[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

167 / NOVEMBRE 2021 (CXCVIII)


moderna

SULL’ARBITRISMO

LA NASCITA DELLA SCIENZA ECONOMICA MODERNA

di Enrico Targa

 

Con il termine Arbitrismo si intende una corrente di pensiero politico ed economico sviluppatasi in Spagna durante la seconda metà del Cinquecento eagli inizi del Seicento (i suoi esponenti provenivanodalla mirabile Scuola di Salamanca il faro della cultura spagnola dell’epoca). L’arbitrismo può essere considerato come la prima letteratura economica con fondamenti tecnico scientifici, simultanea e in gran parte precedente al mercantilismo di altri paesi europei, come Francia e Inghilterra.

 

Nell’età moderna il termine arbitraria indicava qualsiasi misura che il re poteva adottare a beneficio del regno, nell’esercizio della sua sovranità e di sua spontanea volontà. Al plurale il termine arbitrios si riferiva a certi tributi con i quali si reperivano i fondi per spese pubbliche. Arbitro era colui che indirizzava un memoriale, una specie di rimostranza, al re chiedendogli di prendere questo o quell’arbitrato e la proliferazione di questi memoriali da parte degli arbitristas subì un’inflazione paragonabile alle opere pubblicate durante la rivoluzione dei prezzi del XVI secolo (ricordiamo l’opera del curato Claude Haton Mémories che tiene ben nota dei prezzi dal 1553 al 1582, di Pierre de l’Estoille Mémories e Registre journal de Henri III e in ambito anglosassone venne pubblicato il Compendius attribuito al primo governatore della Compagnia delle Indie Orientali Sir Thomas Smythe un’opera considerata dai ocntmeporanei di inestimabile valore perché capace di tradurre dal piano polito al piano teorico le variabili economiche), ed è aumentata con la crisi del XVII secolo, in un clima di forte depressione economica che chiuderà il Siglo de Oro.

 

Gli arbitristas nonostante la loro fama di grandi intellettuali all’epoca erano avversati e spesso derisi da una società di letterati che provava disprezzo per le questioni economiche non ancora studiate sicentificamente e non comprendeva appieno le loro argomentazioni economiche, tanto che un gesuita appartenente al filone degli arbitristas Martín de Azpilcueta (Barásoain, 13 dicembre 1492 – Roma, 1º giugno 1586, le sue spoglie sono conservate, secondo la sua volontà, nella chiesa di Sant’Antonio dei Portoghesi) fu ritenuto folle e pazzo.

 

Il primo uso del concetto arbitrismo in questo contesto è stato individuato in El colloquio de los perros, uno dei romanzi esemplari di Cervantes (1613), ed è stato pubblicato nel decennio successivo. In vari passaggi delle sue opere, descrive gli arbitristas come “arcigogolantes” (in italiano “arzigogolare” tipico di colui che teorizza congetturare senza fondamento sfocianti in fantasticherie) benintenzionati ma che con le loro chimere causano ogni tipo di catastrofe; descrive un arbitristas così assorto nello scrivere le sue teorie che non si rende conto di essersi cavato un occhio con la penna.

 

Solamente nel XVIII secolo, dopo la circolazione delle teoria nota come colbertismo i cui autori furono Jean Orry e Michel Amelot, l’eredità dell’arbitrismo iniziò a godere di una maggiore considerazione intellettuale dai fautori del dispotismo illuminato spagnolo vicini alla fisiocrazia di Quesnay come Don Zenón de Somodevilla y Bengoechea, marchese de Ensenada (Alesanco, 20 aprile 1702 – Medina del Campo, 2 dicembre 1781) noto per aver riformato il sistema catastale spagnolo o al liberalismo di Adam Smith tra i quali troviamo l’economista spagnolo conte Pedro Rodríguez de Campomanes (Oviedo, 1º luglio 1723 – Madrid, 3 febbraio 1802) e il grande filosofo, giurista, politico Gaspar Melchor de Jovellanos figura preminente dell’Illuminismo spagnolo e una delle figure preminenti delle Cortes di Cadice.

 

Bisognerà attendere l’opera History of Economic Analysis dell’economista austriaco Alois Joseph Schumpeter (Třešť, 8 febbraio 1883 – Taconic, 8 gennaio 1950) il quale riconobbe il fondamentale contributo degli arbitristas all’origine della moderna scienza economica. È interessante a questo punto la vita, le opere e il pensiero dei personaggi più illustri dell’arbitrismo. 

 

Tomás de Mercado (1530-1575), formatosi presso la scuola di Salamanca da giovane andò in Messico, motivo per cui la sua visione dei problemi economici teneva conto anche del contesto americano. Entrato nell’Ordine dei Predicatori nel 1553, conseguì il dottorato in teologia distinguendosi, in particolare, come moralista. Rifletté sull’etica dei rapporti commerciali e una volta tornato in Spagna insegnò nelle università di Siviglia e Salamanca; in collaborazione con un altro grande economista dell’epoca, Martín de Azpilcueta, nel 1569 pubblicò la sua famosa Suma de tratos y contratosche fu ristampata due anni dopo e dove venivano descritti gli usi commerciali dell’epoca a Siviglia (città nella quale vi si stabilì la Casa de Contratación, l’organismo commerciale che deteneva il monopolio delle merci delle colonie americane) e Medina del Campo.

 

Questo lavoro riflettè sull’interesse elogiandone gli usi etici di fronte all’interpretazione restrittiva della Chiesa cattolica che lo aveva come usura, e arrivò a dedurre il rapporto diretto tra i prezzi al consumo e la quantità di moneta in circolazione. Questa prima e importante lteoria quantitativa della moneta divenne parte integrante della tradizione della Scuola di Salamanca.

 

La prospettiva teologica sulle attività economiche continua, comunque, a essere una fonte importante della produzione letteraria, come è il caso del De monetae mutae, una delle parti del Tractatus septem di padre Mariana (pubblicato a Colonia nel 1609), opera che mirava a denunciare i ministri rei dialterare il peso della moneta, primo fra tutti il Duca di Lerma (Tordesillas, 1553 – Valladolid, 17 maggio 1625), valido del Re di Spagna Filippo III e famoso per la sua corruzione). Per tal motivo Mercadofinì in carcere e nel 1575, durante il viaggio di ritorno in Messico, morì.

 

Luis Ortiz, attivo nella seconda metà del XVI secolo e ragioniere per il Tesoro di Castiglia durante il regno di Filippo II, scrisse un Memoriale al Re affinché nessun denaro uscisse dalla Spagna soprattutoa seguito della bancarotta del 1557 che rovinò non solo i banchieri ma moltimercanti che non potevano più ricorrere al prestito. Ortiz è ritenuto il primo dei mercantilisti spagnoli: ritienne che la diminuzione dei prezzi risieda nella conservazione dell’oro in Castigliae propose un piano volto a promuovere le risorse del regno e a rendere le merci spagnole appetibili sui mercati internazionali.

 

Nonostante la sua lucidissima analisi economica l’opera non incontrò favori. Le principali misure che propose nel suo monumentale Memorial sobre la situación económica de España y las Indias (1558) furono l’abolizione di ogni tipo di svago, l’introduzione del lavoro manuale su vasta scalain grado di realizzare manufatti molto più redditizidelle materie prime, nonché l’abolizione delle consuetudinesistenti tra i vari regni ispanici, la confisca dei beni ecclesiastici e una riforma fiscale più perequativa ed estesa ai nobili.

 

Non mancò di analzzare i problemi monetari della Spagna studiando tuttele soluzioni per risolvere le situazioni create nel paese dalla tendenza a esportare materie prime e a importare manufatti pagati con le riserve auree americane arrivando così a intuire il concetto distruttura economica ovvero i rapporti e le relazioni riguardanti una determinata entità economica (famiglia, impresa, regione, Stato ecc.), indicando la combinazione delle diverse caratteristiche di un sistema economico considerato e di conseguenza propose non una, ma una vasta gamma di iniziative che avrebbero portato il regno fuori dalla latente in cui si trovava: aumento della produttività, la crescita della popolazione, estensione dell’irrigazione e l’avviodel rimboschimento (all’epoca il legname era la materia prima strategica per eccellenza sia per l’uso domestico sia per la costruzione delle imponenti flotte). Inoltre, era consapevole del problema inflazionistico derivato dalle rimesse in oro e argento americano e di conseguenza proponeva di limitare l’espansione monetaria scoraggiando i consumi.

 

Martín González de Cellorigo (Pancorbo 1559-1633) fu attivo nella prima metà del XVII secolo. Studiò legge pressol’Università di Valladolid divenendo avvocato. Continuò le idee della scuola di Salamanca e indirizzò due memoriali al futuro re di Spagna FIlippo III, rilevando che l’inflazione era provocata dall’arrivo dell’argento americano e il forte aumento dei prezzi erano la causa principale dei mali del regno. Poiché l’unica soluzione per combatterla era quella di diminuire il denaro in circolazione limitando le transazioni economiche finanziarie.

 

Era sua convinzione che la ricchezza aumenta solo “dall’industria naturale e artificiale” e, quindi, le operazioni speculative e i privilegi amministrativi di fatto impoverivano il regno, generando l’abbandono dei commerci e delle attività produttive. Nel 1600 e Valladolid pubblicò la sua opera principale che racchiude l’insieme delle proposte dell’autore, ilMemoriale della politica necessaria e dell’utile restaurazione della Spagna e dei suoi stati, e delle prestazioni universali di questi regni. Cellorigo appoggiò anche l’espulsione dei Mori dalla Spagna (ordinata dal re Filippo III fu portata a termine nel giro di pochi anni, sia pure per gradi, tra il 1609 e il 1614).

 

Può considerarsi ugualmente legato alla corrente degli arbitristas il teologo economista Sancho Moncada (Toledo, 1580 - ídem, ca. 1638) appartenente al cosiddetto gruppo o scuola di ToledIl (gruppo era formato dalle maggiori menti della città che scrivevevano su temi legati ai problemi economici esociali che stava attraversando la città di Toledo ed erano riuniti intorno alla figura di Baltasar Elisio de Medinilla e alla sua celebre teoria, raccolta nel Memorial a la Imperial Ciudad de Toledo).

 

Un altro elemento utile a contestualizzare l’opera di Sancho de Moncada è la famosa Consulta del 1619. Il 6 giugno 1618, Felipe III ordinò al presidente del Consiglio di Castiglia (in spagnolo Real y Supremo Consejo de Castilla) di presentare soluzioni ai vari problemi che affligevano il regno. Il Consiglio consegnò la sua relazione, in forma di Consulta, il 1° febbraio 1619. Di fronte al relativo spopolamento, il Concilio ritenne che ciò fosse dovuto all’eccessivo ammontare delle tasse che gravavano sui cittadini, poiché favoriva l’emigrazione verso le zone dove il carico fiscale era inferiore.

 

La Consulta ha sottolineato che l’immigrazione degli stranieri dovrebbe essere limitata e raccomandò il miglioramento della situazione economica dei contadini e la riduzione del numero eccessivo di istituzioni e fondazioni religiose, nonché la creazione e la vendita degli uffici come avveniva in Francia a seguito delle riforme introdotte dal segretario della camera del re Charles Paulet.

 

Approfittando dell’interesse del Consiglio, nello stesso anno Moncada pubblica la Restauración política de España. Un’opera composta in nove discorsi che incorporano un trattato di teoria politica e pedagogia insieme a un programma di azione economica il cui obiettivo era rimediare all’apparente e cronica crisi dell’economia castigliana all’inizio del XVII secolo. Nel primo intervento analizzò quello che considerava un “danno radicale”, conseguenza del “nuovo commercio di stranieri”. In questo senso, proponeva come rimedio radicale il divieto di importazione di manufatti esteri, cioè, secondo le sue stesse parole, “vietare le lavorazioni straniere”.

 

Il resto dei discorsi sono un insieme di argomentazioni elaborate, il più delle volte, con relazioni di causalità ardite, se non poco plausibili, che ruotano attorno a questo primo discorso: così, il secondo intervento, dedicato allo studio del problema demografico, pur avendo considerato alcune possibili cause che potrebbero spiegarne il declino come la peste, le guerre, le espulsioni e l’emigrazione, ritiene che ciò fosse dovuto all’importazione di merci stranierepoiché le merci non venivano prodotte nell’interno, la popolazione era emigrata in quelle regioni che richiedevano lavoro.

 

Di conseguenza, propose un programma di sostituzione delle importazioni per produrre quei prodotti importati in Spagna, che a suo avviso aumenterebbero il numero di matrimoni e, con essi, Nel terzo discorso, affront ail tema spinosodelle questioni monetarie. L’obiettivo che perseguiva in questo discorso era quello di vietare, con ogni mezzo, l’uscita delle monete d’argento causate dal commercio estero (la spiegazione incorporava, seppure con sfumature, elementi quantitativi): Il mezzo efficace per impedire l’esportazione dell’oro e dell’argento consisteva nel vietare l’importazione di manufatti.

 

Al Tesoro sono dedicati il ​​quarto, il quinto e il sesto intervento: per aumentare le entrate fiscali era necessario “addebitare grandi entrate per le merci straniere”, oltre a stabilire un’imposta unica sui cereali. Un altro obiettivo era quello di porre fine al Servizio di Milionifurono (un’imposta indiretta sugli alimenti istituita da Filippo II e approvata dalle Cortes di Castiglia il 4 aprile 1590. Fu applicata al consumo di sei spezie: vino, aceto, olio, carne, sapone e candele di sego), poiché condizionava il budget di spesa del Monarca.

 

Nel settimo intervento compie una revisione critica delle soluzioni che altri scrittori avevano indicato in merito al “danno generale alla Spagna”: agricoltura, beni di lusso, alcabalas (tassa sui commerci unica sebbene veniva riportata al plurale), l’alto numero di funzionari pubblici che ruotavano intorno alla corte, l’immenso numero di leggi e consuetudini, insieme all’alto numero di religiosi, costituiscono un grave danno alle finanze reali manon erano paragonabilial vero “danno radicale”, cioè il commercio con l’estero.

 

La xenofobia di Sancho de Moncada raggiunge il culmine nell’ottavo discorso, in cui propone di espellere gli zingari. Molto più interessante è il nono intervento in cui sostiene apertamente un nuovo modo di concepire la politica, la cosiddetta ragion di Stato. Difende l’idea che la politica debba essere interpretata come scienza, chiedendone uno studio formalea livello universitario, creando cattedre di teoria politica. Per Sancho de Moncada, il “governo, o ragion di Stato, era un mezzo per fondare, conservare e accrescere un regno, e questo mezzo doveva essere messo nello stesso tempo, e con le circostanze che richiedono gli affari, che altrimenti sarebbero danneggiati. Moncada credeva che la medicina e l’arte di navigazione fosserodelle scienze parallele alla politica, capaci di proporre rimedi con cui curare i mali che affliggono la Castiglia, e in questo modo “preservare” il potere.

 

L’influenza che Giovanni Botero e la sua opera intitolata La ragion di Stato ebbesu Sancho de Moncada è indiscutibile. Pedro Fernández de Navarrete (1564 – Madrid – 1632) canonico di Santiago, traduttore umanista di Seneca e consigliere reale, ispirandosi a Cellorigo e a Moncada scrisse la Conservación de monarquias y discursos políticos sobre la gran consulta que el Consejo hizo al señor rey don Felipe tercero, datata 1626.

 

Il suo orientamento come quello della maggior parte degli arbitristas era mercantilista: porre sotto controllo dello Stato le importazioni e smepre stotto l’egidia di quest’ultimo promuovere le esportazioni, ma non accettò la tesi dei bullionisti secondo i quali la ricchezze del paese si misura in base alla quantità di moneta e di metalli preziosi che esso possiede, perché capì che la sovrabbondanza di denaro crea inflazione se non ci sono beni acquistabili sul mercato. Propose nuovi e ingenti investimenti produttivi criticando ferocemente il disprezzo che la nobiltà spagnola mostrava per le attività industriali e manufatturiere spendendo inutilmente i propri denari in beni di lusso, spesso prodotti all’estero.

 

Infine concludo questa esposizione citando l’opera volta a sollevare la condizione dei più miserabili,del Ragioniere della Santa Crociata, membro del Consiglio delle Finanze Luis Valle de la Cerda (1552?-1606) Desempeño del patrimonio de su Magestad y de los reinos, sin daño del Rey y vasallos, y con descanso y alivio de todos, por medio de los Erarios públicos y Montes de Piedadscrisse (1600).

 

L’opera fu molto apprezzata dalle Cortes, che aderirono a questa iniziativa ripubblicarondo lo scritto nel 1618. Valle de la Cerda non ripropone la teoria quantitativa o l’avvio di una politica mercantilistica ma quella che poi verrà chiamata “la discrezionalità del tesoro e dei Monti di Pietà”, ovvero una rete di fondi concessi in prestito prestito supportati da un’istituzione molto simile alle moderne banche nazionali, al fine di concedere prestiti e quindi abbassare il asso d’interesse (il corso del denaro). Questa idea era stata originariamente lanciata in Spagna da due fiamminghi, Pedro de Oudergherste e Pedro van Rottis, in una lettera indirizzata a Felipe II nel 1576, e riproposta nel 1591 (BNE, ms. Nº 7384).

 

Valle de la Cerda, collaborò con i due fiamminghi riformulando più dettagliatamente l’arbitrato del tesoro, proprio l’anno in cui Filippo III salì al trono. I Monti di Pietà erano un’idea in qualche modo simile ai Positos che già funzionavano (la loro origine risale addirittura alla legislazione romana) come istituti di credito di fondazione comunale e di depositi di grano e panedistribuiti ai contadini in difficoltà o venduto a buon mercato ai viandanti.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Elliott John H., La Spagna e il suo mondo (1500-1700), Einaudi, Torino 1996.

De Maddalena A., Moneta e mercato nel ‘500, Sansoni, Firenze 1973.

Dubet, A., El arbitrismo como práctica política: el caso de Luis Valle de la Cerda (¿1552? - 1606). Cuadernos De Historia Moderna, 24, 107, 2000.

Dubet A., Sabatini G., Arbitristas: Acción política y propuesta económica, in Martínez Millán J., Visceglia M.A. (a cura di), La monarquía de Felipe III. La corte, vol. III, pp. 867-870.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]