N. 20 - Agosto 2009
(LI)
Archeologia Industriale
Conoscere, capire e valorizzare il XX secolo
di Michele Broccoletti
La
nostra
è,
inutile
negarlo,
l’era
della
“civiltà
delle
macchine”.
Utile
e
necessario
appare
per
tanto
preservare
quei
valori
tecnici,
culturali
e
sociali
che
hanno
contribuito,
per
oltre
un
secolo,
allo
sviluppo
della
civiltà
umana.
Non
poteva
essere
che
l’Inghilterra,
il
paese
che
prima
di
altri
è
stato
travolto
dalle
rivoluzioni
industriali,
la
patria
dell’Archeologia
Industriale
che
fin
dall’inizio
si è
presentata
come
un
campo
d’indagine
particolarmente
stimolante.
L’archeologia
industriale
cominciò
a
svilupparsi
attorno
agli
anni
cinquanta,
quando
proprio
in
Inghilterra,
e
precisamente
a
Euston,
un
vasto
movimento
popolare
si
mobilitò
contro
la
demolizione
dell’arco
in
ferro,
simbolo
della
stazione
ferroviaria
della
città.
A
questa
presa
di
coscienza
proveniente
dal
basso,
seguì
una
prima
formalizzazione
teorica,
esemplificata
soprattutto
negli
scritti
di
Kenneth
Hudson.
I
due
termini
comparvero,
per
la
prima
volta
insieme,
in
un
articolo
del
1955
scritto
da
Michael
Rix
e
vennero
ufficializzati
dal
“Council
of
British
Archaeology”
nel
1959.
Il
sostantivo
archeologia
e
l’aggettivo
industriale
creano
un
apparentemente
contrasto,
derivante
dal
fatto
che
nel
senso
comune
l’archeologia
si
interessa
di
cose
antiche,
mentre
l’industria
rappresenta
un
fenomeno
moderno.
Tale
contraddizione
decade
se
al
significato
anglosassone
della
parola
industria,
si
sostituisce
quello
etimologico:
nel
dizionario
latino
infatti
questo
termine
significa
attività,
operosità,
zelo
ed
ingegno
e
quindi
l’archeologia
industriale
non
è
altro
che
l’archeologia
del
lavoro
e
della
produzione.
I
fini
dell’archeologia
industriale
sono
essenzialmente
la
conoscenza
dei
monumenti
e
delle
strutture
industriali
e
cioè
la
loro
localizzazione
e
l’individuazione
delle
loro
peculiarità
da
punti
di
vista
diversi:
della
storia,
dell’architettura,
della
tecnologia,
dell’urbanistica,
dell’arte,
ma
anche
del
costume
e
della
vita
sociale.
Oltre
al
fine
della
conoscenza,
vi è
anche
la
formulazione
di
ipotesi
e
proposte
per
la
tutela
e
per
l’eventuale
rivitalizzazione
degli
stessi
edifici
industriali.
Già
in
questa
fase
delle
ricerche
si
possono
incontrare
le
prime
difficoltà:
gli
edifici
studiati
sono
stati
concepiti
con
un
intento
ben
definito
e
limitato
nel
tempo,
per
cui
una
volta
dismessa
una
vecchia
fabbrica,
i
fini
del
proprietario,
come
possiamo
immaginare,
saranno
probabilmente
diversi
da
quelli
di
uno
studioso
di
archeologia
industriale.
In
riferimento
a
ciò,
basterà
citare
il
fatto
che
in
Italia
ogni
anno
vengono
smantellati
circa
150.000
mq3
di
vecchie
edifici
ed
infrastrutture
industriali.
Oltre
a
studiare
i
complessi
architettonici,
sono
ovviamente
anche
studiati
gli
oggetti
ed i
manufatti
in
cui
sono
stati
compiuti
processi
produttivi
e di
trasformazione.
La
maggior
parte
degli
studiosi
considera
oggetti
di
archeologia
industriale
tutte
le
testimonianze
dell’attività
produttiva
umana,
indipendentemente
dalla
loro
collocazione
storica.
Per
quanto
riguarda
il
presente
va
detto
che
non
esiste
un
punto
di
demarcazione
del
campo
dell’archeologia
industriale:
lo
sviluppo
tecnologico
produce
resti
in
continuazione,
i
quali
immediatamente
diventano
oggetti
di
interesse
storico.
Altra
protagonista
dell’archeologia
industriale
è la
macchina,
che
possiamo
considerarla
come
l’oggetto
che
più
degli
altri
subisce
gli
effetti
del
rinnovamento
tecnologico
ed è
quindi
con
maggior
facilità
espulsa
dal
processo
produttivo,
cioè
distrutta
o
rottamata.
Sempre
in
Italia
vengono
distrutte
circa
300.000
tonnellate
di
macchine
all’anno.
In
sintesi
possiamo
affermare
che
l’archeologia
industriale
studia
le
innovazioni
tecnologiche
del
passato:
macchine,
processi
produttivi,
edifici,
infrastrutture,
ma
anche
documenti
ed
archivi
di
impresa,
formulando
un
giudizio,
non
tanto
sull’estetica
e
sulla
bellezza
dell’opera,
quanto
piuttosto
sulla
sua
funzionalità
e
rilevanza
economica.
La
fabbrica,
la
macchina,
gli
oggetti
ed i
documenti
vanno
esplorati,
in
quanto
parte
di
un
sistema
che
ha
determinato
storicamente,
socialmente
ed
economicamente
il
territorio
ed
ha
modificato
lo
stesso
paesaggio,
che
perduta
la
qualifica
di
naturale,
assume
appunto
quella
di
industriale.
Per
quanto
riguarda
l’Italia,
ricordiamo
per
prima
cosa
che
l’evento
fondativo
dell’archeologia
industriale
nel
nostro
paese,
è
stato
il
primo
convegno
internazionale
in
materia,
organizzato
a
Milano
nel
1977,
al
quale
seguì
la
costituzione
della
Società
Italiana
per
l’Archeologia
Industriale
(SIAI),
che
si è
poi
articolata
in
sezioni
regionali.
Negli
anni
a
seguire
vi
furono
varie
iniziative
ed
eventi
che
si
fecero
sempre
più
numerosi,
ma
tutt’oggi
non
esiste
ancora
nel
nostro
paese
una
normativa
specifica
per
la
preservazione
dei
beni
industriali,
pertanto,
mentre
lo
Stato
interviene
per
evitare
la
vendita
all’estero
di
un
capolavoro
della
pittura,
il
salvataggio
di
vecchie
macchine
e
fabbriche,
presenta
enormi
difficoltà.
La
SIAI
comunque
propone
un
programma
di
lavoro
che
va
dalla
diffusione
della
conoscenza
del
patrimonio
archeologico
industriale
in
Italia,
tramite
pubblicazioni,
convegni
e
mostre,
alla
ricerca,
consistente
nell’attività
di
censimento,
inventario
e
catalogazione,
fino
ad
interventi
operativi
di
salvaguardia,
restauro,
riuso
e
ove
possibile
di
pubblica
acquisizione
di
tali
beni,
in
collaborazione
con
gli
organismi
nazionali
e
regionali
competenti.
Perciò,
dopo
aver
preso
atto
del
fatto
che
il
lavoro
industriale
ha
fortemente
condizionato
la
storia
del
XX
secolo,
dobbiamo
anche
renderci
conto
della
grande
importanza
che
riveste
la
conoscenza
dei
processi,
dei
luoghi,
delle
macchine
e
delle
tecnologie
industriali:
senza
lo
studio,
l’indagine
e la
conoscenza
di
questi
aspetti,
non
potremo
mai
capire
la
storia
del
‘900.
Molte
aree
di
degrado
e
molti
imponenti
edifici
turbano
il
paesaggio
urbano,
ma
allo
stesso
tempo
possono
diventare,
grazie
al
recupero
ed
al
riuso,
una
risorsa
per
il
territorio
e
per
la
società.
Nella
realtà
attuale,
in
cui
sono
veloci
ed
inarrestabili
i
processi
di
trasformazione,
il
recupero
di
un
qualsiasi
luogo
dismesso
diventa
anche
il
recupero
della
storia
e
dell’identità
della
società
e
del
territorio.
In
quest’ottica
è
importante
capire
il
concetto
di
bene
culturale,
inteso
non
solamente
come
bene
artistico.
Tra
i
beni
culturali
rientrano
anche
i
reperti
e
gli
oggetti
della
cultura
materiale,
che
si
caricano
di
significati
e
diventano
meritevoli
di
valorizzazione,
studio
e
conservazione.
Una
fabbrica
recuperata
e
massa
a
disposizione
della
comunità,
oltre
ad
esaltare
la
storia,
diviene
anche
un’istituzione
culturale
al
servizio
del
territorio.
In
conclusione,
semplificando,
affermiamo
che
l’archeologia
industriale
ha
poche
regole:
richiede
solamente
il
rispetto
per
il
monumento
industriale,
per
la
sua
struttura
e
per
la
sua
architettura,
ma
può
offrire
molto
in
cambio,
salvaguardando
la
memoria
del
lavoro,
le
antiche
tradizioni
e
gli
antichi
mestieri
e
conservando
importanti
testimonianze
proprie
della
civiltà
industriale.