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medioevo


N. 131 - Novembre 2018 (CLXII)

L’antisemitismo nel Medioevo

Breve storia di un grande male

di Francesco Biscardi

 

Al giorno d’oggi quando parliamo di antisemitismo la prima cosa che viene inevitabilmente alla mente è la tremenda vicenda della Shoah, simbolo paradigmatico dell’inattingibile brutalità di cui è stato vittima il popolo ebreo. Tuttavia, le sue radici sono molto più antiche ed è nel Medioevo che germogliò compiutamente quel seme di intolleranza che culminerà nelle leggi razziali e nella “soluzione finale” nazista (non però il termine “antisemitismo” che è contemporaneo).  

 

Innanzitutto è utile fare un rapidissimo excursus delle primordiali vicende di questo popolo. Non essendo semplice per la storia ebrea arcaica scindere verità e mito (in quanto le principali notizie che abbiamo sono contenute nella Bibbia e qui la veridicità degli accadimenti è spesso dubbiosa, visto il sostrato religioso alla base di questo testo), è importante ribadire una certezza: gli ebrei non ebbero, sin dalle epoche più remote, vita facile.

 

Da un lato furono, infatti, oggetto della contesa e dello sfruttamento dei popoli limitrofi (egiziani, babilonesi, persiani…), dall’altro non furono aiutati nemmeno dalla loro terra: la Palestina era una regione arida, dal suolo brullo, priva di porti naturali lungo il mare.

 

Fra le varie occupazioni che il popolo israelita subì, quella più gravida di conseguenze fu quella romana (avvenuta nel 63 A.C.). Fin da subito gli ebrei vissero l’egemonia di Roma con ostilità e in stato di continua tensione. Nel 66 D.C., la Palestina, stanca delle vessazioni e dei tributi, si sollevò contro i suoi dominatori, ma, nell’arco di quattro anni, la rivolta fu stroncata nel sangue da Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano. Da quel momento molti ebrei iniziarono ad abbandonare in massa la propria patria, dando origine alla loro “diaspora” (o dispersione) per il mondo.

 

Tuttavia, nonostante i rapporti antagonistici, le prime restrizioni alle occupazioni professionali ebraiche non furono imposte dai romani, bensì dalle autorità cristiane, una volta divenuto il Cristianesimo unica religione dell’impero (Editto di Tessalonica, 380 D.C.): i governanti locali e i funzionari ecclesiastici preclusero molte professioni agli ebrei, spingendoli sempre più in direzione di ruoli marginali, considerati socialmente inferiori. Vennero impiegati, ad esempio, nell'ambito della tassazione, della raccolta degli affitti, o nella riscossione dei debiti, oppure furono indotti a dedicarsi all’usura, tutte occupazioni non ritenute consone al buon cittadino cristiano e tollerate solo come un male necessario.

 

Oltre alle restrizioni, tante furono, durante tutto il Medioevo, le accuse loro rivolte: le più infamanti erano quella di essere gli assassini di Cristo e quella di “sangue”, ossia di abbeverarsi del sangue di bambini cristiani come atto di derisione dell’Eucarestia cristiana.

 

Ad ogni modo fino al Mille, nonostante le tensioni e alcune violenze sporadiche, la popolazione ebrea, sparsa per l’Europa, godette di un periodo di relativa pace; è all’inizio dell’XI secolo che i rapporti fra cristiani ed ebrei si deteriorarono progressivamente. Fu in particolare la predicazione di Urbano II a Clermont (1095) a infuocare gli animi antisemiti: i primi contingenti armati, a cominciare dai seguaci di Pietro l’Eremita, nel loro passaggio attraverso il continente e diretto a Gerusalemme, massacrarono tutti gli ebrei che trovarono sul loro cammino.

 

Pratica poi attuata anche in Terra Santa, dove i crociati seguirono l’abitudine di annoverare fra i nemici della “vera fede” indistintamente musulmani ed ebrei. Le violenze più tristemente famose si ebbero a Magonza nel 1140 e in Austria e in Europa Centro Orientale nel 1147.

 

Così racconta Salomon Bar Simeon, ebreo di Magonza: “Dapprima apparvero volti arroganti, gente di strano linguaggio, i popoli aspri e violenti delle terre francesi e tedesche. […]E quando durante il viaggio, passavano per città nelle quali abitavano Ebrei, dicevano “Ecco […] fra noi ci sono degli Ebrei […] prima, vendichiamoci di loro, cancelliamoli dalla convivenza dei popoli! Il nome di Israele non sia più ricordato”.

 

Alle violenze dei crociati si aggiunsero le Decretales papali: nel 1205, Innocenzo III emanò la bolla Etsi Iudaeos a fornire una base teorica alla discriminazione antisemita: gli ebrei, reputati inferiori ai cristiani, venivano additati dal pontefice come assassini del figlio di Dio, pertanto meritevoli di schiavitù e di violenza (da tenere in considerazione che questo pregiudizio della superiorità di alcuni individui rispetto ad altri diventerà la vexata questio dell’eugenetica e del razzismo contemporanei).

 

Questa posizione fu recepita dal concilio Lateranense IV del 1215: gli ebrei furono espulsi dai pubblici uffici e fu vietato loro di comparire in pubblico in occasione delle festività pasquali. A seguire, Onorio III, con la decretale In Generali Concilio del 1218, impose agli israeliti di portare un segno distintivo (traendo spunto da una consuetudine musulmana): una rotella di stoffa gialla cucita sulla parte sinistra del petto.

 

Alle condanne della Chiesa si aggiunsero le espulsioni di massa: in Inghilterra, nel 1290, un editto portò al bando di tutti gli ebrei inglesi, in Francia, nel 1396, circa 100 000 ebrei furono cacciati dal regno, in Austria, nel 1491, e nella Penisola Iberica l’anno successivo, furono banditi migliaia di ebrei. La maggior parte degli espulsi fuggirono verso Est, in particolare in direzione del Regno di Polonia.

 

Le persecuzioni anti-ebraiche peggiori di tutto il Medioevo, spesso sfociate in azioni di violenza collettiva (dette pogrom), si ebbero nei terribili anni della “peste nera” che, a partire dal 1348, falcidiò la popolazione europea. In quella circostanza interi gruppi sociali vennero marginalizzati e resi vittime di vessazioni: prostitute, streghe, eretici ed ebrei furono accusati di aver avvelenato i pozzi con il risultato di generare ostilità e massacri.

 

Soprattutto in due circostanze, entrambe del 1349, gli ebrei furono vittime di terribili eccidi: a Strasburgo, dove in circa 2.000 furono linciati da una folla inferocita, e a Francoforte, dove divennero vittime dei flagellanti, un movimento millenarista dalla forte connotazione ascetica, i quali, constatata l’inutilità delle preghiere contro l’imperversare della pestilenza, si convinsero ad accettare la diceria dell’avvelenamento dei pozzi da parte dei “demoni” ebrei; nell’occasione si scatenarono armati contro questi ultimi al punto che dovette accorrere la popolazione francofortese a soccorrere e proteggere i sopravvissuti.

 

Occorre chiarire che i tumulti anti-ebraici degli anni a cavallo del terribile morbo, come testimoniato dalle fonti in nostro possesso, accomunarono tutta l’Europa Occidentale (fatta eccezione per la penisola italiana, per la quale non abbiamo notizia): in Savoia alcuni ebrei furono bruciati già all’inizio del 1348, in Francia e in Svizzera abbiamo notizia di vari pogrom fra l’aprile e l’ottobre dello stesso anno, mentre più rari, ma comunque attestati, furono quelli spagnoli.

 

È ovvio che gli ebrei non furono altro che un capro espiatorio: la peste nera si presentò ad aristocratici e borghesi cittadini, conniventi con i membri della classe dirigente urbana e ecclesiastica, come un’occasione per aizzare il volgo contro di loro. Questo per varie ragioni: ad esempio, gli artigiani vedevano negli ebrei dei pericolosi concorrenti, mentre altre classi, come i nobili di campagna e i patrizi di città, erano spesso indebitati verso questi ultimi. Solo il genocidio di Hitler supererà in atrocità le persecuzioni del 1348-1350.

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Salomon Bar Simeon, La persecuzione contro gli ebrei di Magonza, in G. Prampolini, Letteratura universale. Antologia di testi, Utet, Torino 1979, vol. II.

Richard J., La grande storia delle crociate, Newton Compton, 1999.

Mueller R.C., Epidemie, crisi, rivolte, in Storia Medievale, Donzelli, Roma 1998, pp. 557-583. 



 

 

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