arte
Il “Leopardi Siciliano”
Antonio Bruno: storia di un poeta dimenticato
di Riccardo Renzi
Nel cuore della Sicilia si cela uno dei più grandi
letterati del primo Novecento, che però cadde
completamente nel dimenticatoio: Antonio Bruno.
Bruno fu uno dei più grandi intellettuali dei primi
anni del Novecento, che operò tra Avanguardie e
Futurismo. Nacque a Biancavilla il 26 novembre 1891,
da Alfio Bruno e da Carolina Sciacca, nel palazzo di
Via Vittorio Emanuele sito di fronte al plesso “G.
Marconi” delle scuole elementari. Crebbe in una
ricca famiglia borghese. Il padre era personaggio in
vista e primo cittadino del paese.
Dopo gli studi si trasferì a Firenze, dove ebbe
occasione di frequentare i migliori ambienti
culturali della città e di formarsi poeticamente.
Visse anche a Palermo, Roma, Londra e Parigi. In un
primo momento fu coinvolto nei vari movimenti di
avanguardia, ma poi aderì al progetto futurista con
L’immorale signora Bovary, uno studio letto
al Circolo parigino di letture italiane ricorrendo
il primo centenario della nascita di Gustave
Flaubert, poi pubblicato nel 1930. Bruno il 7 maggio
1912, presso l’Università romana lesse uno studio
dal titolo Come amò e non fu riamato Giacomo
Leopardi, lettura poi pubblicata alla fine del
medesimo anno.
Egli si sentì sempre molto vicino al poeta
recanatese, poiché i due non erano accomunati solo
dal fine intelletto, ma anche dalla deformazione
fisica (era affetto da rachitismo). Fin da piccolo
fu oggetto di scherno da parte dei coetanei e
conterranei, ma ciò non affievolì mai il suo
incondizionato amore per la terra natia. Tutto
l’amore per la sua terra emerge con forza in
Un poeta di provincia:
schiarimento catanese in difesa della poesia,
ove con lapidanti parole, così si esprimeva: «inguaribile
umore che lega al luogo natio e lo fa volere bene in
un modo o nell’altro, e quando ogni modo è
impossibile con la più appassionata avversione».
Col passare degli anni la sua adesione al futurismo
divenne sempre più forte da spingerlo a fondare e
dirigere la rivista Pickwick. Si hanno tracce
del suo incontro nel gennaio 1920 con Filippo
Tommaso Marinetti e la Direzione del Movimento
futurista milanese dal Catalogo generale delle
Opere esaurite, inserito da Bruno nelle sue
pubblicazioni.
Il poeta passeggiava spesso per le vie di Catania
con delle rose in mano dando dei leggeri colpi sul
viso a ignari passanti e predicendo la loro sorte.
Proprio in quegli anni ricoprì le mura catanesi col
poema dal titolo Dolly Ferretti dedicato ad Ada
Fedora Novelli, donna per cui perse la testa. Il
poema venne poi inserito in Fuochi di bengala
del 1917, una raccolta di traduzioni e atmosfere
orientali.
Egli si innamorò perdutamente della Novelli ed ella
fu per molto tempo la sua musa. A lei scrisse le
cinquanta lettere d’amore dal titolo Alla
signorina Dolly Ferretti, raccolte poi con cura
nel 1928. Il suo rachitismo era temperato dalla
raffinata eleganza nel vestire e del tratto e la sua
personalità affascinante si esprimeva anche tra
frizzi e sollazzi, sarcasmi e umorismo nero.
La critica del tempo però lo attaccò più volte con
violenza definendolo un uomo sia fisicamente che
moralmente malato. Fu accusato di aver dilapidato
l’intero patrimonio paterno e ciò lo portò a una
grave crisi depressiva dalla quale non riuscì a
venirne fuori. Bruno morì suicida a Catania in una
modesta camera d’albergo il 28 agosto del 1932.
Le grandi capacità linguistiche e descrittive di
Bruno emergono con forza già ai tempi della
fondazione di Pickwick. Nel primo numero
della rivista futurista a cadenza Quindicinale è
presente un saggio di Bruno dal titolo “La sciarpa
azzurra”, ove si evince la sua fine attenzione alle
minuzie descrittive: «Mentre turbina la città in
marcia – in un hotel di Oxford street, tra un
profumo di rue de la Paix e il tepore soffice d’un
tappeto di Smyrne, la tua sciarpa azzurra – oggi –
amica d’oltre oceano».
In linguaggio è marcatamente futurista. Mentre la
prosa è appunto futurista, la poesia è legata a un
lirismo classicista, quasi romantico. Non c’è
gnomica in questi carmi, eppure il lirismo sembra
concludersi con un non so che di sentenza, che alla
dolcezza della descrizione introduttiva contrappone
un afflato amaro, sicché sembra di sorbire fiele
dalla coppa melliflua che Bruno inizialmente porge:
in questo modo antico di raccontare, le situazioni,
per quanto odierne e ordinarie, assurgono al tono
del sublime per la greve permeazione di una
filosofia che nulla ha a che fare con il
classicismo, essendo fin troppo moderna, se non
contemporanea. L’amore spesso è forza motrice dei
suoi componimenti, da quelli giovanili sino a quelli
più maturi.
A tal proposito risulta assai interessante per il
nostro lavoro la pubblicazione del 2011 di Placido
Antonio Sangiorgio, Antonio Bruno, un’avventura
futurista le carte segrete. In tale lavoro
Sangiorgio riporta tutte le lettere segrete di
Bruno, comprese quelle riguardanti i suoi amori. Ivi
troviamo le tante donne per cui Bruno perse la
testa, tra queste anche una cerata Lucia V., della
quale si invaghì prima di conoscere Dolly Ferretti.
La corrispondenza di Bruno ci dimostra anche quanto
i suoi legami fossero forti all’interno
dell’universo letterario italiano del primo
Novecento. Intratteneva, infatti, scambi epistolari
con Giovanni Papini, Giuseppe Ungaretti, Giovanni
Verga, Aldo Palazzeschi, Giacomo Balla e Dino
Campana. Divertente è la risposta di Ungaretti
all’opera che Bruno gli aveva inviato: «Caro
Bruno, ti prego di non pubblicare “I ritiri”, mi
fanno ribrezzo. Tuo Ungaretti».
Come si è potuto notare da questi brevi accenni, la
vera e autentica figura del Bruno emerge solamente
dal Bruno segreto, quello degli scambi epistolari e
degli appunti conservati nei cassetti della sua
scrivania. È proprio attraverso i materiali
d’archivio riguardanti Bruno, che lo studioso
Placido Antonio Sangiorgio, riesce, nell’opera
pocanzi elencata, a ricostruire la biografia
intellettuale del Poeta.
L’affetto nei confronti dei familiari e in
particolare del padre fu sempre forte, anche in
circostanze avverse, come la grande crisi economica
alla quale la famiglia Bruno fu sottoposta nel 1922:
«Dopo tanti anni e nel succedersi delle
quotidiane vicende della vita la fiamma che brucia
sempre nel mio cuore, che arde e non si spegne mai è
il mio affetto per te. Ogni cosa, ogni oggetto, ogni
fatto che io veda e senta e che mi ricorda te
destano nel mio cuore un tenero e vivo senso di
nostalgia e il dolore di essermi tanto lontano si fa
ancora più vivo e più sentito».
Molto interessanti ai fini del nostro lavoro sono le
pagine scritte dal giovane Poeta nel suo diario
liceale “Pensieri e ragionamenti”. Tutta la sua
giovinezza fu connotata da un profondo dolore,
causato dall’emarginazione e dall’isolamento. I
coetanei lo isolavano a causa della sua deformità
dovuta al rachitismo: «I miei più vivi ricordi di
bambino (cioè dall’età di cinque anni: che d’allora
in poi ho ricordato tutto) sono due – 1° Le diverse
fasi della mia malattia – dal primo dolore a tutte
le operazioni – e in special modo dal primo periodo
della malattia e dalla operazione da me chiamata
quella del “corpetto gessato” 2° Io fra le braccia
della nonna materna, virtuosissima donna, al
balcone, in una sera di luce estiva…».
Questa malinconia figlia della discriminazione
divenne rapidamente il suo punto di forza, un segno
elitario del destino, Dio lo ha marchiato perché
diverso e superiore a tutti gli altri: «Amici?
Nel significato comune della parola non ne ho mai
avuti. Una volta, appena mi s’incominciò presentare
la scena del mondo, ne cercai tra gli uomini ma non
ne trovai. Allora mi rassegnai a non averne tra di
essi per sempre».
Dalle sue parole si evince come a causa di quel
dolore, di quella amarezza, si sia distaccato dal
genere umano stesso, da come si esprime egli non
sembra di essere parte del gruppo degli “umani”. Un
esempio eminente di questa sua solitudine
esistenziale è racchiuso anche in un suo
componimento, formalmente a stampo futurista, nella
rivista Pickwick da lui fondata. Il
componimento si intitola Solo e questo è il
suo incipit: «La mia anima crocefissa in
un santuario d’altri tempi mentre il sole indora le
vetriate del refettorio, e l’organo geme nell’ombra
della cappella».
La grandezza di Bruno è racchiusa anche in quel suo
maledettismo malinconico che unisce le correnti
ottocentesche del maledettismo classico da
Baudelarie, Rimbaud e Campana al Futurismo e le
Avanguardie più sfrenate. Bruno, per sua natura, Il
“Leopardi siciliano” è dunque la perfetta unione tra
l’isolato poeta vate ottocentesco e il superuomo
dannunziano/futurista. Antonio Bruno fu un grande
intellettuale del primo Novecento, che merita di
essere studiato e valorizzato maggiormente.
Riferimenti bibliografici:
A. Bruno, L’immorale signora Bovary: studio letto
a Parigi al Circolo di letture italiane, ricorrendo
il 1. centenario della nascita di Gustavo Flaubert:
offerto agli gnostici da Maria d’Albavilla, il 2
compleanno del suo amore per Antonio d’Albavilla,
Tip. Sorace e Siracusa, Catania 1930.
A. Bruno, Come amò e non fu riamato Giacomo
Leopardi: studio letto all’Università di Roma il 7
maggio 1912, Tip. sociale Polizzi & Valentini,
Roma 1913.
A. Bruno, Un poeta di provincia: schiarimento
catanese in difesa della poesia, Edizioni
futuriste di “Poesia”, Milano 1920.
A. Bruno, Opere, Comune di Biancavilla,
Biancavilla 1987.
A. Bruno, Solo, in Pickwick, ristampa
anastatica con un saggio introduttivo di Franco
Sgroi, Andrea Livi editore, Fermo 2000.
E. Scuderi, Antonio Bruno, ignoto scrittore
d’avanguardia, 1891-1932, «Filologia e
letteratura», X, 1964.
Pickeick, Ristampa anastatica con un saggio
introduttivo di Franco Sgroi,
Andrea Livi Editore, Fermo 2000.
P.A. Sangiorgio, Antonio Bruno, un’avventura
futurista le carte segrete, Biblioteca comunale
Gerardo Sangiorgio, Biancavilla 2011.
Lucia V. ad Antonio Bruno,
lettera, Milano 23 gennaio 1922 (113/ C94).
Giuseppe Ungaretti ad Antonio Bruno,
cartolina postale in franchigia, Zona di Guerra 24
giugno 1916 (178/C 159).
Lettera di Antonio Bruno in risposta ad Alfio Bruno.
Biancavilla 10/02/1922, per espresso postale, cm
(323/F28).
Antonio Bruno, Pensieri e Ragionamenti. Quaderno
2°, manoscritto, (1/D1).
Antonio Bruno, Tema d’Italiano “I miei primi
amici”, Catania 23 Novembre 1908, p. 1 (360/s5). |