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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 156 / DICEMBRE 2020 (CLXXXVII)


filosofia & religione

ANTONIO ROSMINI E I ROSMINIANI VERONESI

UNA DIFFICILE CONVIVENZA

di Raffaele Pisani

 

Rosmini morì nel 1855, a 58 anni, ma le sue idee continuarono a circolare provocando non poche preoccupazioni nella gerarchia ecclesiastica, impegnata a difendere l’ortodossia cattolica e a mantenere buoni rapporti con i vari stati. La sua filosofia partiva dai problemi gnoseologici: cosa si può conoscere? Da dove parte il cammino della conoscenza? Egli riteneva che il sensismo empiristico peccasse per difetto in quanto non ammetteva nulla di innato, d’altra parte vi erano filosofi, da quelli antichi a quelli a lui contemporanei, che ammettevano troppi elementi a priori.

 

Kant riteneva presenti, a prescindere dall’esperienza, 17 forme nello spirito umano: lo spazio e il tempo della sensibilità, le dodici categorie dell’intelletto (Verstand) e le tre idee della ragione (Vernunft). A queste Rosmini opponeva la sola idea innata di essere come capace di spiegare la conoscenza umana. Quando l’idea di essere si unisce a un sensazione si ha una conoscenza di un qualcosa di determinato; dall’idea di essere seguono logicamente le idee pure di identità, di contraddizione, di sostanza ecc., mentre per le idee empiriche è necessario il sentimento fondamentale corporeo e le varie sensazioni. Già da queste poche righe si può capire perché venisse chiamato il Kant italiano, perlopiù da chi non intendeva fargli un complimento.

 

La sua vastissima produzione non è limitata alla teoria della conoscenza ma riguarda tantissimi altri campi, dalla teologia all’antropologia, dalla morale al diritto e alla politica. Ritornando al riferimento a Kant, pur se il discorso gnoseologico sembra avere una qualche affinità, per ciò che riguarda la metafisica la differenza non potrebbe essere più grande. Per Rosmini è l’essere reale ontologico che determina l’idea di essere nella nostra mente; su questo punto fondamentale si trova dalla stessa parte di Tommaso d’Aquino, non certamente da quella del filosofo di Könisberg.

 

A un certo punto della sua esistenza gli avvenimenti storici lo distolsero per un po’ dai suoi abituali studi. Cattolico liberale al pari dell’amico Manzoni, nell’estate del 1848 dopo la sconfitta di Carlo Alberto a Custoza e la firma dell’armistizio di Salasco, venne incaricato dal governo del Regno Sabaudo di una delicata missione diplomatica presso il papa. I convulsi avvenimenti del 1848-1849 lo videro a Roma quando venne assassinato Il primo ministro Pellegrino Rossi ed esplosero dei moti popolari, poi a Gaeta al seguito di Pio IX. I contrasti con la curia, nella quale andava prevalendo la linea reazionaria del cardinale Antonelli, lo convinsero a congedarsi dal papa. Passò gli ultimi anni della vita a Stresa, sulla sua morte grava il sospetto che sia dovuta ad avvelenamento.

 

Se prima del biennio rivoluzionario, godendo della grande stima del pontefice, nessuno aveva osato criticare apertamente le sue opere, ora che la situazione s’è incrinata e anche il papa si è messo sulla difensiva, c’è una certa aria di sospetto che porterà la messa all’indice di due suoi libri: La costituzione secondo la giustizia sociale e Le cinque piaghe della Santa Chiesa.

 

Negli anni seguenti il 1848-1849, con l’Austria che riprese il controllo dei propri territori e il papa che poté rientrare a Roma grazie all’intervento francese, il clima anticostituzionale e antiliberale si fece più evidente e Rosmini venne fatto oggetto di tante critiche, accompagnate da insulti e calunnie.

 

Visto che il Decreto del silenzio, imposto nel 1843 dal precedente pontefice Gregorio XVI, impediva ai nemici di Rosmini di esprimersi apertamente, questi si servono perlopiù di libelli anonimi. Uno di questi, denominato Postille, venne fatto circolare e sottoposto al giudizio di vari vescovi. Conteneva proposizioni estratte da testi rosminiani sulle quali si avanzavano sospetti: si diceva che avrebbero potuto essere false, erronee, ereticali o genericamente dannose alle anime.

 

Si mirava a ottenere dal papa la condanna dell’intero pensiero di Rosmini. Pio IX istituì una commissione che lavorò a lungo e che nel 1854, un anno prima della morte del filosofo, chiarì solennemente con il decreto Dimittenda che «Tutte le opere di Antonio Rosmini Serbati, delle quali recentemente si è istituito l’esame, devono essere prosciolte e nulla affatto, a causa di questo esame, deve essere detratto alla fama dell’autore e alla società religiosa da lui fondata, alle lodi della vita e alle singolari benevolenze verso la Chiesa».

 

Antoni Rosmini deve aver molto gioito di questo giudizio che appoggiava chiaramente la congregazione da lui fondata nel 1829: l’Istituto della Carità.

 

Nonostante ciò, negli ultimi decenni dell’Ottocento con l’egemonia del pensiero neo-tomista tutta la sua opera verrà vista con sospetto, se non condannata apertamente verrà comunque ritenuta poco adatta a difendere la sacra dottrina cristiana dalle tante concezioni erronee che si stavano prospettando. L’avversione di molti cattolici verso il Rosmini derivava dalla sua adesione a un cattolicesimo liberale, peraltro moderato, e alla sua posizione filosofica platonico-agostiniana.

 

A Verona nel 1832 un prete illuminato, don Nicola Mazza, aveva fondato un istituto per venire incontro alle esigenze dei ragazzi poveri ma di grande ingegno, da avviare non solo al sacerdozio ma anche verso ogni tipo di studi a seconda delle rispettive propensioni personali. Per seguirli nel cammino formativo venne anche costituito un Collegio universitario a Padova.

 

Il clima dell’istituto, aperto alla discussione e al dialogo in ogni campo, aveva favorito l’accoglimento delle idee rosminiane. Ma negli anni in cui la commissione pontificia esaminava il pensiero del filosofo il fondatore ritenne opportuno impedirne la lettura all’interno dell’istituto, questo atteggiamento di prudenza serviva a non inimicarsi la Curia Romana e il governo austriaco.

 

Il decreto del 1854 di cui abbiamo detto avrebbe dovuto liberare da ogni interdizione alla lettura, ma non fu così. Il conte don Pietro Albertini, il benefattore che aveva messo a disposizione gli stabili e i terreni su cui aveva sede l’istituto, vincolò questa sua elargizione a «che il Rev. Don Nicola Mazza proibisca a tutti i suoi allievi sien preti chierici o secolari e non dia mai loro, né da se stesso né per mezzo di alcun altro, niuna delle opere del Rosmini».

 

Non potendole definire eretiche, si limitava a dire che erano oscure, cattive e sospette. La nuova situazione che si venne a creare provocò l’uscita di quattro preti che andarono costituire una sorta di cenacolo, chiamato covo dai detrattori, in cui si poteva discutere liberamente. Diversi simpatizzanti tenevano rapporti epistolari con il gruppo.

 

Gli anni Sessanta dell’Ottocento vedranno importanti avvenimenti. Nel 1861 venne nominato vescovo di Verona Luigi di Canossa; è cosa nota che la nomina dei vescovi doveva essere gradita al governo austriaco. Il suo ministero durerà ben 39 anni e sarà caratterizzato da una difesa intransigente del temporalismo, sia prima sia dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia del 1866. Nel 1865, poco dopo la morte del Mazza, tolse all’istituto la facoltà di formare i chierici, che passeranno direttamente al seminario diocesano. Si trattava di un’azione accentratrice nell’intento di salvaguardare i futuri preti dalle idee rosminiane, che il vescovo riteneva pericolose.

 

Con queste limitazioni l’istituto proseguì comunque la sua attività; funziona tutt’ora come Pia Società e Fondazione, con scuola media e liceo. Non manca di organizzare attività sociali e culturali aperte alla popolazione, pubblica una rivista e molte opere librarie con una propria casa editrice.

 

Riprendendo il discorso ottocentesco, grazie a questa istituzione, nota anche per altri motivi: formazione delle fanciulle e attività missionaria, si erano formati dei sacerdoti particolarmente dotti nelle discipline filosofiche e teologiche che operarono come insegnanti nei seminari e nei licei del Veneto. Anche chi era semplicemente a capo di qualche parrocchia non perdeva l’abitudine di approfondire il pensiero filosofico generale e rosminiano in particolare, confrontandosi in via epistolare con altri e talvolta partecipando a qualche convegno.

 

Notevole fu la loro produzione letteraria: saggi, trattati, lettere e prese di posizione sul dibattito rosminiano. C’era anche qualche laico, come l’avvocato bresciano Giuseppe Tovini, animatore nazionale dell’Opera dei Congressi, o il veronese Paolo Perez, che assieme a Giuseppe Calza scrisse la monumentale Esposizione ragionata della filosofia di Antonio Rosmini.

 

L’enciclica Aeterni Patris, emanata da Leone XIII nel 1879, costituì in un certo senso il manifesto del neotomismo. Sappiamo delle divisioni nei cattolici italiani tra conciliaristi e intransigenti, che anche sul tema rosminiano presero due strade diverse: alcuni ritenevano che il pensiero tomista e quello rosminiano potessero collaborare per meglio comprendere le verità rivelate, di contro altri pensavano che il primo escludesse il secondo. La polemica era molto accesa, dall’una come dall’altra parte. La pubblicazione delle opere che Rosmini non aveva fatto in tempo rivedere adeguatamente per la stampa, con qualche inevitabile oscurità nell’espressione, diede fiato ai detrattori, questi, fissandosi su alcune proposizioni estratte dal contesto, avevano buon gioco nella contesa.

 

Nel 1888 con il decreto pontificio Post obitum vennero condannate, senza tuttavia definirle eretiche, quaranta proposizioni, in gran parte estrapolate dalle opere postume; fu un colpo durissimo per i rosminiani, che comunque accettarono con spirito di obbedienza. Don Giuseppe Calza, parroco di Zevio, scrisse a nome dei rosminiani veronesi sul quotidiano diocesano Verona Fedele un lungo articolo nel quale, pur esprimendo l’amarezza del momento, dichiarava l’assoluta obbedienza al pontefice.

 

Per un lungo periodo il nome di Rosmini fu visto con sospetto, è vero che ci sono state delle notevoli e lodevoli eccezioni, per restare a Verona si può ricordare don Giovanni Calabria, ora santo, che in preparazione del centenario della morte del filosofo roveretano, si adoperò per far conoscere al clero italiano il suo pensiero filosofico e teologico.

 

Bisogna arrivare al 2001 per dichiarare “ormai superati i motivi di preoccupazione” che avevano portato alla condanna del 1888 (Ratzinger: Nota della Congregazione per la dottrina della Fede).

Nel 2007 Antonio Rosmini verrà dichiarato beato.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Romeo Camponogara, Antonio Rosmini. Don Nicola Mazza e i rosminiani veronesi di via S. Carlo dai documenti d’archivio, (opuscolo) Verona 1995

Rino Cona, Nicola Mazza. Un prete per la chiesa e la società, Casa Editrice Mazziana, Verona 2006

Maurilio Guasco, Storia del clero in Italia dall’Ottocento a oggi, Editori Laterza, Roma-Bari 1997.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]