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N. 29 - Maggio 2010 (LX)

l'architettura di Antoni Gaudí
Natura e forma nelle opere del genio catalano

di Roberta Franchi

 

L'esigenza dell'artista di creare un'arte che sia irreale, ma al tempo stesso seria, capace di dare una struttura profonda all’interiorità umana, è riscontrabile in una particolare creazione artistica, quella dell'architetto catalano Antoni Gaudí (1852-1926, con il quale l'architettura cessa di essere funzionale, strumento della scienza, e reclama il diritto di diventare un’architettura fantastica, strumento della metafisica, che possa permettere di accedere al mondo più profondo, all'inconscio, diventando così una violazione solenne di un divieto, quello che impone di non fantasticare e di seguire il principio di realtà.


Nel Park Guell l'inaudita fantasia di Gaudí si dispiega in una molteplicità di invenzioni, formalmente così sconnesse dai tradizionali canoni architettonici da dare la sensazione di penetrare in un ambiente favoloso, dalle continue ed eccitanti sorprese. Come per tutte le opere di Gaudí, per comprendere la sua dimensione fantastica e interiore, anche Park Guell va fisicamente percorso, materialmente toccato, lungamente indagato: è un'esperienza che scandaglia i sentimenti, che coinvolge l'anima e il corpo fino a renderli una cosa sola.

 

Poiché l'architettura di Gaudí scaturisce dalla sua fantasia, essa parte da bisogni interiori, affettivi e deve trovare un linguaggio non usuale, per soddisfare la sua insoddisfazione interiore; ecco allora che nella sua dimensione creativa l'intuito e la fantasia si intrecciano alla ragione, il linguaggio è pregno di una religiosità semplice, di una devozione sacrale per la Natura e di un ardente amore per il suolo natio, il tutto avvolto da un intrigante simbolismo, da un profondo rispetto per la tradizione e soprattutto da esplosioni di novità, fatte di terra e di colore, di teoremi celesti e di pietre viventi.

 

è un mondo ricco, ma anche chiuso perché troppo personale e cifrato per essere direttamente trasmissibile, è un "monologo incomunicativo", che può leggersi da punti di vista i più diametralmente opposti e da livelli culturali e storici diversi, secondo l'interesse e il grado di preparazione. L'accostamento al mondo espressivo di Gaudí può suscitare reazioni diversissime: dall'ammirazione incondizionata, irrazionale e immediata, in quanto egli attinge agli elementi più appariscenti, più magici, più favolosi, si può passare all'incomprensione più assoluta, propria delle correnti razionalistiche, che rifiutano ogni manifestazione irrazionale e fantastica in nome di un rigore logico. Ma perché questa ambiguità di linguaggio?


L'artista, il vero architetto, pensa dapprima all'effetto che intende raggiungere, poi con l'occhio della mente costruisce l'immagine dello spazio che creerà. Questo effetto è la sensazione che lo spazio produce sullo spettatore: può essere di paura o di meraviglia, di timore verso Dio o di rispetto reverenziale per la Creazione Divina, di pietà, di senso di calore o di spensieratezza. Ciò viene raggiunto attraverso il materiale e attraverso la forma. Ogni materiale possiede un linguaggio formale che gli appartiene e nessun materiale può evocare a sé le forme appartenenti ad un altro materiale, perché le forme si sono sviluppate a partire dal materiale e attraverso il materiale.

 

Ecco dunque che partendo da simili considerazioni si può, in parte, comprendere il motivo dell'equivocità gaudiana, in quanto sono compresenti in un solo lavoro materiali diversi, pronti ad evocare forme diverse e quindi sensazioni, impressioni molteplici e disparate.
Ciò è evidente in casa Batlò, la cui facciata è completamente rivestita di un mosaico in pasta vitrea dalle straordinarie qualità pittoriche.

 

Circa duecento dischi di vario diametro, della stessa materia del fondo ma di spessore e colori diversi, costellano la già brillante parete che, nella sua dolce ondulazione, si accende di vibrazioni cangianti, a seconda dell'incidenza della luce, offrendo una molteplicità di impressioni e di sensazioni: dall'abisso marino alla fioritura primaverile fino alla visione cosmica; da Monet a Klimt fino alla più astratta composizione. Le allusioni fossili della copertura si manifestano in una struttura pietrificata nella parte basamentale dell'edificio: uno scheletro esposto rivela oniriche aperture ossee, sorrette da giunture cartilaginee. L'osservatore, quindi, ammirando casa Batlò è in grado di far scaturire dal suo animo emozioni e impressioni varie: dal ritenere i singoli terrazzi delle maschere, che alludono simbolicamente alla morte, può arrivare a concepire la "casa delle ossa" come un castello incantato dove, grazie ai colori usati ma soprattutto alle forme impiegate dall'architetto, mistero e fantasia si connettono attraverso sottilissime trame.

 

Il ricorso gaudiano a forme molteplici (in prevalenza primigenie) avviene per la sua necessità (caratteristica di un personaggio isolato, chiuso esteriormente, ma aperto dentro con un mondo interiore infinito, come di fatto fu Gaudí) di abbandonarsi al sogno, al fantastico, al magico, in maniera infantile, di immedesimarsi col suo sogno, di unirsi in un certo modo al suo oggetto, lasciandosi andare alle forme dell'inconscio, dell'onirico, alle inquiete e sottili equivocità dei mondi sublimali, per dar luogo a un realismo magico, in cui ogni individuo fantasticando ritrova ciò che a lui è più familiare, più congeniale, sconfinando così negli abissi della sua psiche, del suo Io, e mettendo addirittura in dubbio tutto ciò che fino ad allora credeva fosse certo e assoluto.


Certamente ciò è possibile grazie al tipo di spazio che Gaudí intende proporre; si tratta soprattutto di uno spazio in espansione, nel senso che si pone come la risultante di forze compresse, che in ultima analisi sono latenti nel suo animo e che tendono ad esplodere verso l'esterno.

 

Questo tipo di ricerca spaziale in espansione è rappresentato dalla curva iperbolica, la quale dal piano tende a proiettarsi plasticamente nello spazio. La curva iperbolica utilizzata da Gaudí è simbolo di manifestazioni dell'inconscio, della sua vita psichica interiore estremamente complessa, che forse proprio con il suo laborioso lavoro cerca di cogliere l'essenza, la realtà vera del nostro "cosiddetto io", che si perde, si eclissa fino a frantumarsi. Infatti, la curva di Gaudí cresce lottando e contorcendosi come un elemento naturale, ammette sezioni di retta, si spezza, riprende conquistando e dominando lo spazio di volta in volta, esaltandosi nel suo divenire, contraendosi e sincopandosi. E arriva il momento in cui la fantasia di Gaudí si fa "evocatrice di mostri" e interprete della sua necessità, a livello del subconscio, si immedesima con l'oggetto creato, modificando il mondo e facendolo diventare parte di sé, parte vera come fa un bambino quando gioca.


Dunque egli lotta, ogni volta, mettendo alla prova se stesso e la sua fantasia per riportare alla luce e dare sicurezza al nostro io, nel mondo ambiguo dell'indeterminato, cercando di superare, illuminare o amplificare l'oggetto e innalzare la coscienza verso la regione del mistero, la sua deliziosa inquietudine verso il turbamento dell'irresoluto, al fine di diventare solo autocoscienza e far scoprire chi noi veramente siamo, sebbene nella realtà non siamo in grado di comprendere il nostro Io.


Il fatto che Gaudí cerchi attraverso la sua architettura di scoprire e penetrare l'interiorità umana e fornirle un appoggio al pari della vita fisica esteriore è dimostrato ad esempio dalla soppressione di contrafforti, cioè dalla rottura della rigorosità razionale della struttura tripartita, in quanto egli vuole assorbire tutte le forze interiori in una nuova struttura statica non appesantita da carichi supplementari, in cui chiunque lo desideri possa acquisire il potere di immedesimarsi con essa e con i suoi simboli, arrivando a capire quale sia la sua reale essenza e soprattutto che in tutta la propria vita non ha realizzato nulla per il suo Ego, bensì soltanto per il fantasma dell'Ego, a lui inaccessibile e da lui non scrutato fino in fondo; ecco perché Gaudí rispetta l'antico, utilizza il presente, pregusta innovazioni future, proprio perché le riscopre in un’avventura interiorizzata, uno scatto della fantasia che gli consente di intendere la realtà nelle sue esigenze concrete: quelle interiori, ignote alla collettività.

 

Lo stesso Collegio delle teresiane conduce per mezzo degli archi parabolici ad un “altissimo silenzio”, simile a quello descritto da Santa Teresa d’Avila nel Castello interiore, permette il passaggio dall’azione alla contemplazione e svela come tutto il suo nucleo portante non risieda nell’altezza e nello slancio ascensionale, ma nel piano orizzontale e nella profondità.

 

Per raggiungere questo scopo Gaudí sfrutta al massimo grado la forma unita chiaramente al colore.


L’architetto è immerso nel colore e nella forma; è accecato da entrambi in tutte le loro manifestazioni, fisiche, analogiche, simboliche. Spirito inquieto, inappagato, sempre più chiuso, in ultima analisi "disadattato", in realtà pauroso di vivere se non sorretto da sovrastrutture di compensazione, egli si immerge nel colore e nella forma, che lo abbagliano quasi fosse un bambino. E saranno il colore e la forma la sua ricerca continua di dinamismo, il suo rifugiarsi in una religiosità voluta e acquisita.


Tutto ciò traspare in Park Guell, in casa Batlò ma soprattutto nel capolavoro di Gaudí la Sagrada Família, divenuta il suo pensiero dominante, l'unica via di salvezza, forse, dalla propria morte, un omaggio a Dio. La Sagrada Família è concepita come un grande poema mistico, pieno di allusioni e di forte simbolismo; lo dimostrano la cripta, il portale della Natività e i quattro altissimi campanili di facciata che si elevano in mezzo a Barcellona, nella veste di simboli enigmatici, policromi e brillanti sotto il sole.

 

La loro irrealtà e fantasia si oppongono al delirio delle forme naturali che si muovono e si intrecciano nervosamente nella foresta inattesa della decorazione del portale. Gaudí ottiene ciò dalla realtà, dal mondo figurativo immediato, pagando dei calchi presi su modelli viventi; è ovvio però che, pur partendo dalla realtà, quest’ultima viene trascesa in vista di uno scopo più simbolico, più mistico, pronto ad attingere ad una dimensione spirituale.

 

Egli rende più conturbante il contrasto tra il sogno e la realtà, tra la dimensione spirituale e quella terrena, tra ciò che resta vivo e ciò che è definitivamente morto. E' una tendenza che si fonda su un equivoco, perché è in quello che è stato immaginato che troviamo la vita, e, al contrario, ciò che è stato strappato fedelmente alla vita, ancora palpitante nel calco, risulta assolutamente morto.


La lezione attiva, vitale di Gaudí risiede proprio in questa sua inesauribile, ansiosa ricerca di espressività, in questo suo aver voluto risolvere nell'esperienza quotidiana dell'architettura la funzione rappresentativa dell'architettura stessa, nell'aver recuperato all'uomo il significato di una prassi artistica che è, nell'atto, volontà e possibilità di autosuperamento sul piano stesso dell'esistenza.

 


Riferimenti bibliografici:


J. Bassegoda Nonell, L’architettura di Gaudí, Novara 1982
E. Casanelles, Nueva visión de Gaudí, Barcellona 1965
J.J. Lahuerta, Antoni Gaudí 1852-1926. Architettura, ideologia e politica, Milano 1992
C. Martinell, Gaudí. Su vida, su teoria, su obra, Barcellona 1967
I. Puig Boada, El pensament de Gaudí, Barcellona 1981
L. Quattrocchi, Gaudí, Art Dossier, Firenze 1998
T. Torii, El mundo enigmático de Gaudí, Madrid 1983

 



 

 

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