N. 127 - Luglio 2018
(CLVIII)
Gli stemmi comunali: cosa ci raccontano di un territorio
Araldica
comunale
pugliese
e
agricoltura
di
Angela
R.
Piergiovanni
La
storia
di
un
qualsiasi
luogo
in
una
qualunque
parte
del
mondo,
lascia
traccia,
giorno
dopo
giorno,
in
un'ampia
gamma
di
testimonianze.
Si
va
da
elementi
tangibili
e
immutabili
per
un
arco
temporale
molto
lungo,
come
possono
essere
le
strutture
urbanistiche,
i
monumenti,
le
opere
d’arte,
i
reperti
archeologici,
gli
scritti,
i
paesaggi,
e
via
dicendo,
a
tracce
soggette
ad
un
inevitabile
logoramento
e
quindi
destinate
a
dissolversi
in
tempi
relativamente
brevi.
A
questo
secondo
gruppo
appartengono
le
lingue,
i
dialetti,
le
tradizioni
legate
alla
celebrazione
di
festività
civili
o
religiose,
le
leggende,
i
canti
popolari,
i
modi
di
dire
e
così
via.
Una
efficace
descrizione
di
ogni
luogo
e
della
sua
storia
non
può
quindi
che
essere
la
sintesi
di
tutti
questi
aspetti.
Impresa
sicuramente
ardua,
soprattutto
per
il
nostro
paese
in
cui
le
tracce
storiche
di
un
luogo
abbracciano
quasi
sempre
archi
temporali
decisamente
molto
lunghi
e
svariate
tipologie.
Ciascuno
di
noi
vive
immerso
nel
variegato
patrimonio
di
testimonianze
legate
ai
luoghi
della
propria
vita,
ma
quanti
sono
effettivamente
in
grado
di
raccontare
la
storia
che
ha
giornalmente
sotto
gli
occhi,
soprattutto
quella
racchiusa
negli
aspetti
meno
appariscenti
e
quindi
meno
conosciuti.
Alla
variegata
gamma
delle
“tracce
storiche
minori”
che
ci
accompagnano
giornalmente
appartengono
i
simboli
araldici.
Da
secoli
essi
rappresentano
in
modo
visivo
ed
estremamente
sintetico,
non
solo
le
storie
che
stanno
dietro
a
famiglie
importanti,
quelle
che
hanno
fatto
la
storia
di
specifici
contesti
geografici,
ma,
a
saper
ben
guardare,
ci
raccontano
anche
tanto
altro.
Sin
dall'epoca
medievale,
e
più
precisamente
da
quella
comunale,
non
solo
le
famiglie
dominanti,
ma
anche
città,
villaggi,
contrade
e
corporazioni
(civili,
militari
o
religiose),
hanno
iniziato
ad
utilizzare
stemmi
araldici
non
solo
per
distinguersi
l’un
l’altro
in
maniera
semplice
e
immediata,
ma
anche
per
avere
un
simbolo
tangibile
rappresentativo
della
propria
identità.
Una
parte
della
storia
di
ciascuno
degli
oltre
8.000
comuni
italiani
è
quindi
scritta
nel
proprio
stemma.
Lo
stemma
cittadino,
pur
senza
una
parte
testuale,
è di
fatto
una
rappresentazione
parlante
delle
specificità
di
ogni
comune.
Attraverso
pochi
simboli,
facilmente
intellegibili
anche
da
chi
non
sapeva
leggere,
e
nei
secoli
passati
era
la
maggioranza
della
popolazione,
lo
stemma
doveva
sintetizzare
gli
aspetti
di
maggior
vanto
della
comunità
che
lo
eleggeva
a
proprio
simbolo
identitario.
La
comunità
sceglieva
tra
i
tipici
simboli
araldici,
castelli,
torri,
corone,
animali
reali
o
mitologici,
piante,
croci,
santi,
e
via
dicendo,
quelli
che
più
si
addicevano
alla
propria
storia
o
meglio
a
quegli
aspetti
storici
che
più
si
volevano
ricordare
e
tramandare
alle
future
generazioni.
Il
numero
e la
disposizione
dei
simboli,
come
la
scelta
dei
colori
di
fondo
concorrevano
a
comporre
la
simbologia
prescelta.
In
questa
ottica
gli
stemmi
dei
comuni
italiani
costituiscono
una
autentica
miniera
di
informazioni
su
quella
storia
sicuramente
minore,
in
quanto
non
raccontata
nei
testi
ufficiali,
ma
patrimonio
delle
varie
comunità
locali.
La
Puglia
è da
secoli
una
regione
in
cui
l’agricoltura
ha
un
ruolo
di
primo
piano.
Viene
pertanto
spontaneo
chiedersi
se
questa
rilevanza
traspare
anche
negli
stemmi
dei
suoi
oltre
200
comuni.
Come
prevedibile,
la
risposta
è
affermativa
basta
osservare
lo
stemma
della
regione
al
cui
centro
è
rappresentato
un
maestoso
albero
di
ulivo.
Ma
tornando
ai
comuni,
in
aggiunta
ai
tralci
di
alloro
e
quercia
ampiamente
presenti
come
ornamenti
per
dare
solennità
allo
stemma
vero
e
proprio,
ben
40
comuni
pugliesi
hanno
inserito
nel
proprio
emblema
una
o
più
piante
legate
alla
propria
tradizione
agricola.
A
prevalere
nettamente
tra
le
varie
specie
vegetali
è il
grano
la
cui
coltivazione
è
parte
integrante
del
paesaggio
di
vaste
aree
della
regione,
un
esempio
per
tutti
è il
Tavoliere.
Ovviamente
il
grano
non
è
stato
e
non
è
soltanto
agricoltura,
ma
anche
commercio
delle
granaglie,
e
quindi
infrastrutture
come
porti
commerciali,
o
mulini
e
pastifici
industriali
per
la
trasformazione
in
regione
del
raccolto.
Realtà
commerciali
e
industriali
non
solo
passate
ma
anche
affermati
marchi
sul
mercato
attuale.
Tutto
questo
si
lega
alle
spighe,
a
volte
singole
a
volte
in
gruppo,
che
16
comuni,
distribuiti
fra
le
varie
province,
hanno
inserito
nel
proprio
stemma.
Se
Stornara,
Carapelle,
Poggiorsini
sono
comuni
del
Tavoliere
dove,
da
secoli,
si
coltiva
il
grano,
Biccari
e
Celenza
Valfortore
fanno
parte
della
Daunia,
un
territorio
dove
in
passato,
erano
attivi
piccoli
mulini
ad
acqua
e
forni
a
paglia
ad
uso
delle
comunità
locali
per
la
preparazione
del
pane.
Nello
stemma
di
Gioia
del
Colle
(BA),
al
di
sopra
di
una
banda
verde,
che
sta
ad
indicare
la
fertilità
del
suolo,
compaiono
due
spighe
di
grano.
Il
legame
della
città
col
grano
va
oltre
la
semplice
coltivazione
e lo
si
può
cogliere
in
una
importante
testimonianza
di
archeologia
industriale
quale
è
il
molino
“Excelsior”.
Come
il
grano,
anche
l’ulivo
è un
elemento
tipico
del
paesaggio
pugliese
e
della
sua
realtà
produttiva.
Oltre
che
nello
stemma
regionale,
la
sua
rappresentazione
si
ritrova
negli
stemmi
di 9
comuni
distribuiti
nella
parte
centro-meridionale
della
regione.
Il
legame
col
territorio
va
dalla
coltivazione,
come
è
per
Bitonto
(BA)
che
si
fregia
della
definizione
di
“città
degli
ulivi”
e ha
nel
suo
stemma
un
ulivo
con
ai
lati
due
leoni
rampanti,
alla
produzione
di
olio.
Alla
lavorazione
delle
olive
sono
legati
i
frantoi
da
quelli
ipogei
nei
quali
si
produceva
olio
lampante,
oggi
visitabili
in
vari
comuni
salentini,
a
quelli
dei
nostri
giorni
ad
elevato
contenuto
tecnologico
per
la
produzione
di
un
olio
di
alta
qualità.
La
vite
è
un'altra
coltura
tipica
di
alcune
zone
della
Puglia,
che
per
lungo
tempo,
ha
fornito
vino
da
taglio
ad
altre
regioni
italiane
prima
di
avviare
un
virtuoso
percorso
di
incremento
qualitativo
e
promozione
della
propria
produzione.
Sono
sette
i
comuni,
cinque
dei
quali
in
provincia
di
Lecce,
che
presentano
tralci
di
vite
o
grappoli
di
uva
nel
proprio
stemma.
Un
tralcio
di
vite
con
grappoli
d’uva
compaiono
negli
stemmi
di
Binetto
(BA)
e
Botrugno
(LE)
a
testimonianza
di
un
legame
con
la
coltivazione
della
vite
che
risalead
epoche
remote.
Infatti,
i
nomi
dei
due
comuni
deriverebbero
rispettivamente
dal
latino
“vigneto”
e
dal
greco
“produrre
uva”.
Alcuni
comuni
hanno
scelto
di
sottolineare
la
propria
tradizione
agricola
inserendo
nella
propria
araldica
civica
più
colture.
È il
caso
di
Collepasso
(LE)
nel
cui
stemma
compaiono
tralci
di
vite,
spighe
di
grano
e un
albero
di
ulivo.
Spighe
di
grano
e
tralci
di
vite
sono
raffigurati
negli
stemmi
di
Gravina
in
Puglia
(BA)
e
San
Donaci
(LE).
Vite
e
ulivo
campeggiano
negli
stemmi
di
Castri
di
Lecce
(LE)
e
San
Ferdinando
di
Puglia
(BT).
Quest’ultimo
comune
nacque
come
colonia
agricola
agli
inizi
del
XIX
secolo
per
volontà
di
Ferdinando
II
di
Borbone.
Lo
scopo
di
questo
nuovo
insediamento
era
introdurre
la
coltivazione
della
vite
e di
alberi
da
frutto
in
un
territorio
vocato
alla
monocoltura
del
grano
per
migliorare
le
condizioni
di
vita
della
popolazione
locale.
Tra
le
colture
minori
in
ambito
regionale
vi è
il
mandorlo
che
è
presente
negli
stemmi
di
Specchia
(LE)
e
Manduria
(TA).
Secondo
alcuni
studiosi
il
nome
Manduria
deriverebbe
proprio
dal
termine
mandorlo,
un
albero
a
cui
gli
abitanti
sono
molto
legati
come
testimoniato
dalla
presenza
di
un
suo
esemplare
nel
Fonte
Pliniano,
un
sito
archeologico
probabilmente
risalente
all’epoca
messapica.
Le
ciliegie,
tre
per
la
precisione,
sono
rappresentate
nello
stemma
di
Pulsano
(TA),
mentre
Modugno
(BA)
ha
come
simbolo
identitario
una
pianta
che
non
ci
si
aspetterebbe
il
cardo
selvatico.
La
presenza
del
cardo
nello
stemma
cittadino
risale
almeno
alla
seconda
metà
del
XVI
secolo
come
si
evince
da
varie
raffigurazioni
lapidee
sulle
facciate
di
alcuni
palazzi
nobiliari.
Il
significato
simbolico
di
questa
pianta,
che
si
erge
ritta
nei
campi,
va
messo
in
relazione
con
diversi
episodi
storici
in
cui
i
cittadini
di
Modugno
hanno
rivendicato
con
forza
la
propria
autonomia.
A
saper
osservare
e
leggere
le
testimonianze
in
cui
siamo
immersi
si
scoprono
frammenti
di
una
storia
che
non
è
raccontata
nei
libri
ma
che
in
realtà
è
quella
più
vera
perché
legata
alla
gente
comune,
alla
vita
di
tutti
i
giorni,
a
generazioni
passate
che
ci
hanno
tramandato
questi
piccoli
segni.
Riferimenti
bibliografici:
Giannini
F.,
Il
molino
“Excelsior”
di
Gioia
del
Colle,
2011.
Lioi
L.,
Piergiovanni
A.R.,
Mulini
ad
acqua
e
forni
a
paglia.
Economia
di
sussistenza
nell’Appennino
Dauno,
in
“InStoria”,
n.
115,
luglio
2017.
Piergiovanni
A.R.,
Lioi
L.,
Forni
a
paglia:
antichi
manufatti
nel
Subappennino
Dauno
e
Capitanata,
in
“Scienze
e
Ricerche”,
Magazine,
suppl.
n.
51,
agosto-settembre
2017,
pp.
13-17.