N. 120 - Dicembre 2017
(CLI)
Il golpe Saudita, invisibile ma non troppo
Nuovo principe, vecchie regole
di Gian Marco Boellisi
Tra i vari stati del Medio Oriente, l’Arabia Saudita è senza alcun dubbio quello più controverso. Principale alleato degli Stati Uniti nella regione, e quindi dell’Occidente, questa monarchia è sempre più preda del conflitto tra vecchio e nuovo.
Non
è un
segreto
infatti
che
l’Arabia
Saudita
sia
tra
i
paesi
islamici
più
conservatori,
sia
per
la
presenza
dei
luoghi
sacri
più
importanti
per
l’Islam,
sia
per
l’impronta
wahabita
che
ha
caratterizzato
il
regno
dei
Saud
sin
dalla
sua
nascita.
Questa
importante
tradizione,
che
molte
volte
ha
sfociato
e
sfocia
tuttora
in
manifestazioni
esplicite
di
limitazioni
o
violazioni
dei
diritti
umani,
collide
pesantemente
con
la
cultura
di
stampo
americano
che
negli
ultimi
decenni
sta
sempre
più
attecchendo
dentro
il
paese.
All’interno
di
questo
contesto
tanto
complesso,
si
colloca
la
recente
scalata
al
potere
del
principe
Mohammed
bin
Salman
(chiamato
più
volte
dai
giornali
MbS),
ora
diventato
principe
ereditario
su
nomina
reale.
Forte
dell’appoggio
del
padre
Re
Salman,
bin
Salman
ha
iniziato
una
vera
e
propria
epurazione
dei
vertici
al
potere
sauditi,
così
da
concentrare
ancora
maggiormente
la
monarchia
e
tutti
i
poteri
politici
e
amministrativi
su
sé
stesso.
Nonostante
questo
non
sembri
strano
a
una
prima
impressione,
essendo
l’Arabia
Saudita
da
sempre
una
monarchia
assoluta,
le
modalità
e le
tempistiche
portano
a
inquadrare
questi
eventi
come
un
vero
e
proprio
colpo
di
stato.
Vale
la
pena
quindi
analizzare
più
approfonditamente
il
contesto
politico
saudita
in
modo
di
fare
maggiore
chiarezza.
Da
quando
il
fondatore
del
regno
Ibn
Saud
è
morto
nei
primi
anni
’50,
il
trono
è
sempre
passato
ai
suoi
figli
e ai
figli
dei
loro
figli.
Una
successione
che
non
è
mai
stata
infranta.
L’attuale
sovrano
re
Salman,
venticinquesimo
figlio
di
Ibn
Saud,
ha
81
anni
e da
qualche
tempo
soffre
di
gravi
problemi
di
salute.
Non
essendo
più
in
grado
di
gestire
attivamente
lo
stato,
da
tempo
ci
si
interrogava
se e
quando
sarebbe
avvenuto
il
passaggio
di
potere.
L’intera
comunità
internazionale
ha
sempre
visto
in
Mohammed
bin
Nayef
(MbN),
cugino
più
anziano
di
bin
Salman,
una
scelta
ovvia
per
la
successione.
Tuttavia
le
cose
sono
andate
diversamente.
Infatti
il
21
giugno
scorso
re
Salman
ha
promosso
il
figlio
preferito
Mohammed
bin
Salam
a
principe
ereditario.
Una
mossa
inattesa
da
parte
di
tutti
e
non
priva
di
un
profondo
significato
politico.
Essendo
bin
Nayef
considerato
il
naturale
erede
di
Salman,
sia
per
anzianità
rispetto
a
bin
Salman
sia
per
la
propria
immagine
all’estero,
è
stato
necessario
salvare
anche
le
apparenze
presso
l’opinione
pubblica.
A
tale
scopo
il
20
giugno
2017
bin
Nayef
è
stato
convocato
dal
re
insieme
ad
altri
principi
anziani.
Una
volta
trovatosi
a
corte,
a
bin
Nayef
è
stato
chiesto
esplicitamente
di
rinunciare
a
tutte
le
sue
cariche.
Nonostante
il
rifiuto
iniziale
del
principe,
bin
Nayef
è
stato
costretto
a
cedere
dalle
pressioni
non
indifferenti
di
re
Salman
e
molto
probabilmente
anche
di
bin
Salman.
Una
volta
compiuto
il
“passaggio
di
consegne”
sulla
televisione
di
stato
è
stato
trasmesso
un
video
in
cui
l’ormai
ex
principe
ereditario
bin
Nayef
giurava
fedeltà
al
cugino
bin
Salman.
Nonostante
la
sete
di
potere
possa
sembrare
l’unico
motore
dell’intera
vicenda,
ci
sono
ragioni
più
profonde
e
nascoste
da
tenere
in
considerazione.
All’inizio
di
giugno
l’Arabia
Saudita
ha
rotto
ufficialmente
ogni
rapporto
diplomatico
con
il
Qatar,
pretendendo
da
parte
del
piccolo
stato
arabico
la
chiusura
immediata
dell’emittente
televisiva
Al
Jazeera,
l’unico
spiraglio
d’informazione
libera
all’interno
del
mondo
arabo
per
intenderci.
L’accusa
nei
confronti
di
Al
Jazeera
sarebbe
stata
quella
di
fare
propaganda
contro
la
monarchia
saudita.
Gli
eventi
con
il
Qatar
si
collegano
con
la
scalata
al
potere
di
bin
Salman
poiché
l’ex
principe
bin
Nayef
si
era
apertamente
opposto
all’embargo
contro
il
Qatar.
Questo
sarà
stato
visto
sicuramente
come
un
atto
di
profonda
infedeltà
dal
re e
anche
dal
giovane
cugino,
che
hanno
ben
deciso
di
optare
per
un
cambiamento
all’interno
della
linea
di
successione.
L’embargo
contro
il
Qatar,
la
lotta
contro
i
ribelli
sciiti
in
Yemen,
tutte
queste
mosse
delineano
una
sola
cosa
nell’agenda
politica
estera
saudita:
una
rapida
e
fronte
impronta
all’espansionismo
regionale.
E
Mohammed
bin
Salam
è
stato
da
sempre
un
forte
sostenitore
di
questa
linea.
Basti
ricordare
che
è
stato
proprio
lui
a
ordinare
l’intervento
militare
in
Yemen
in
qualità
di
ministro
della
difesa.
L’espansionismo
stesso
di
Riad
è
funzionale
a
contrastare
il
nemico
del
mondo
sunnita
per
eccellenza,
ovvero
Teheran.
Cercando
di
rendere
l’intera
penisola
araba
un’enorme
zona
d’influenza
sunnita,
i
sauditi
credono
di
poter
contrastare
meglio
l’Iran
e in
generale
qualsiasi
stato
mediorientale
che
possa
diventare
potenzialmente
una
minaccia.
Nell’ottica
del
dominio
regionale,
il
principe
bin
Salman
non
ha
remore
a
fare
pulizia
anche
in
casa
propria.
A
prova
di
ciò,
tra
il 4
e il
5
novembre
sono
state
arrestate
più
di
200
persone,
tra
cui
ministri,
uomini
d’affari
e 11
principi.
A
detta
di
bin
Salaman,
questi
fermi
farebbero
parte
di
un’inchiesta
più
grande
contro
la
corruzione
all’interno
del
regno.
Inoltre
negli
ultimi
mesi
molti
principi
dissidenti
sono
scomparsi
dalla
circolazione
senza
lasciare
alcuna
traccia
dietro
di
sé.
Diventa
quindi
palesemente
chiara
l’opera
invisibile,
o
presunta
tale,
di
repressione
capillare
di
ogni
individuo
o
gruppo
di
persone
che
possa
minacciare
o
anche
solo
contraddire
la
nuova
visione
dello
stato
imposta
recentemente
da
bin
Salman.
E
nonostante
egli
non
sia
sempre
stato
visto
bene
all’estero
come
suo
cugino
bin
Nayef,
si
sta
impegnando
allo
stesso
modo
per
promuovere
maggiormente
i
rapporti
con
l’Occidente,
in
particolar
modo
con
gli
Stati
Uniti.
Basti
pensare
solo
che
recentemente
è
stato
siglato
un
investimento
di
350
miliardi
di
dollari
a
favore
delle
industrie
di
armi
americane
per
i
prossimi
10
anni.
Non
parliamo
di
spiccioli.
In
conclusione,
l’Arabia
Saudita
sta
attraversando
un
periodo
di
transizione,
sia
dal
punto
di
vista
politico
sia
da
quello
culturale.
Risulta
ovvio
che
questo
cambio
di
potere
quanto
mai
inaspettato
potrà
portare
a
sviluppi
imprevedibili
nei
prossimi
anni.
Tuttavia
ciò
difficilmente
porterà
a
un’inversione
nei
rapporti
con
gli
Stati
Uniti,
essendo
i
più
grandi
partner
commerciali
del
regno
e
soprattutto
i
loro
più
grandi
sostenitori,
indipendentemente
dalle
scelte
prese
dai
Saud.
Forte
di
questa
sicurezza,
l’Arabia
Saudita
potrebbe
sentirsi
oggi
più
che
mai
giustificata
a
intraprendere
azioni
fortemente
destabilizzanti
nella
regione
al
solo
scopo
di
crearsi
una
serie
di
stati
satellite
a
protezione
dal
nemico
iraniano.
Ciò
non
solo
aggiungerà
benzina
all’immenso
incendio
mediorientale,
ma
allontanerà
di
anni,
se
non
di
decenni,
una
prospettiva
di
pace
stabile
per
tutto
il
mondo
arabo.