filosofia & religione
ANTONIO ROSMINI E I ROSMINIANI
VERONESI
UNA DIFFICILE CONVIVENZA
di Raffaele Pisani
Rosmini morì nel 1855, a 58 anni, ma le
sue idee continuarono a circolare
provocando non poche preoccupazioni
nella gerarchia ecclesiastica, impegnata
a difendere l’ortodossia cattolica e a
mantenere buoni rapporti con i vari
stati. La sua filosofia partiva dai
problemi gnoseologici: cosa si può
conoscere? Da dove parte il cammino
della conoscenza? Egli riteneva che il
sensismo empiristico peccasse per
difetto in quanto non ammetteva nulla di
innato, d’altra parte vi erano filosofi,
da quelli antichi a quelli a lui
contemporanei, che ammettevano troppi
elementi a priori.
Kant riteneva presenti, a prescindere
dall’esperienza, 17 forme nello spirito
umano: lo spazio e il tempo della
sensibilità, le dodici categorie
dell’intelletto (Verstand) e le
tre idee della ragione (Vernunft).
A queste Rosmini opponeva la sola idea
innata di essere come capace di
spiegare la conoscenza umana. Quando
l’idea di essere si unisce a un
sensazione si ha una conoscenza di un
qualcosa di determinato; dall’idea di
essere seguono logicamente le idee pure
di identità, di contraddizione, di
sostanza ecc., mentre per le idee
empiriche è necessario il sentimento
fondamentale corporeo e le varie
sensazioni. Già da queste poche righe si
può capire perché venisse chiamato il
Kant italiano, perlopiù da chi non
intendeva fargli un complimento.
La sua vastissima produzione non è
limitata alla teoria della conoscenza ma
riguarda tantissimi altri campi, dalla
teologia all’antropologia, dalla morale
al diritto e alla politica. Ritornando
al riferimento a Kant, pur se il
discorso gnoseologico sembra avere una
qualche affinità, per ciò che riguarda
la metafisica la differenza non potrebbe
essere più grande. Per Rosmini è
l’essere reale ontologico che determina
l’idea di essere nella nostra mente; su
questo punto fondamentale si trova dalla
stessa parte di Tommaso d’Aquino, non
certamente da quella del filosofo di Könisberg.
A un certo punto della sua esistenza gli
avvenimenti storici lo distolsero per un
po’ dai suoi abituali studi. Cattolico
liberale al pari dell’amico Manzoni,
nell’estate del 1848 dopo la sconfitta
di Carlo Alberto a Custoza e la firma
dell’armistizio di Salasco, venne
incaricato dal governo del Regno Sabaudo
di una delicata missione diplomatica
presso il papa. I convulsi avvenimenti
del 1848-1849 lo videro a Roma quando
venne assassinato Il primo ministro
Pellegrino Rossi ed esplosero dei moti
popolari, poi a Gaeta al seguito di Pio
IX. I contrasti con la curia, nella
quale andava prevalendo la linea
reazionaria del cardinale Antonelli, lo
convinsero a congedarsi dal papa. Passò
gli ultimi anni della vita a Stresa,
sulla sua morte grava il sospetto che
sia dovuta ad avvelenamento.
Se prima
del biennio rivoluzionario, godendo
della grande stima del pontefice,
nessuno aveva osato criticare
apertamente le sue opere, ora che la
situazione s’è incrinata e anche il papa
si è messo sulla difensiva, c’è una
certa aria di sospetto che porterà la
messa all’indice di due suoi libri:
La costituzione secondo la giustizia
sociale e Le cinque piaghe della Santa
Chiesa.
Negli anni seguenti il 1848-1849, con
l’Austria che riprese il controllo dei
propri territori e il papa che poté
rientrare a Roma grazie all’intervento
francese, il clima anticostituzionale e
antiliberale si fece più evidente e
Rosmini venne fatto oggetto di tante
critiche, accompagnate da insulti e
calunnie.
Visto che il Decreto del silenzio,
imposto nel 1843 dal precedente
pontefice Gregorio XVI, impediva ai
nemici di Rosmini di esprimersi
apertamente, questi si servono perlopiù
di libelli anonimi. Uno di questi,
denominato Postille, venne fatto
circolare e sottoposto al giudizio di
vari vescovi. Conteneva proposizioni
estratte da testi rosminiani sulle quali
si avanzavano sospetti: si diceva che
avrebbero potuto essere false, erronee,
ereticali o genericamente dannose alle
anime.
Si mirava a ottenere dal papa la
condanna dell’intero pensiero di Rosmini.
Pio IX istituì una commissione che
lavorò a lungo e che nel 1854, un anno
prima della morte del filosofo, chiarì
solennemente con il decreto
Dimittenda che
«Tutte
le opere di Antonio Rosmini Serbati,
delle quali recentemente si è istituito
l’esame, devono essere prosciolte e
nulla affatto, a causa di questo esame,
deve essere detratto alla fama
dell’autore e alla società religiosa da
lui fondata, alle lodi della vita e alle
singolari benevolenze verso la Chiesa».
Antoni Rosmini deve aver molto gioito di
questo giudizio che appoggiava
chiaramente la congregazione da lui
fondata nel 1829: l’Istituto della
Carità.
Nonostante ciò, negli ultimi decenni
dell’Ottocento con l’egemonia del
pensiero neo-tomista tutta la sua opera
verrà vista con sospetto, se non
condannata apertamente verrà comunque
ritenuta poco adatta a difendere la
sacra dottrina cristiana dalle tante
concezioni erronee che si stavano
prospettando. L’avversione di molti
cattolici verso il Rosmini derivava
dalla sua adesione a un cattolicesimo
liberale, peraltro moderato, e alla sua
posizione filosofica
platonico-agostiniana.
A Verona nel 1832 un prete illuminato,
don Nicola Mazza, aveva fondato un
istituto per venire incontro alle
esigenze dei ragazzi poveri ma di
grande ingegno, da avviare non solo
al sacerdozio ma anche verso ogni tipo
di studi a seconda delle rispettive
propensioni personali. Per seguirli nel
cammino formativo venne anche costituito
un Collegio universitario a Padova.
Il clima dell’istituto, aperto alla
discussione e al dialogo in ogni campo,
aveva favorito l’accoglimento delle idee
rosminiane. Ma negli anni in cui la
commissione pontificia esaminava il
pensiero del filosofo il fondatore
ritenne opportuno impedirne la lettura
all’interno dell’istituto, questo
atteggiamento di prudenza serviva a non
inimicarsi la Curia Romana e il governo
austriaco.
Il decreto del 1854 di cui abbiamo detto
avrebbe dovuto liberare da ogni
interdizione alla lettura, ma non fu
così. Il conte don Pietro Albertini, il
benefattore che aveva messo a
disposizione gli stabili e i terreni su
cui aveva sede l’istituto, vincolò
questa sua elargizione a
«che
il Rev. Don Nicola Mazza proibisca a
tutti i suoi allievi sien preti chierici
o secolari e non dia mai loro, né da se
stesso né per mezzo di alcun altro,
niuna delle opere del Rosmini».
Non potendole definire eretiche, si
limitava a dire che erano oscure,
cattive e sospette. La nuova situazione
che si venne a creare provocò l’uscita
di quattro preti che andarono costituire
una sorta di cenacolo, chiamato covo dai
detrattori, in cui si poteva discutere
liberamente. Diversi simpatizzanti
tenevano rapporti epistolari con il
gruppo.
Gli anni Sessanta dell’Ottocento
vedranno importanti avvenimenti. Nel
1861 venne nominato vescovo di Verona
Luigi di Canossa; è cosa nota che la
nomina dei vescovi doveva essere gradita
al governo austriaco. Il suo ministero
durerà ben 39 anni e sarà caratterizzato
da una difesa intransigente del
temporalismo, sia prima sia dopo
l’annessione del Veneto al Regno
d’Italia del 1866. Nel 1865, poco dopo
la morte del Mazza, tolse all’istituto
la facoltà di formare i chierici, che
passeranno direttamente al seminario
diocesano. Si trattava di un’azione
accentratrice nell’intento di
salvaguardare i futuri preti dalle idee
rosminiane, che il vescovo riteneva
pericolose.
Con queste limitazioni l’istituto
proseguì comunque la sua attività;
funziona tutt’ora come Pia Società e
Fondazione, con scuola media e liceo.
Non manca di organizzare attività
sociali e culturali aperte alla
popolazione, pubblica una rivista e
molte opere librarie con una propria
casa editrice.
Riprendendo il discorso ottocentesco,
grazie a questa istituzione, nota anche
per altri motivi: formazione delle
fanciulle e attività missionaria, si
erano formati dei sacerdoti
particolarmente dotti nelle discipline
filosofiche e teologiche che operarono
come insegnanti nei seminari e nei licei
del Veneto. Anche chi era semplicemente
a capo di qualche parrocchia non perdeva
l’abitudine di approfondire il pensiero
filosofico generale e rosminiano in
particolare, confrontandosi in via
epistolare con altri e talvolta
partecipando a qualche convegno.
Notevole
fu la loro produzione letteraria: saggi,
trattati, lettere e prese di posizione
sul dibattito rosminiano. C’era anche
qualche laico, come l’avvocato bresciano
Giuseppe Tovini, animatore nazionale
dell’Opera dei Congressi, o il veronese
Paolo Perez, che assieme a Giuseppe
Calza scrisse la monumentale
Esposizione ragionata della filosofia di
Antonio Rosmini.
L’enciclica Aeterni Patris, emanata da
Leone XIII nel 1879, costituì in un
certo senso il manifesto del neotomismo.
Sappiamo delle divisioni nei cattolici
italiani tra conciliaristi e
intransigenti, che anche sul tema
rosminiano presero due strade diverse:
alcuni ritenevano che il pensiero
tomista e quello rosminiano potessero
collaborare per meglio comprendere le
verità rivelate, di contro altri
pensavano che il primo escludesse il
secondo. La polemica era molto accesa,
dall’una come dall’altra parte. La
pubblicazione delle opere che Rosmini
non aveva fatto in tempo rivedere
adeguatamente per la stampa, con qualche
inevitabile oscurità nell’espressione,
diede fiato ai detrattori, questi,
fissandosi su alcune proposizioni
estratte dal contesto, avevano buon
gioco nella contesa.
Nel 1888 con il decreto pontificio
Post obitum vennero condannate,
senza tuttavia definirle eretiche,
quaranta proposizioni, in gran parte
estrapolate dalle opere postume; fu un
colpo durissimo per i rosminiani, che
comunque accettarono con spirito di
obbedienza. Don Giuseppe Calza, parroco
di Zevio, scrisse a nome dei rosminiani
veronesi sul quotidiano diocesano Verona
Fedele un lungo articolo nel quale, pur
esprimendo l’amarezza del momento,
dichiarava l’assoluta obbedienza al
pontefice.
Per un lungo periodo il nome di Rosmini
fu visto con sospetto, è vero che ci
sono state delle notevoli e lodevoli
eccezioni, per restare a Verona si può
ricordare don Giovanni Calabria, ora
santo, che in preparazione del
centenario della morte del filosofo
roveretano, si adoperò per far conoscere
al clero italiano il suo pensiero
filosofico e teologico.
Bisogna arrivare al 2001 per dichiarare
“ormai superati i motivi di
preoccupazione” che avevano portato
alla condanna del 1888 (Ratzinger: Nota
della Congregazione per la dottrina
della Fede).
Nel 2007 Antonio Rosmini verrà
dichiarato beato.
Riferimenti bibliografici:
Romeo Camponogara, Antonio Rosmini.
Don Nicola Mazza e i rosminiani veronesi
di via S. Carlo dai documenti d’archivio,
(opuscolo) Verona 1995
Rino Cona, Nicola Mazza. Un prete per
la chiesa e la società, Casa
Editrice Mazziana, Verona 2006
Maurilio Guasco, Storia del clero in
Italia dall’Ottocento a oggi,
Editori Laterza, Roma-Bari 1997. |