N. 19 - Luglio 2009
(L)
APOLOGIA AD COSTANTIUM
L'IMPORTANZA DELLO SCRITTO DI ATANASIO
di Alessio Calabrò
L’Apologia
a
Costanzo,
scritta
da
Atanasio
(patriarca
d'Alessandria
d'Egitto)
nell'estate
del
357
d.c.
e
indirizzata
all’imperatore
Costanzo
II,
assume
una
grande
importanza
per
comprendere
le
relazioni
tra
chiesa
egiziana
e
istituzione
imperiale
nel
IV
secolo
ed
inoltre
risulta
significativa
poiché
rappresenta
in
sintesi
lo
sviluppo
della
crisi
ariana,
che
a
sua
volta
ebbe
origine
nel
quadro
dei
contrasti
politici
e
teologici
interni
alla
chiesa
egiziana
del
III
– IV
secolo.
In
verità
il
dibattito
teologico
sulla
questione
trinitaria
era
già
iniziato
nel
II
secolo
con
Origene,
per
poi
svilupparsi
tra
i
pensatori
e
teologi
alessandrini;
ma
fu
solamente
all'inizio
del
IV
secolo
in
Egitto,
quando
il
patriarca
d'Alessandria
Pietro
(morto
nel
311)
era
in
esilio
a
causa
della
persecuzione
romana
ordinata
da
Diocleziano
(303
–
313),
che
si
produsse
lo
scisma
meliziano,
il
quale
non
ebbe
però
il
“solito”
carattere
teologico:
infatti
esso
avvenne
non
a
causa
di
posizione
dottrinarie
divergenti,
ma
a
causa
della
consacrazione
non
autorizzata
di
alcuni
vescovi,
unilateralmente
ordinati
da
parte
del
vescovo
Melezio
di
Licopoli.
Il
confronto
si
rivelò
quindi
puramente
politico,
poiché
riguardava
la
possibilità
per
qualsiasi
gerarca
ecclesiastico,
pretesa
dal
vescovo
Melezio
e
negata
dal
patriarca
Pietro,
di
poter
eleggere
altri
rappresentanti
dell'ecumene
cristiana.
Questo
primo
scisma
è
importantissimo
in
relazione
al
documento
qui
considerato
e
alla
vita
dello
stesso
Atanasio
per
due
motivi:
1) i
Meliziani
rappresentarono
sempre
i
più
attivi
delatori
di
Atanasio,
spesso
per
conto
degli
ariani;
questi
ultimi
infatti
non
vollero
mai
apparire
direttamente
coinvolti,
bensì
tentarono
costantemente
di
presentarsi
davanti
all'imperatore
come
giudici
imparziali,
al
di
sopra
delle
parti
in
lotta,
in
opposizione
ad
Atanasio
stesso,
che
evidentemente
difendeva
la
sua
persona;
2)
Ario,
il
fondatore
dell'arianesimo,
fu
uno
dei
vescovi
ordinati
“illegalmente”
da
Melezio
e in
seguito
con
la
sua
nuova
dottrina
ariana
(assai
più
pericolosa
della
precedente
meliziana
in
quanto
capace
di
mettere
in
discussione
la
divinità
del
Cristo
stesso
e
quindi
uno
dei
canoni
fondamentali
di
quello
che
sarà
il
credo
di
Nicea)
egli
esaspererò
le
discordie
già
esistenti
nella
Chiesa
egiziana.
Proprio
a
partire
da
questa
filiazione
tra
Melezio
e
Ario
si
può
comprendere
ed è
lecito
affermare
che
“c'est
sur
le
schisme
mélétien
que
l'arianisme
est
né
et a
grandì”
(Szymusiak).
Atanasio
che
rappresentò
uno
dei
più
accaniti
difensori
del
credo
niceno
(era
con
Alessandro
al
concilio
di
Nicea
del
325)
venne
nominato
patriarca
d'Alessandria
d'Egitto
l'8
Giugno
del
328,
ma
la
sua
elezione
fu
da
subito
fortemente
criticata
e
osteggiata,
anche
violentemente,
da
ariani
e
meliziani.
È
necessario
ricordare
questa
feroce
opposizione
in
quanto
appare
indicativa,
non
solo
dell'odio
che
gli
eretici
provarono
immediatamente
verso
la
figura
di
Atanasio
e
che
fu
la
causa
di
tutte
le
sue
disgrazie,
ma
anche
del
gioco
di
potere
(sicuramente
più
politico
che
religioso)
che
venne
ad
instaurarsi
tra
il
patriarca
difensore
del
credo
niceno
e il
clero
ariano
d'Alessandria.
In
seguito
Atanasio
conobbe
sorti
alterne,
a
seconda
che
l'imperatore
seguisse
la
fede
di
Nicea
o
quella
ariana.
Alla
metà
del
IV
secolo,
periodo
durante
il
quale
fu
scritta
l'opera
apologetica
qui
considerata,
l'imperatore
era
Costanzo
II,
padrone
non
solo
dell'Oriente
romano,
ma,
in
seguito
alla
battaglia
del
28
Settembre
351
presso
Mursia,
dove
sconfisse
l'usurpatore
Magnezio,
anche
di
tutto
l'Occidente.
Costanzo
II
fu
vicino
all'arianesimo
come
posizione
teologica
e di
conseguenza
Atanasio,
sempre
al
centro
degli
odi
meliziani
e
ariani,
divenne
facile
vittima
delle
macchinazioni
dei
sui
nemici,
ora
sostenuti
dall’imperatore
“semi-ariano”;
inoltre
la
morte
di
Costante
(350),
di
Ossio
di
Cordova
e la
sostituzione
del
papa
Giulio
(356)
lasciarono
il
patriarca
alessandrino
senza
alcuna
protezione.
Tra
il
novembre
353
e
l'estate
355
Costanzo
II
su
consiglio
di
Valente
di
Mursa
e
Ursace
di
Singidunum
(ferventi
discepoli
di
Ario),
organizza
due
concili,
Arles
e
Milano,
nei
quali
lo
stesso
imperatore
si
pronunciò
imponendo
la
condanna
di
Atanasio
a
tutti
i
vescovi
(ariani
e
non);
d’altra
parte
il
patriarca
alessandrino
ebbe
sempre
il
sostegno
della
maggior
parte
della
popolazione
d'Alessandria,
che
con
tanto
ardore
si
oppose
nel
356
ai
messi
imperiali
da
rendere
addirittura
necessario
l'arrivo
dell'armata
romana
per
far
cessare
la
sollevazione
popolare.
In
conseguenza
dell'arrivo
delle
legioni
romane,
l' 8
febbraio
356,
Atanasio
fu
costretto
a
fuggire
dalla
città
per
la
terza
volta,
andando
a
rifugiarsi
nel
deserto
dai
suoi
amici
monaci,
tra
i
quali
Antonio.
Fu
dunque
nel
357
che
Atanasio
nascosto
in
un
eremo
concepì
e
scrisse
questa
apologia
ad
Costantium;
opera
pensata
con
il
doppio
proposito,
di
discolparsi
da
tutte
le
accuse
meleziane/ariane
(«di
aver
cercato
di
aizzare
Costante
contro
Costanzo
II
(2-5);
di
essersi
scambiato
una
lettera
con
l'usurpatore
Magnezio
(6-13);
di
avere
celebrato
una
messa
dentro
una
chiesa
non
ancora
consacrata
(14-18);
di
avere
rifiutato
un
ordine
dell'imperatore
(19-21)»)
e di
riuscire
a
convincere
Costanzo
II
della
sua
buonafede,
mostrando
per
opposizione
la
malafede
dei
suoi
avversari
(«le
prima
vessazioni
di
Syriano
(22-25);
l'attentato
dell'8
febbraio
e la
sua
fuga
forzata
(25-26);
la
persecuzione
contro
il
popolo
e i
vescovi
(27-33)»).
Questa
lettera
di
Atanasio
appare
caratterizzata
da
un
impronta
evidentissima
di
emozione
che
non
è
rintracciabile
nelle
opere
precedenti,
forse
dovuta
alla
situazione
nella
quale
egli
si
trovava,
estremamente
difficile
da
gestire
e
molto
pericolosa
per
la
sua
stessa
incolumità;
proprio
da
questo
carattere
emozionale
e
dai
molti
argomenti
affrontati
è
possibile
ricavare
validi
spunti
propedeutici
ad
una
profonda
analisi
sulle
motivazioni
che
spinsero
il
patriarca
alessandrino
a
scrivere
l’Apologia
a
Costanzo.
Innanzitutto
sembra
strano
che
Atanasio,
dopo
i
concili
di
Arles
e
Milano
che
avevano
rivelato
le
opinioni
di
Costanzo
II
contrarie
alla
fede
di
Nicea,
si
appelli
ancora
al
sovrano
per
ottenere
pietà,
comprensione
e la
restituzione
del
vescovado
alessandrino,
quasi
non
fosse
ancora
a
conoscenza
dell'esito
di
questi
concili;
forse
sperava
ancora
di
riuscire
a
fare
presa
sulla
coscienza
dell'Imperatore
tramite
l’uso
di
una
spregiudicata
eloquenza.
Quale
fu
il
vero
obbiettivo
(forse
non
così
evidente
come
sembra)
che
Atanasio
perseguì
redigendo
l'apologia
a
Costanzo
II?
Quali
furono
le
motivazioni
che
spinsero
Atanasio
a
scrivere
tale
difesa
personale
in
quel
momento
e in
quella
terminologia?
A
livello
storico
la
più
grande
evidenza
che
emerge
in
seguito
all'analisi
del
testo
considerato
è la
supremazia
del
potere
imperiale
su
quello
ecclesiastico
nel
IV
secolo.
È
necessario
rimarcare
che
con
il
concilio
di
Nicea
del
325,
convocato
e
diretto
da
Costantino,
si
verificò
l'intromissione
definitiva
del
potere
imperiale
negli
affari
della
fede
cristiana,
questa
ingerenza
fu
di
incalcolabile
importanza,
poiché,
a
partire
da
questo
momento
storico,
le
sorti
della
Chiesa
divennero
strettamente
dipendenti
dal
volere
dell'imperatore
di
turno.
A
partire
da
questa
premessa
si
può
comprendere
molto
dell'operato
di
Atanasio
e
sulle
intenzioni
dell'
“apologia
ad
Costantium”:
infatti
nella
lettera
l'imperatore
viene
chiamato
più
volte
a
mettere
in
ordine
la
situazione
religiosa
e
viene
spronato
a
far
trionfare
la
giusta
fede;
sembra
dunque
scontato
per
Atanasio
considerare
l'autorità
dell'imperatore
come
l'unico
potere,
legittimo
ed
effettivo,
capace
di
riportare
ordine
nella
turbolenta
e
divisa
Chiesa
di
Cristo.
Questa
differenza
di
forza,
più
volte
riconosciuta
nello
scritto
del
vescovo
alessandrino,
derivava
dal
fatto
che,
mentre
il
sovrano
romano
si
trovava
alla
testa
di
un'istituzione
ormai
secolare
e
consolidata,
i
vescovi,
dal
canto
loro,
stavano
a
capo
di
un
istituto
ancora
giovane,
che
doveva
ancora
stabilire
i
suoi
fondamenti
e
che
dunque
non
poteva
ancora
confrontarsi
direttamente
con
l'Impero;
d'altra
parte
è
necessario
ricordare
come
Atanasio
all'interno
della
città
d'Alessandria
avesse
conseguito
sulle
masse
un
potere
praticamente
uguale
a
quello
di
un
re.
Da
questi
presupposti
è
possibile
quindi
dedurre
come
nel
IV
secolo
sul
piano
internazionale
l'impero
fosse
ancora
l'istituzione
più
organizzata
e
potente,
ma
se
si
considera
il
livello
locale
(singole
città
o
comunità),
come
ben
presenta
il
caso
del
rapporto
tra
gli
alessandrini
ed
il
loro
patriarca,
le
strutture
ecclesiastiche
avevano
spesso
già
preso
il
sopravvento
sulle
antichi
organismi
pubblici
romani.
Per
quello
che
concerne
le
reali
intenzioni
che
Atanasio
perseguì
scrivendo
la
propria
apologia
all'imperatore
esistono
diverse
interpretazioni:
1)
Lo
storico
L.
W.
Barnard
(nell'articolo
Athanase
et
les
empereurs
Costantine
et
Costance)
sostiene
che
nell'opera
considerata
si
riflette
il
pensiero
di
un
uomo
che
ebbe
una
tale
considerazione
del
potere
imperiale
da
non
riuscire
nemmeno
a
immaginare
la
possibilità
di
una
divisone
tra
potere
spirituale
e
potere
temporale.
Quando
Atanasio
scrisse
la
sua
apologia
a
Costanzo
II
(se
consideriamo
vere
le
sue
affermazioni)
egli
si
preoccupa
costantemente
di
apparire
estremamente
riverente
nei
confronti
de
“l'Augusto
molto
amato
da
Dio”,
nonostante
che,
ai
sinodi
consecutivi
di
Arles
(353)
e
Milano
(355),
Costanzo
II
abbia
obbligato
i
partecipanti
ad
accettare
e
confermare
la
condanna
del
patriarca
alessandrino.
Di
fatto
Atanasio
si
sforzò
di
apparire
deferente
e
rispettoso,
mostrando
come
egli
continui
a
considerare
il
sovrano
l’unico
legittimo
discendente
spirituale
di
Davide
e
Salomone;
di
conseguenza
egli
non
mise
mai
in
discussione
il
diritto
dell'imperatore
di
deporre
un
vescovo,
purché
lo facesse
nell'interesse
della
pace
e
della
Chiesa.
In
conclusione,
per
Barnard,
Atanasio
ancora
nel
357,
dopo
molto
anni
di
lotta
e di
esilio
dal
deserto
più
profondo,
dove
andò
a
rifugiarsi,
non
ammise
la
ribellione
contro
lo
Stato
come
una
possibile
attitudine
cristiana;
2)
Nell'opera
di
Eugène
Fialon
“Saint
Athanase,
étude
littéraire
sur
l'apologie
a
Costance
e
l'apologie
pour
sa
fuite”
viene
proposta
una
differente
interpretazione
delle
motivazioni
di
Atanasio.
Fialon
parte
da
una
considerazione,
peraltro
discutibile,
sul
carattere
del
patriarca
alessandrino
e
più
in
generale
di
tutti
i
greci
antichi
per
spiegare
la
maniera
in
cui
quest'opera
fu
concepita
e
redatta
(ricordiamoci
che
Alessandria
fu
per
secoli
un
vitalissimo
centro
della
cultura
ellenistica);
lo
storico
francese
vede
emergere
dalle
frasi
dell'apologia
due
attitudini
opposte:
davanti
ai
suoi
nemici
Atanasio
è
radicale
quasi
fanatico
nella
piena
convinzione
della
sua
giusta
causa
e
della
sua
superiorità
spirituale,
incapace
di
donare
una
benché
minima
possibilità
di
conciliazione;
d’altra
parte
davanti
al
potere
imperiale
la
sua
fierezza
cade
per
fare
spazio
alla
reverenza:
“sa
dignité
s'abaisse
jusq'à
la
finesse”.
Allora
per
Fialon
si
può
affermare
che
il
comportamento
del
patriarca
alessandrino
riflette
la
duplicità
o
piuttosto
la
contraddizione
di
carattere
che
era,
a
suo
avviso,
tipica
dell’uomo
greco:
“le
type
qui
résume
le
plus
complétement
la
double
nature
du
grec
c'est
l'inseparable
couple
Diomède
et
Ulysse”.
Atanasio
allo
stesso
modo
è
fiero
e
inflessibile
con
i
suoi
nemici
ma
anche
incredibilmente
docile
davanti
all'imperatore.
In
questa
interpretazione
del
carattere
dell'implacabile
nemico
dell'eresia
si
può
scorgere
la
capacità
di
Atanasio
di
tenersi
su
una
sorta
di
terreno
neutrale:
non
una
parola
contro
la
sua
cieca
fede
per
il
credo
di
Nicea,
non
una
parola
contro
il
principe
benché
semi-ariano;
questa
è la
flessibilità
dello
spirito
greco
che
per
Fialon
ben
emerge
dall'analisi
dell'
“apologia
a
Costanzo
II”;
3)
Esiste
ancora
una
interpretazione
differente
di
quest'opera
sviluppata
da
J.
M.
Szymusiak
nel
testo
“Apologie
à l'empereur
Constace,
apologie
pour
sa
fuite
(traduciton
et
texte
critique”.
Per
questo
ultimo
storico
il
testo
fu
scritto
più
per
circolare
tra
i
vescovi
e il
popolo
di
Alessandria,
che
per
essere
letto
dal
sovrano.
Partendo
dalla
convinzione
che
Atanasio
era
sicuramente
in
una
buona
posizione
per
conoscere
la
condotta
di
Costanzo
II,
Szymusiak
crede
che
dietro
alle
forme
eccessivamente
rispettose
e
dietro
alla
scelta
di
precise
citazione
delle
Sacre
Scritture,
si
possa
ravvisare
un
ironia
latente,
ma
alla
quale
l'imperatore
e
gli
eventuali
lettori
non
potevano
rimanere
insensibili.
Il
tono
e le
circostanze
dell'opera
fanno
pensare
che
Atanasio
non
perseguisse
in
realtà
che
un
obbiettivo:
quello
di
far
circolare
le
sue
idee,
di
fare
sentire
la
sua
presenza,
di
manifestare
la
sua
invincibile
fedeltà
ai
dogmi
di
Nicea
e di
dimostrare,
ai
vescovi
di
Alessandria
che
gli
erano
ancora
fedeli,
che
nonostante
tutto
non
si
era
ancora
arreso.
Nel
complesso,
al
di
là
delle
differenti
interpretazioni
date
alle
reali
intenzioni
che
Atanasio
perseguì
redigendo
l’Apologia
a
Costanzo,
emerge
dal
testo
la
personalità
di
uomo
dotato
di
una
fanatica
fiducia
nel
proprio
credo,
ma
la
tempo
stesso
capace
di
una
razionale
condotta
politica,
inflessibile
persino
davanti
alle
persecuzioni
più
dure
e
sempre
pronto
allo
scontro,
anche
violento.
Il
rapporto
con
l’imperatore
Costanzo
II
fu
decisamente
più
politico
che
religioso,
non
vi è
traccia
nell’Apologia
di
speculazioni
teologiche
sulla
divinità
o
meno
del
Cristo:
infatti
Atanasio
cercò
principalmente
di
discolparsi
dalle
accuse
ariane
e di
riversarne
altre
sui
suoi
avversari,
ma
sempre
mantenendosi
su
un
piano
strettamente
politico,
tentando
di
convincere
l’imperatore
non
della
giustezza
della
sua
fede
(impresa
tra
l’altro
quasi
impossibile
vista
la
preferenza
del
sovrano
per
l’arianesimo),
bensì
della
convenienza
politica
e
sociale
di
una
condotta
più
equilibrata
(si
pensi
alla
città
di
Alessandria
fedelissima
al
proprio
patriarca
e
costantemente
in
rivolta
contro
i
rappresentanti
imperiali)
che
non
si
lasci
influenzare
dalle
infide
parole
di
eretici
violenti
e
sanguinari.
Un’opera
questa
che,
benché
minore,
può
essere
considerata
indicativa
di
un’intera
epoca;
vi
si
trovano
infatti
al
suo
interno
tutte
le
tematiche
più
importanti
che
caratterizzarono
il
IV
secolo:
lo
scontro
con
gli
ariani
e i
meliziani,
il
rapporto
tormentato
con
l’Impero,
la
tensione
costante
tra
fede
e
ragion
di
Stato,
la
forte
cristianizzazione
delle
masse
cittadine
orientali
e su
tutto
ciò
l’incredibile
personalità
di
Atanasio,
del
“fidei
defensor”,
che
di
tutte
queste
espressioni
del
suo
tempo
fu
tra
i
protagonisti
assoluti
Riferimenti
bibliografici:
Athanase
d’Alexandrie,
Apologie
à l’empereur
Constance,
Apologie
pour
sa
fuite,
introduction,
texte
critique
et
notes
de
J.
M.
Szymusiak,
Ed.
du
Cerf,
Paris,
1958.
Eugène
Fialon,
Saint
Athanase,
étude
littéraire
sur
l'apologie
a
Costance
e
l'apologie
pour
sa
fuite,
Ed,
Ernest
Thorin,
Paris,
1877.
L.
W.
Barnard,
Athanase
et
les
empereurs
Costantin
et
Costance,
in
Politique
et
theologie,
1974,
pp.
127-143.