N. 17 - Maggio 2009
(XLVIII)
ANTONIO PIGAFETTA
UNA LONGA ET
PEROCOLOSA
NAVIGATIONE
di Alessio Calabrò
In questo breve saggio è mia intenzione illustrare
brevemente le motivazioni, le condizioni, la situazione
politica, l'importanza e i metodi di realizzazione della
prima circumnavigazione del globo terrestre, a partire
da un'attenta analisi dell'opera del vicentino Antonio
Pigafetta.
Per comprendere storicamente l'impresa di Magellano è
necessario inserire il suo progetto di circumnavigazione
del globo nella competizione europea che andava
delineandosi tra Spagna e Portogallo: infatti entrambe
erano alla ricerca della via marittima più veloce per
arrivare alle favolose e ricchissime Indie.
La dinastia portoghese degli Avis, già dal 1415 con la
presa di Ceuta, aveva iniziato a porre alcune basi lungo
le coste dell'Africa, con l'intento di giungere così al
continente asiatico. Al contrario la corona spagnola,
cosciente del proprio ritardo sulla rivale, finanziò
coloro che, come C. Colombo, sostenevano di poter
giungere in India navigando verso Ovest.
In conseguenza della spedizione del portoghese Bartolomeo
Diaz del 1487 e della scoperta del “nuovo”
continente da parte dell'italiano Cristoforo Colombo del
1492, papa Alessandro VI assegnò, con il famoso trattato
di “Tordesillas” del 1494: alla Spagna il diritto
di possesso sui territori a Ovest dell'arcipelago di
Capo Verde e al Portogallo sui territori ad Est. Se però
il Portogallo grazie a Vasco de Gama nel 1498 trovò la
via per l'Oriente, la Spagna ancora nel 1519 stava
cercando la propria. In questo contesto di spartizione
territoriale e di frenetica rincorsa alla via delle
Indie va collocata la spedizione di Magellano.
Inoltre è da sottolineare il “ruolo degli italiani”
che furono i veri interpreti delle scoperte al servizio
della corona Spagnola. Ciò è probabilmente da attribuire
all'assenza di tradizione marinara nella regione
castigliana, tradizionalmente feudale, ed alla
fortissima tradizione navale presente in Italia, che
però è ormai geograficamente svantaggiata rispetto ai
paesi atlantici; si deve anche ricordare che sino al
1492 lo stretto di Gibilterra fu saldamente in mano
araba.
È probabilmente a causa di queste congiunture storiche e
geografiche che Colombo (genovese), Vespucci
(fiorentino) e Pigafetta (vicentino) si imbarcarono a
nome dei re di Aragona e Castiglia.
Fernando Magalhâes, più noto con il nome latinizzato di
Magellano, era un esperto capitano portoghese passato al
servizio della corte spagnola che, confrontando le
concezione dei geografi del primo '500 con le proprie
esperienze nei mari delle Indie orientali, si era
convinto di poter di raggiungere, passando a sud delle
Americhe, le favolose isole delle spezie in Oriente.
Verso il 1516, concepì così il disegno, proposto a Carlo V
di Spagna, di giungere nelle Indie navigando sempre
nella zona riservata alla corona spagnola dal trattato
di “Tordesillas” (cioè in direzione di ponente) e
di superare il continente Americano veleggiando
attraverso quello stretto, che da anni invano si
ricercava, ma che doveva esistere a sud dell'Orinoco.
La prospettiva di poter rompere il monopolio commerciale
portoghese e la possibilità di trovare una rotta
commerciale utilizzabile e agevole per le Indie era
sicuramente molto più che allettante. Carlo V però
esitava a mettersi in lotta con il re di Portogallo, che
osteggiava una simile spedizione per ovvie ragioni;
inoltre alla corte del re di Spagna si era persuasi che
le Molucche, primo obbiettivo della spedizione, fossero
in territorio spettante al Portogallo e impossibili da
raggiungere via Occidente.
Numerosi documenti dimostrano che Magellano e Ruy Falerio,
cosmografo, astronomo e ideatore scientifico della
traversata, dovettero sostenere aspre lotte: solo con
grande fatica e con molti argomenti scientifici,
riuscirono a persuadere il “Consiglio delle Indie”
del buon diritto della Spagna su quei territori e della
reale possibilità di raggiungerli passando per
Occidente.
Da queste opposizioni si può comprendere quanto risultasse
innovativa e improbabile la proposta di una
circumnavigazione del globo terrestre: le idee
medioevali sulla possibilità di giungere alla “fine
del mondo” non erano ancora completamente dissipate,
la conoscenza del continente americano era minima e la
possibilità dell'esistenza di uno stretto navigabile a
sud delle Americhe ritenuta poco probabile.
Inoltre è difficile credere che una potenza come la Spagna,
che proprio a inizio '500, iniziava a prendere coscienza
dell'importanza commerciale potenziale insita nei grandi
oceani, avrebbe accolto così freddamente la possibilità
di instaurare rapporti commerciali diretti con le Indie,
se non ritenendo che effettivamente la spedizione si
presentasse estremamente rischiosa, se non addirittura
folle.
Quando Pigafetta e altri 16 suoi compagni ritornarono in
Spagna sull'unica delle 5 navi superstiti, la
“Victoria”, avevano percorso 14.460 leghe ed avevano,
senza saperlo, portato con se notizie e informazioni di
portata storica assoluta; essi erano la prova più
evidente della sfericità della terra, dell'esistenza di
uno stretto navigabile nel sud America e delle
possibilità di condurre un'impresa che moltissimi
ritenevano impossibile.
“Nessun viaggio, dopo quella di Cristoforo Colombo,
contribuì, come questo a distruggere le tenebre del
Medio Evo, ad allargare le cognizioni cosmografiche e
geografiche”.
La distribuzione delle terre e delle acque, così poco
conosciuta fin ad allora, la navigabilità del mare a
latitudini molto basse e la configurazione dell'America
meridionale (in particolare Cile e Patagonia) furono
rivelate.
Va sottolineato infine che ci vollero altri cinquant'anni
perché un altro equipaggio, quello sotto il comando
dell'inglese Francis Drake, riuscisse a portare a
termine la seconda circumnavigazione del globo
terrestre.
Se non ci fosse stato Magellano, non ci sarebbe stato
Pigafetta, nel senso che quest'ultimo ebbe la sua grande
occasione di passare alla storia proprio perché entrò a
far parte dell'equipaggio di Magellano; ma, rovesciando
il punto di vista, si può dire anche l'inverso e cioè
che se non ci fosse stato Pigafetta non ci sarebbe stata
neppure la notorietà di Magellano, o almeno questi non
avrebbe certo raggiunto la fama che gli toccò quando la
sua impresa venne adeguatamente conosciuta, grazie alla
narrazione del vicentino.
Della spedizione di Magellano si hanno, escludendo la
relazione del Pigafetta, essenzialmente informazioni
frammentarie, incerte e contrastanti, consistenti in
qualche relazione ufficiale, poche lettere e deposizioni
di superstiti fatte a distanza di tempo.
Come più sostanziosi documenti, quantunque insufficienti,
di questa grandiosa oltre che tragica impresa
esplorativa restano: il giornale di rotta di un anonimo
pilota genovese, forse identificato in Juan Bautista de
Polcevera e il diario, assai scarno, di Francisco Alvo
anch'egli pilota.
Ad ogni modo la fonte più nota e più conosciuta è la
relazione di Antonio Pigafetta, vicentino, arruolato
come “sobresaliente”, cioè uomo d'arme, che,
grazie alla sua preparazione culturale evidentemente
superiore alla media, anche se non elevatissima, svolse
talora attività di un certo rilievo: per esempio nelle
occasioni di trattative con i capi indigeni locali.
Fedele ammiratore e gregario di Magellano, Pigafetta
dimostra il proprio attaccamento al generale portoghese
dedicandogli nella sua relazione un elogio funebre
“(...) se non era per questo povero capitano, niuno de
noy si salvava ne li battelli, perché, quando lui
combatteva, li altri se ritiravano a li battelli. Spero
in vostra illustrissima signoria che la fama d'uno sì
generoso capitano non debbia essere extinta ne li tempi
nostri”.
Vi è, inoltre, un'evidente reticenza nei confronti di chi
divenne poi comandante della flottiglia, che sembra
rispondere ad un preciso proposito di fedeltà a
Magellano e di non riconoscimento del grado assunto da
uomini considerati traditori.
Di Piagefetta, dopo il suo ritorno in Spagna, non si hanno
molte notizie e gran parte di esse sono tutt'altro che
sicure; è noto che egli fu ospite di numerose corti
italiane, dove ebbe la possibilità di raccontare e di
far conoscere le sue incredibili gesta.
In seguito allo spargersi della notizia di quel ritorno
quasi miracoloso, il vicentino fu invitato dal pontefice
Clemente VII, a recarsi a Roma; durante il viaggio verso
la nuova meta, Pigafetta incontrò, a Monteorsi, il gran
maestro dell'ordine di Rodi, Filippo de Villiers de l'isle-Adam,
che incitò il vicentino, in quanto cavaliere di Rodi, a
fissare le lunghe vicende del suo viaggio in un
resoconto scritto.
La relazione, compilata a partire dal 1525 grazie alle
rendite concesse dall'ordine, fu dunque dedicata a
Villiers de l'isle-Adam, ma essa consegnerà alla futura
memoria soprattutto i nomi di Magellano e del suo
compilatore Pigafetta.
Ci sono due modi, entrambi errati, quando diventino
esclusivi, di guardare alla spedizione di
Magellano-Pigafetta.
C'è il modo idealistico che privilegia le motivazioni e i
risultati dell'impresa “ideali” come le scoperte
scientifiche, la volontà di conoscenza e di
evangelizzazione.
Esiste però anche un modo più materialistico,
deterministico, mercantilistico, politico di leggere la
storia di quest'impresa e più in generale di tutti i
grandi viaggi del XVI secolo: infatti analizzando i
resoconti della progettazione e dell'attuazione delle
prime spedizioni di scoperta emergono evidenti gli
aspetti egoistici e persino venali di molti, se non di
tutti, i protagonisti; oltre all'arroganza e ad una
marcata strumentalizzazione degli indigeni.
Inoltre è necessario evidenziare come molti avventurieri,
dei primi del'500, agirono sotto la spinta della
politica, ovvero della ricerca di potere e del
prestigio; questo valse sia per le singole persone che
per gli Stati.
Infine non si può ignorare l'onnipresente aspetto
pecuniario e venale che caratterizzò ogni impresa.
In conclusione risulta evidente che, se da un lato non si
devono mai escludere in maniera tassativa le motivazioni
politiche o materiali, d'altra parte non si può essere
troppo ingenui e vedere solo progetti virtuosi là dove
essi non vi sono o vi sono solo in minima parte.
Tornando a Magellano e Pigafetta, questa riflessione ha
davvero motivo di esistere: infatti dalla famosa
relazione emerge chiaramente come in entrambi i nostri
protagonisti si combinassero sincero amore per la
scoperta e vera fede nella missione evangelizzatrice,
congiunti ad uno spiccato senso degli affari e un'idea
utilitaristica del rapporto con “l'altro”.
La spedizione di Magellano e la sua narrazione da parte del
Pigafetta non sono senza contraddizioni: fu impresa
gloriosa e tragica insieme, frutto di eroismi autentici
ma non esente da vergognosi tradimenti. Inoltre viene
attribuita a merito di Magellano e tuttavia solo il
Pigafetta e altri 17 uomini ebbero la fortuna e
l'abilità di portarla a termine.
Forse non è il caso di esaltare univocamente o
unilateralmente i meriti e gli aspetti positivi, eppure
non si può fare a meno di riportare il giudizio
entusiastico di Alberto Magnaghi: “i risultati del
viaggio di Magellano-Pigafetta rimasero quasi
esclusivamente scientifici: il ritrovamento dello
Stretto, la rivelazione dell'immensa distesa del nuovo
oceano, la scoperta delle Filippine e,risultato
inatteso, la soppressione della grande penisola a
sud-Est dell'Asia che sin qui aveva ingombrato le carte,
ultimo avanzo della concezione tolemaica delle terre
emerse. Da questo derivò inoltre una prima, seppur
embrionale, visione della reale distribuzione delle
terre e dei mari, e soprattutto dal viaggio della
Victoria doveva risultare definitivamente dimostrata la
sfericità della terra. Uno solo di questi risultati
sarebbe bastato per assegnare a Magellano uno dei posti
più eminenti fra coloro che fecero avanzare la
conoscenza del globo... e le su qualità personali lo
rendono una delle più grandi figure d'eroe di cui possa
onorarsi l'umanità”.
E accanto a Magellano, in un binomio inscindibile,
Pigafetta che, come il suo capitano, sentì il fascino
dell'ignoto e se ne lasciò conquistare: “Deliberay
far experientia di me et de andare a vedere quelle cose,
che potessero dare alguna satisfatione a me medesimo et
potessero parturirmi qualche nome appresso la posterità”.
Riferimenti bibliografici:
Antonio Pigafetta, La mia longa et pericolosa
navigatione (la prima circumnavigazione del globo
1519-1522), trascrizione dal codice della Biblioteca
Ambrosiana, a cura di Luigi Giovannini, ed. Paoline,
Milano 1989.
Antonio Pigafetta, Il primo viaggio intorno al mondo,
a cura di Camillo Manfroni, Istituto Editoriale
Italiano, Milano 1956.
Mariarosa Masoero, Magellano “bon pastore” e “bon
cavaliero”, in Letteratura di viaggio dal
Medioevo al Rinascimento, ed. Dell'Orso, Alessandri,
1989.
Francesco Surdich, Verso il Nuovo Mondo, Giunti,
Firenze 2002.
Rosario Romeo, Le scoperte americane nella coscienza
italiana del Cinquecento, Ricciardi ed., Milano
1954.
Antonio Pigafetta, Il primo viaggio intorno al
mondo, a cura di Nicola Bottiglieri, ed. Associate, Roma
1989.
Francesco Surdich, Dal nostro agli altri mondi:
immagini e stereotipi dll'alterità, in Archivio
storico italiano CLI, 1993, pp. 911-986.