere nel cuore delle
Alpi una grandiosa e multiforme riserva, un
“immenso rifugio biologico”.
Vi era però una preoccupazione che già
assillava i promotori svizzeri dell’iniziativa: il
bracconaggio italiano. Furono per ciò inviati due
professori dell’Università di Losanna, E. Wilczek e
Galli-Valerio, al fine di suscitare l’interesse del
Ministero italiano degli interni intorno alla
questione dei parchi.
L’obiettivo fu raggiunto, e lo confermano le
due missive che nel maggio del 1910 l’on. Giolitti,
allora ministro degli interni, scrisse al professor
Galli-Valerio.
Così nell’una: “Approvo pienamente
l’iniziativa dei naturalisti svizzeri per la creazione
di un Parco nazionale […]. Se lei mi indicherà in che
modo si possa favorire e diffondere l’idea fra gli
scienziati italiani, […], non mancherò di
interessarmene.”
E così nell’altra: “Ho vivamente
raccomandato al mio collega di Agricoltura di
secondare nel miglior modo possibile la sua proposta e
mi riservo di darle notizie appena mi sarà possibile.”
Le pratiche per l’istituzione del primo Parco
nazionale italiano erano avviate.
Il luogo ideale fu individuato nella Val di
Livigno (confinante col parco svizzero) e subito fu
mandato un sotto-ispettore forestale con l’incarico di
concretare un atto preliminare di affitto. Secondo
tale preventivo, il prezzo d’affitto che il Ministero
d’agricoltura avrebbe dovuto corrispondere era da
suddividere in 4500 lire per il Comune di Livigno, 100
per quello di Bormio e 35 per quello di Valdidentro.
Ma nulla di tutto ciò accadde mai: alla fine delle
trattative, infatti, non si riuscì nell’intento di
costituire il Parco; seppure fosse innegabile che la
giusta via era stata intrapresa.
Dieci anni più tardi, nel 1920, fu lo stesso re
Vittorio Emanuele III a donare allo Stato italiano i
2.100 ettari della sua riserva di caccia affinché vi
si creasse un Parco nazionale.
Con il Regio Decreto n° 1584 del 3 dicembre
1922 veniva così istituito il Parco Nazionale del Gran
Paradiso: anche l’Italia aveva la sua area protetta.
Pochi giorni dopo, l’11 gennaio 1923 venne legalizzato
anche il Parco nazionale d’Abruzzo. Nel 1935 le valli
che dovevano ospitare il parco di Livigno formarono
invece, insieme ad altre, il Parco nazionale dello
Stelvio.
L’istituzione di questi primi Parchi (che nel
corso del secolo aumenteranno notevolmente di numero)
costituiva un valido presupposto, oltre che per la
conservazione di molte specie, anche per la
necessaria sensibilizzazione del pubblico
intorno alle questioni e alle forme della natura.
Riferimenti bibliografici:
Lino
Vaccari, Per la protezione della fauna italiana,
Tivoli 1912 |