Il Borgo
medioevale di Appignano, frazione del Comune di
Castiglione Messer Raimondo( Provincia di Teramo), si
erge su una collina, a 374 metri sul l. m. , che domina
l’alta Valle del Fino. Il suo territorio, ancora in gran
parte da esplorare, nasconde interessanti vestigia del
passato.
Le origini
Il nome
Appignano, molto probabilmente, è di origine romana e
deriva dal latino apud Janum, che significa
vicino a Giano. Quindi, l’antico borgo è stato costruito
vicino ad un tempio dedicato al dio Giano.
La presenza
umana ad Appignano risale, certamente, alla prima età
del ferro. Infatti, all’inizio del Novecento è stata
rinvenuta vicino all’abitato una tomba ipogea femminile,
risalente al VII-VI sec. a. C., nella quale sono stati
rinvenuti tre ciondoli di bronzo a batocchio, un’armilla
in bronzo ed un tubetto di bronzo traforato per collana.
Nella stessa località sono stati ritrovati un frammento
di cippo calcareo (cm 25 per 18 e cm 12 di spessore ),
con una scritta monca in lingua latina ( parti di due
righe), alcune lastre di pietra albana, di circa cm 40
per 25 con uno spessore di alcuni cm ed un lastrone più
grande, di cm 90 per 60 e di 20 cm di spessore.
Sul vicino Monte
Giove sono stati rinvenuti, durante una campana di scavi
condotta nel 1974-75, i resti di un Tempio Italico
risalente al II sec. a.C.
Sul colle di
Appignano è stata costruita, probabilmente dai
Longobardi nel IX secolo, una torre quadrata, che è
stata inglobata nel borgo fortificato, a forma
trapezoidale, realizzato probabilmente nel XI o XII
secolo per assicurare la difesa della Valle e della
Strada Reale, che si staccava dalla Via Cecilia e che
collegava Teramo con Penne, passando per Appignano.
Sui resti del
castello medioevale, è stato realizzato, nel XVIII
secolo, il Palazzo Pensieri.
Il Castello di
Appignano è raffigurato nella Galleria delle Carte
Geografiche realizzata nel Vaticano da Antonio Danti di
Perugia negli anni 1580-1583, su indicazioni del
fratello Egnazio, domenicano, che era matematico,
cosmografo ed architetto.
Lo storico
Flavio Biondo (Forlì 1392-Roma 1463), nella sua opera
Italia illustrata, cita il Castello di Pignanum tra
quelli ubicati sulla destra del fiume Selino. Anche lo
storico F. Leandro Alberti, domenicano (Bologna
1479-1553), nella sua opera Descrittione di tutta
Italia, cita il castello di Pignano, tra quelli ubicati
sulla destra del fiume Sino (Fino). Appignano ha avuto
vari nomi ed ha seguito, in genere, le vicende storiche
di Castiglione (attuale Castiglione Messer Raimondo, il
Comune di cui è frazione).
Il periodo
medievale
La prima notizia
documentata risale al 21 luglio 951 quando Lupo, figlio
del Conte aprutino Maifredo, permuta con Elia, Abate del
Monastero di S. Angelo a Barrea, nel Sangro, dipendente
dall’Abbazia di Montecassino, 130 moggia di terreno
nell’ascolano con 100 moggia di terreno in territorio
aprutino, di proprietà del monastero, in località
Apoianum.
Nel 1122 Matteo
di Apruzio, figlio di Attone, dona Apoianum alla Chiesa
di Ascoli. Nel 1122 è feudatario del borgo Giacomo di
Adamo.
Nel Catalogus
Baronum (redatto negli anni 1150-1160) risulta che
Apignanum e Castiglione sono in feudo a Galgano di
Collepietro, figlio di Gualtiero, fratello del Conte
Oderisio di Bisenti. In quell’anno, la popolazione di
Appignano era di 132 anime (persone) e quindi doveva
fornite un milite a cavallo.
Inoltre, secondo
il Catalogo dei Feudi e dei Feudatari delle province
napoletane sotto la dominazione normanna ( redatto negli
anni 1154-1161), Appignano doveva fornire, in caso di
guerra, al Re ( che in quel periodo era Guglielmo) un
milite a cavallo e tre serventi o fanti (Castiglione
invece forniva due militi).
Con la Bolla del
10 giugno 1184, il Papa Lucio III riconosce la chiesa di
S. Michele di Apignano (ora scomparsa) sotto la
giurisdizione del Monastero di S. Giovanni di Atri, che
a sua volta dipende dal Monastero di S. Quirico a
Antrodoco.
Nel 1215,
secondo una leggenda, S. Francesco d’Assisi, che si
trova in quel periodo a Penne, passa nella Valle del
Fino per andare a dirimere una controversia, nella
cittadina di Isola del Gran Sasso, tra i marchesi
Castiglione di Penne e Palmeri di Tossicia, e fonda,
vicino al fiume Fino, un Convento con la Chiesa di S.
Maria Lauretana.
Il 1 aprile
1251, la chiesa di S. Maria in Apignano entra a far
parte della Diocesi di Atri, appena costituita. Nel
1268-1269 Arpinianum risulta tassata di 4 Once. Verso il
1270, Carlo I d’Angiò, dopo aver conquistato il Regno di
Napoli, distribuisce le terre ai sui Vassalli. In
particolare, il 5 ottobre 1273 divide l’Abruzzo in due
Giustizierati, separati dal fiume Pescara: il Citeriore(Citra),
con capoluogo Chieti e l’Ulteriore(Ultra), con capoluogo
Teramo. Nell’Abruzzo Ultra sono citati alcuni castelli,
fra i quali Arpanianum.
Nel 1277, i
feudatari di Apriniano o Apiniano o Aprignano sono
Gualtiero ( o Gualteri) e Bernardo. Questa notizia è
documentata in un atto regio del 1279. nfatti, in
quell’anno, il Re Carlo I, per sapere chi sono i suoi
feudatari in Abruzzo e soprattutto conoscere l’ammontare
delle tasse pagate, ordina loro di comparire davanti al
Giustiziere Regio. Così, il 15 maggio 1279, i suddetti
Gualtiero e Bernardo si presentano come feudatari di
Apriniano.
Nel 1283,
Bernardo comunica la morte di Gualtiero. I nuovi
feudatari di Apiniano sono Bernardo e Bandisio. Nel
1289, tutte le chiese di Appignano appartengono al
patronato dei marchesi Acquaviva di Atri. Il 9 ottobre
1320, è stabilito a Napoli, in 7 Once e 8 Grani
l’importo della tassa annua di Arpinianum. L’11 novembre
1328, dalle decime papali risulta che Don Bartolomeo,
Rettore della chiesa di S. Michele di Apiniano, paga un
carlino e mezzo d’argento, tramite il nobile Sir Maxio
de Synitio (Massio di Sinizzo). Nel 1361, feudatari del
borgo sono Raymundanus Candola ( o Candora) e la moglie
Aloysia de Ansa, i quali, con atto notarile del 26
giugno riconoscono al Capitolo (Diocesi) di Penne metà
del mulino ad acqua esistente sul fiume Fino. Nel 1401,
feudatario è Giacomo di Adamo. Nel 1411, ci sono altri
feudatari di Arrignano, tra i quali Masio Tile, che non
hanno pagato per intero l’adoa al Re, in sostituzione
dei militi che devono fornire. Il 2 ottobre 1417, la
Regina Giovanna II di Napoli, per pagare le sue milizie,
vende i Castelli (borghi) di Appignano e di Castiglione,
con tutte le loro pertinenze ( non solo i terreni, ma
anche gli uomini, compresi i Vassalli con le loro
tasse), alla Università ( Comunità) di Penne,
rispettivamente per 600 e 1200 ducati d’oro. Parte del
feudo di Appignano è acquistato anche da Gagliardo di
Padova.
Il 10 ottobre
1417, la Regina incarica il notaio Virdano Santità di
immettere i compratori nel possesso materiale dei
Castelli. Successivamente, il 9 dicembre, incarica il
Conte di Carrara, Vicerè degli Abruzzi, di riscuotere i
soldi dall’Università di Penne, per pagare le truppe.
Il 4 novembre
1418, la Regina Giovanna II fa cessare le vessazioni
sulla popolazione locale, pretendendo vettovaglie e
danaro, compiute dagli ufficiali regi incaricati
dell’amministrazione della giustizia nei vari Castelli
(borghi).
La signoria
degli Acquaviva
Intorno al 1430,
Giosia Acquaviva, di Atri, costituisce la Baronia di
Montesecco ( antico nome di Montefino, attualmente
Comune) che comprende anche Castiglione, che è coinvolta
nella guerra per il possesso del Regno di Napoli prima
tra gli Angioini e i Durazzeschi e poi tra gli Angioini
e gli Aragonesi.
Nel 1439,
Appignano è conquistato da Giosia Acquaviva ed entra a
far parte della Baronia di Montesecco, ma nel mese di
ottobre, il Castello è espugnato da Michele degli
Attendoli, al servizio di Francesco Sforza, signore
della Marca (regione di confine, attuale territorio di
Ascoli) e di Teramo, che egli aveva tolto ai Duchi
Acquaviva, per vendicare il saccheggio della città di
Ascoli del 1437.
La guerra tra
Angioini ed Aragonesi ( sostenuti da Giosia Acquaviva)
per la successione del Regno di Napoli, si protrae nella
Valle del Fino, nella Baronia di Montesecco, fino al
1441. Nel 1444, Giosia Acquaviva, figlio di Andrea
Matteo I, Duca di Atri, si ribella al Re Alfonso V
d’Aragona ( in seguito diventato Alfonso I delle Due
Sicilie ), che non gli ha concesso Atri e Teramo,
nonostante la sua fedeltà. Per punirlo, il Re gli toglie
il Castello di Castiglione e lo conferisce a Pietro
Paolo de Corvis.
Il 22 settembre
1446, a Gaeta, il Re Alfonso V d’Aragona conferma a
Giosia Acquaviva i suoi possedimenti nell’Abruzzo Ultra,
compreso Appugnanum, che conta 21 fuochi. Nel 1458,
feudatario di Appignano è Giovanni di Adamo.
Nel 1462, dopo
la morte di Giosia ( avvenuta a Cellino il 22 agosto), i
suoi possedimenti della Baronia di Montesecco ( compreso
Appignani) e quelli regi di Atri e Teramo vengono dati,
il 26 settembre, dal Re Ferdinando I d’Aragona ( detto
anche Ferrante I) a Matteo da Capua. Il giorno seguente,
però, il Re concede, con un privilegio, gli stessi
territori al figlio di Giosia, Giulio Antonio Acquaviva.
La gestione dei territori rimane però a Matteo da Capua.
Il 6 gennaio
1464, da Monopoli, il Re concede agli Acquaviva i
territori dell’Abruzzo Ultra, con le città di Atri e di
Teramo, che però sono sempre gestiti da Matteo da Capua.
Dalle Fonti
Aragonesi del 1468, relative al pagamento delle tasse,
apprendiamo che Appugnano paga 10 Ducati, 1 Tarì e 3
Grani per il terzo di Natale, di Pasqua e di Agosto; 5
Ducati, 3 Tarì e 8 Grani per il "tumulo straordinario di
sale imposto per il mese di giugno" e 2 Ducati e 3 Tarì
per la tassa del "mezzo tumulo di sale di ottobre".
Il 15 maggio
1481, a Matera, dopo la morte di Giulio Antonio
Acquaviva (7 febbraio) il Re Ferdinando I d’Aragona
concede al figlio Andrea Matteo III Acquaviva tutti i
feudi di parte paterna nell’Abruzzo Ultra ( Baronia di
Montesecco -con Appignani-, Atri e Teramo) e di parte
materna in Calabria ed in Puglia ( Contea di Conversano,
Marchesato di Bitonto). Però, Andrea Matteo III, come
già suo padre, non riceve il possesso di Atri e di
Teramo, benché sia morto Matteo di Capua, perché
appartengono al Demanio Regio. Questo fatto causa la sua
partecipazione alla Congiura dei Baroni, che esplode
nell’estate 1485, ma è rapidamente repressa. Per punire
Andrea Matteo III, il 13 marzo 1486, il Re Ferdinando I
gli toglie vari Castelli, compreso Appignani, e li cede
alla Civita (Comune) di Penne come ricompensa per
l’appoggio fornito contro i Baroni.
Il 15 maggio
1489, i Castelli dati a Penne, sono restituiti al
Marchese Acquaviva.
Nel 1495, quando
il Re francese Carlo VIII di Valois invade il Regno di
Napoli, Andrea Matteo III lo appoggia contro gli
Aragonesi, che non gli hanno concesso il possesso di
Atri e di Teramo. Nel maggio 1502, il Re francese Luigi
XII di Valois – d’Orleans conferma ad Andrea Matteo III
i suoi possedimenti, compreso il castello di Appignani.
Quando il Re
Ferdinando II d’Aragona recupera il Regno di Napoli, con
l’aiuto di truppe milanesi e pontificie, Andrea Matteo
III è dichiarato ribelle e perde tutti i suoi feudi. E’
perdonato dal nuovo Re Federico d’Aragona, ma ottiene
solo i feudi della Calabria e della Puglia e non quelli
dell’Abruzzo Ultra.
Nell’autunno
1501, in seguito al Trattato di pace di Granada dell’11
novembre 1500, il Regno di Napoli è diviso tra i
Francesi ( che ottengono l’Abruzzo e la Terra di Lavoro,
in Campania) e gli Spagnoli (che ottengono la Calabria e
la Puglia), Andrea Matteo III riottiene dai Francesi la
città di Atri e la Baronia di Montesecco (con Appignani),
ma non la città di Teramo, che è assegnata a Giovanna I
d’Aragona. Pochi anni dopo, scoppia la nuova guerra tra
i Francesi e gli Spagnoli e Andrea Matteo III è ferito
in battaglia e fatto prigioniero. Nell’ottobre 1505, in
seguito alla Pace di Blois del 22. 9. 1504, Andrea
Matteo III è liberato ed il 20 novembre 1506 riottiene
dal Re Ferdinando d’Aragona, detto Il Cattolico, il
possesso di tutti i feudi, compreso Appignani. Ottiene
anche il titolo di Duca di Atri e di Conte dell’Abruzzo
Ultra. Questa decisione è confermata il 28 luglio 1506
dai nuovi sovrani del Regno di Napoli: il futuro Carlo V
d’Asburgo e sua madre Giovanna.
Il 21 aprile
1526, vengono emanati da Giovan Francesco Acquaviva,
figlio primogenito di Andrea Matteo III, gli Statuti di
Castiglione, detti Capitoli Castiglionesi, che
riprendono quelli emanati qualche anno prima ad Atri. In
particolare, ogni borgo è retto da un Capitano ( in
seguito da un Governatore), che sovrintende alle
questioni militari ed amministra la giustizia sia civile
che penale, coadiuvato da una Corte (Mastrodotti,
Erario) e da Ufficiali ( Bargello, Cavaliere) . Invece,
l’amministrazione civile è affidata al Consiglio
Pubblico Generale, formato da 25 Signori del Reggimento,
eletti ogni 4 mesi, e dal Consiglio di Aggiunta,
costituito dal Camerlengo (amministratore dei beni della
Comunità), da due Assessori e da due Massari ( che hanno
il compito di controllare le finanze della Comunità).
Il 30 aprile
1526, lo stesso Duca approva la Tabella degli Emolumenti
delli Capitani della Baronia e le Istruzzuioni per li
Capitani dello Stato. Successivamente, nel 1551 sono
emanati altri provvedimenti e nel 1580 è regolamentato
l’Officio del Governatore. Nel 1528, il Duca di Atri
dona il Castello di Appignani a Sergio Frezza (o
Freccia), che chiede al Re il consenso per accettare la
donazione. Gli succedono il figlio Giovanni Girolamo ed
il nipote Giovanni Francesco.
Nello stesso
1528, il Duca, oberato di debiti contratti con gli
usurai per sostenere le ingenti spese sostenute per le
guerre per difendere i suoi feudi, vende, uno dopo
l’altro tutti i suoi beni e quando muore, il 29 gennaio
1529, non possiede più nulla. In particolare, Appignano
appartiene agli eredi di Sergio Frezza, a quale il Duca
Acquaviva lo ha donato.
Nel 1529,
Appianano è venduto, su istanza dei creditori, al
Consigliere Regio Giovanni Antonio Lanario.
Nel 1528, è
venduto anche il Castello di Castiglione a Giancarlo
Brancaccio, che nel 1530 conferma gli Statuti. Così, il
26 dicembre 1530, vengono eletti di nuovo, per 4 mesi, i
25 Signori del Reggimento, aiutati nelle loro funzioni
da due Assessori, due Massari e dal Camerlengo.
Nel 1567, il
Capitano dei Cavalleggeri Agostino Scorpione di Penne,
con privilegio del Re Filippo II d’Asburgo, Re di
Spagna, diventa Barone di Appignano e di Castiglione. Il
25 febbraio 1570, il Vescovo di Penne, Paolo Odescalchi,
ottiene dal Papa Pio V un Breve per visitare, secondo le
decisioni del Consiglio di Trento, le chiese della sua
Diocesi che non pagano le tasse alla Diocesi. Tra queste
chiese c’è quella di S. Pietro di Appignano. Nel 1580 (o
1586 ) Appignano è venduto da Antonio Lanario a Brunone
Benvenuti. Nel 1587, Appignano è riprodotto nella carta
geografica realizzata da Natale Bonifacio.
Nel Seicento,
molte notizie sui feudi della zona, compreso Appignano,
provengono dagli atti del Relevio. Nel 1617, il signore
di Appignano è Cesare Scorpione, di Penne. Nel 1653, è
soppresso, in seguito alla Bolla "Instaurandae regularis
disciplinae", emanata dal Papa Innocenzo X il 15 ottobre
1652, che riguarda i piccoli Monasteri con meno di 6
frati, il Convento Francescano con la Chiesa di S. Maria
Lauretana, che ha solo due frati e che era stato fatto
fondato, secondo la leggenda, da S. Francesco d’Assisi
nell’anno 1215. Nel 1669, feudatario è Giovanni
Scorpione di Penne, che ne è il Portolano.
Il
brigantaggio
Altre notizie su
Appignano si ricavano dalla lotta contro il
brigantaggio.
Alla fine del
Cinquecento, il territorio di Appignano, come quello
degli altri borghi della zona, è soggetto al
brigantaggio, in particolare alle scorreria della banda
di Marco Sciarra, detto "il re della campagna",
originario di Castiglione, che viene ucciso nel sonno
dal suo compagno Battistella.
Nel settembre
1675, Santo di Giovan Lucido, detto Santuccio, un
capobanda (detto anche caporale) dei briganti,
sottoscrive su indicazione del suo confessore, il
domenicano Fra Nicola da Cermignano, in seguito
all’emanazione di un Breve del Papa Clemente X, una
littera supplicatoria con la quale invoca il perdono
delle popolazioni colpite dai suoi misfatti. Tra le
località in cui Santuccio ha operato c’è anche Appignano,
dove la littera è pubblicata.
Il 7 gennaio
1683, il caporale Cicciotto, di Cortino, disertore dal
1678, ritorna ad Appignano, dove vive sua figlia, e
viene catturato ed ucciso dal capobanda locale Titta
Colaranieri, . La sua testa è inviata al Preside ( Capo
della Provincia) di Chieti.
Il catasto
del 1713
Il 12 settembre
1712, quando il Barone di Appignano è Nicolantonio
Castiglione, l’Università di Appignano richiede la
compilazione di un nuovo Catasto in quanto quello
attuale non si può più utilizzare perché parecchi beni
sono stati venduti a nuovi proprietari che non
risultano. La Regia Camera autorizza la richiesta ed il
10 gennaio 1713 ordina al Governatore di Aprigliano di
procedere alla "confettione del nuovo e generale Catasto
", in due copie.
Il 16 febbraio
1713, i due Massari dell’Università di Appignano si
recano dal Governatore Nicola Baroni e richiedono la
compilazione del nuovo Catasto. La richiesta è subito
accolta e dal giorno seguente, 17 febbraio, inizia il
lavoro dei due apprezzatori ed stimatori Francesco Di
Falcio e Giovan Domenico di Francesco, eletti dal Gran
Consiglio dell’Università. Ogni sera, fino al 30 giugno,
il pubblico balivo Sebastiano Di Donato, legge i bandi
per invitare i proprietari ad iscriversi nel Catasto.
Il Catasto si
compone di 70 carte, delle quali le ultime tre sono
bianche. Vi sono iscritte 68 persone, delle quali 8 sono
latifondisti ( tra questi il Barone Nicolantonio
Castiglione ed il Marchese Francesco Maria De Petris).
Il territorio di Appignano è diviso in 65 contrade (zone
in cui vive almeno una famiglia) e comprende i Feudi di
S. Clemente ( Valviano) e Casalorito.
I proprietari
terrieri sono, oltre a singoli cittadini, l’Università
di Appignano, la Corte Baronale ed il Capitolo (Diocesi)
di Penne.
Tra le attività
economiche sono registrate il molino vicino al Fiume
Fino, in Contrada Convento e la fornace di Davide
Pingelli in Contrada Picciolo, vicino alla Strada Reale.
Il centro urbano è diviso in Borgo e Terra, al di sotto
dei quali ci sono la Contrada sotto il Borgo ( o
Contrada del Borgo) e la Contrada sotto la Terra.
Nel Catasto
compaiono anche le seguenti otto fonti: Fonte Grande,
Fonte Jannafrida, Fonte Marzone, ( o Cadacchhio),
Fontanella, Fonte Gruccia, Fonte di Monte Anello, Fonte
Scolano, Fonte del Latte, Fonte Parruciola.
Riguardo alle
Chiese, oltre a quella di S. Pietro, che è la Chiesa
Prepositura (Parrocchia), c’è quella di S. Michele, che
però è "diruta"; inoltre, ci sono le Cappelle del SS.
Sacramento, del SS. Rosario, di S. Maria del Carmine e
del SS. Crocifisso.
L’occupazione
francese
Nel 1755, i
Feudi degli Acquaviva passano ad Isabella Acquaviva,
sorella di Ridolfo, subentrato nel 1745 a Domenico, la
quale muore nel 1757 senza lasciare eredi. Pertanto, il
Ducato di Atri, con tutti possedimenti, compreso
Appignano, diventa proprietà della Camera Regia, per cui
il Re li affida a 13 Governatori. Appignano è affidato
ai Marchesi Castiglione di Penne.
Nel 1759, viene
scritta, dal notaio Alessandro Marucci di Castiglione,
su richiesta del Sindaco della città avanzata nel 1756,
una nuova copia dei Capitoli Castiglionesi concessi nel
1526 da Giovan Francesco Acquaviva, Marchese di Bitonto,
figlio del Duca di Atri Andrea Matteo III e confermati
il 30 maggio 1530 da Giovanni Brancaccio. Vengono anche
riscritti gli altri atti emanati nel 1551 e nel 1580.
Nel 1789, i
disegnatori regi Antonio Berotti e Stefano Santucci
ritraggono con la tecnica dell’acquerello, i costumi di
Castiglione ( tra i quali alcuni di Appignano)utilizzando
come modelli degli abitanti (uomini e donne). Gli
acquerelli sono inviati a Napoli dove vengono riprodotti
sulle porcellane di Capodimonte.
Nel dicembre
1798, pochi giorni prima di Natale, Appignano è occupato
dalle truppe Francesi, al comando del Gen. Rusca, di
passaggio per Penne, dove giunge il 24 dicembre.
I Francesi
incontrano una certa resistenza, sostenuta anche dalle
bande di briganti, in alcuni borghi della Valle del
Fino.
L’occupazione
francese dura fino alla fine dell’aprile 1799. A Teramo
è costituito un Consiglio Supremo, con a capo Melchiorre
Delfico, con funzioni legislative sull’Alto ed il Basso
Abruzzo. In questo periodo, Edile ad Appignano e
Francesco Paolo Pensieri.
Con la
restaurazione borbonica, iniziano i processi ai filo
francesi, fino all’emanazione, il 30 maggio 1800, da
parte del Re Ferdinando IV, dell’Indulto per i "rei di
Stato ".
Nel 1803, c’è la
riforma dei Supremo Consiglio Generale, formato da 30
Consiglieri: 10 borghesi, 10 artigiani e 10 contadini.
Inoltre, i Massari vengono scelti, mediante sorteggio,
ogni 2 mesi ( in seguito ogni 6 mesi) da un elenco di 12
persone.
Nel 1804, il
Ducato di Atri è diviso in 5 Dipartimenti ed Appignano
appartiene al terzo.
Il 2 agosto1806,
è soppressa l’Università di Appignano, che diventa
frazione di Bisenti, insieme con Bacucco ( attuale
Arsita). Nello stesso anno ritornano i Francesi ed il
territorio subisce la seconda dominazione francese.
Il 31 marzo
1807, si insedia come Re del Regno di Napoli Giuseppe
Napoleone (Fratello di Bonaparte), sostituito in seguito
da Gioacchino Murat. Si sviluppa di nuovo la resistenza
contro i Francesi, la quale, diversamente da quella di
fine Settecento, non è più a sostegno dei Borboni, per
il loro ritorno al potere, ma è animata dai nuovi ideali
repubblicani e di libertà, che sono stati propagandati
proprio dai Francesi negli anni precedenti.
Nel 1810, sono
istituiti i Registri dello Stato Civile. Si sviluppa in
quel periodo la Carboneria. Nel 1814, uno dei centri più
attivi della Carboneria è Castiglione, dove è attiva la
Vendita "Auspici della Fortuna", diretta
dall’agrimensore Domenicantonio Toro, che è investito
come Gran Maestro nella Chiesa di S. Rocco, dopo un
solenne Te Deum.
Il 19 marzo
1814, i Carbonari dell’Abruzzo si riuniscono
segretamente a Castellamare per decidere le modalità
dell’insurrezione antrifrancese, che deve scoppiare a
Pescara il 25 marzo, in occasione della Festa
dell’Assunta. La rivolta fallisce per il tradimento di
un Carbonaro di Pescara. L’insurrezione però scoppia
egualmente il 27 marzo in varie città, tra cui Città S.
Angelo, Penne, Castiglione, Penna S. Andrea. Essendo
risultati vani i vari tentativi di coinvolgere altre
città, il 15 aprile i carbonari restituiscono il potere
alle autorità regie. A Penne, la decisione è contestata
dalla "Legione della morte", costituita da una
quarantina di Carbonari decisi a resistere sino alla
fine. Il Gen. Amato, Comandante della Piazza di Chieti,
usa clemenza verso i rivoltosi e viene per questo
sostituito dal Gen. Montigny.
I capi della
rivolta si danno alla clandestinità, ma vengono quasi
tutti catturati.
Domenicantonio
Toro si consegna e dopo l’arresto è condotto a Chieti,
passando per Castiglione, legato alla coda di un
cavallo. Successivamente, è rinchiuso nel carcere del
Castello de L’Aquila (detto il coccodrillo). E’
condannato a morte, ma al momento dell’esecuzione della
condanna, quando è davanti al patibolo, la pena è
commutata in ergastolo, poichè la moglie Maria Ruscitti
ha "acquistato" (sembra al prezzo di 110 ducati d’oro )
la Grazia del Re.
Toro è liberato
dal carcere nel 1815, con la restaurazione borbonica.
Muore a 98 anni, il 12 febbraio 1865, dopo aver speso il
suo patrimonio per sostenere le rivolte antiborboniche
del 1837 e del 1848.
Le ultime
vicende
Il 1817 è un
anno terribile per la popolazione della Valle del Fino,
che è decimata dalla carestia. A causa della fame
muoiono migliaia di persone ( solo a Castiglione i
decessi sono 281, il doppio di quelli dell’anno
precedente ed oltre quattro volte quelli degli anni
precedenti). Questo anno è ricordato come "l’anno della
fame".
Il 12 novembre
1833, Appignano è aggregato al Comune di Castiglione
Messer Raimondo.
Nel 1848-1849,
ci sono nella zona moti antiborbonici. In particolare,
il 16 febbraio 1849, dopo la proclamazione della
Repubblica Romana ( avvenuta a Roma il 9 febbraio), c’ è
una rivolta a Bisenti, che è repressa duramente.
Durante
l’occupazione nazista del 1943-1944, nel territorio di
Appignano opera un gruppo di partigiani ( denominato
Valviano), al comando di un ex prigioniero slavo fuggito
dal Campo di concentramento dopo l’otto settembre 1943.
Il 3 dicembre
1943, è effettuato ad Appignano un rastrellamento dai
tedeschi, che catturano una diecina di persone, avviate
al Servizio del lavoro nelle retrovie del fronte.
I tedeschi
abbandonano la zona il 13 giugno 1944, per ritirarsi
lungo la Linea Gotica.
La popolazione
di Appignano negli antichi censimenti
Periodicamente
era effettuato, soprattutto a fini militari e fiscali,
in tutto il Regno, il Censimento dei fuochi (famiglie) e
delle anime (abitanti).
Nel 1532,
Aprigliano ha 33 fuochi con 182 anime (abitanti). Nel
1545, ha 42 fuochi. Nel 1561, ha 43 fuochi con 237
anime. Nel 1595, ha 35 fuochi con 192 anime. Nel 1648,
ha 35 fuochi. Nel 1669, dopo la peste del 1656 che
stermina quasi un terzo della popolazione, ha 42 fuochi
con 131 anime. Nel 1797, ha 500 anime e 553 nel 1804.
CHIESE
S. Pietro
Apostolo
E’ la Chiesa
parrocchiale di Appignano. Risale al XII secolo, ma è
stata rifatta tra gli anni 1735-1780, soprattutto con il
contributo economico della famiglia Pincelli. Sono stati
realizzate numerose opere a rilievo, in stucco, sulle
pareti laterali.
Ci sono anche
cinque tele, realizzate nel 1769-1770 dal pittore
atriano Giuseppe Prepositi, (su commissione di
Bartolomeo De Berardino, procuratore della Confraternita
del SS. Rosario), poste sopra altrettanti altari ( due
dei quali oggi non più esistenti). In particolare,
ricordiamo le tele degli altari della Madonna del SS.
Rosario (del 1769) e della S. Croce (del 1770). Lo
stesso pittore Prepositi ha anche dipinto le 15 lunette
rotonde, poste intorno all’altare del SS. Rosario, che
rappresentano scene della Passione di Gesù Cristo.
La festa della
S. Croce ( per celebrare le vestigia della Croce sulla
quale è stato crocifisso Gesù, portate a Roma da S.
Elena, madre di Costantino) si celebra il 3 maggio ed il
14 settembre.
S. Michele
La Chiesa è
citata nella Bolla del Papa Lucio II del 10 giugno 1184.
In seguito è stata aggregata alla Diocesi di Atri,
costituita nel 1251. Era ubicata nella contrada Campo,
ma è andata distrutta e non ne rimane alcun resto
visibile. Infatti, risulta "diruta" nel Catasto del
1713.
S. Maria
Lauretana
Era la Chiesa
del convento francescano fondato nel 1215 da S.
Francesco che era di passaggio nella zona. E’ stato
soppresso nel 1653, in seguito alla Bolla del 15 ottobre
1652 del Papa Innocenzo X, relativa alla chiusura dei
piccoli Monasteri, con meno di 6 frati. Vi erano infatti
solo due frati (erano 4 nel 1631).
Il Monastero
faceva parte della "Custodia Pennese", con altri 8
Conventi, appartenente alla Provincia di S. Bernardino
dei Frati Minori Conventuali, uno dei tre Ordini
francescani.
Il Convento
occupava una superficie di 100 "canne" ( una canna è mq
1. 06). Aveva 6 camere nel piano superiore e 6 locali
nel piano terra ( cucina, cucinotto, cantina,
refettorio, fondaco, stalla). Aveva anche un chiostro
quadrato, con un doppio loggiato ( ancora in parte
visibile), con una cisterna al centro.
Dopo la
soppressione, il complesso conventuale, ad eccezione
della Chiesa, è stato venduto a privati.
Attualmente,
sono ancora visibili una parete con i resti di due
nicchie. C’è anche lo scheletro di una statua lignea,
attribuita a S. Antonio, che è rimasta sul luogo in
quanto, secondo una leggenda, ogni volta che la si
portava nella Chiesa di S. Pietro, il giorno dopo la si
ritrovava nel Convento.
Madonna del
Carmine
E’ stata
costruita " per volontà e con il contributo del popolo
appignanese" come ricorda una targa posta all’interno
della Chiesa, negli anni 1855-1858, in ringraziamento
della Madonna del Carmelo per aver protetto la
popolazione durante l’epidemia di peste del 1855.
Era adibita a
cimitero. Dopo l’editto napoleonico di Saint Cloud, che
proibì di seppellire nelle Chiese i defunti, questi si
dovevano portare nel nuovo cimitero di Castiglione,
realizzato nel fondovalle. Poichè il trasporto e la
visita ai defunti era alquanto disagevole per gli
abitanti di Appignano, questi attuarono una protesta
nel, in occasione del funerale di una giovane donna. Si
barricarono nella Chiesa, finchè non fu data loro
assicurazione che in tempi brevi si sarebbe costruito il
cimitero nel paese. E così fu.
Altri
monumenti
Ad Appignano,
fino agli anni cinquanta del Novecento, è in funzione un
mulino ad acqua, sul fiume Fino, in Contrada Convento,
vicino all’antico convento francescano.
Nel 1926, è
portata l’energia elettrica nel paese; vengono quindi
realizzati due mulini elettrici per macinare il grano,
uno dei quali rimane in funzione fino agli anni settanta
ed è tuttora visibile.
In Paese, vi
erano anche due frantoi (trappeti), i più antichi dei
quali a trazione animale, uno dei quali (elettrico) è
ancora in funzione.
Le otto Fonti,
descritte nel Catasto del 1713, sono state utilizzate
dalla popolazione finchè non è stato costruito
l’acquedotto, nel 1923.
L’unica fontana
antica, ancora visibile, è quella detta "Lu pisciarell"
nell’omonima località.