[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

177 / SETTEMBRE 2022 (CCVIII)


attualità

ANTIOCO IV EPIFANE
SOVRANO SELEUCIDE E “ANTICRISTO” / PARTE I
di Monica Pezzella

Attraverso i secoli l’interesse per il misterioso spettro dell’Anticristo, con tutto il corredo di oscuri presagi a esso legato, non è mai venuto meno. Una breve ricognizione delle idee relative a questo personaggio escatologico nei primi tre secoli dell’antichità cristiana – una mirata serie di suggerimenti di lettura – potrebbe rivelarsi per molti “illuminante”.

Nella letteratura del mondo giudaico e cristiano, così come nell’universo religioso mesopotamico, vi sono talmente tanti riferimenti a colui che, spogliato col tempo di ogni individualità, ha finito per divenire incarnazione stessa del male, che la trattazione dell’argomento non potrebbe esaurirsi in così poco spazio. È però possibile rintracciare, tra le molteplici sfaccettature di cui l’Anticristo si arricchisce nei primi tre secoli del Cristianesimo, alcuni elementi direttamente riconducibili a tradizioni sviluppatesi al tempo in cui la Palestina fu dominata dal re seleucida Antioco IV Epifane (175 a.C. – 164 a.C.): il primo Anticristo, l’Anticristo che – come fisiologicamente accade nel passaggio da Antico a Nuovo Testamento – ebbe un nome di uomo ancor prima che Cristo nascesse; un nome di cui restò in seguito – e resta oggi – poca memoria.

La figura umanissima di Antioco IV, che osò profanare il Tempio di Gerusalemme installandovi la statua di un maiale in aperto segno di spregio al monoteismo, per di più in un’epoca di crisi per il giudaismo, incarna nella sua estrema, sfacciata e ostentata hybris, tutti gli elementi che la tradizione cristiana riprende e reinterpreta per plasmare una nuova e complessa escatologia. Non è poi troppo azzardato affermare che quella escatologia è proprio la “nostra” escatologia, che si porta appresso l’immagine dell’aldilà così come lo si intende oggi in arte, in letteratura, sul letto di morte; l’idea di una redenzione post-apocalittica: post-estremo-giudizio/unzione.

Propedeutica per qualsiasi altra lettura sull’argomento è quella del veterotestamentario Libro di Daniele, di cui dirò strada facendo. Nella letteratura cristiana dei primi secoli, epoca in cui per la prima volta si tentò di descrivere l’Anticristo in maniera più sistematica, più fonti e più filoni si intrecciano in testi a volte molto brevi in cui ci si limita spesso ad allusioni, cenni e sottintesi. In molti degli scritti circa l’estremo avversario del Cristo e della Chiesa, si trovano a convivere tradizioni talvolta contrastanti, sulla base delle quali è difficile giungere a una definizione univoca dell’Anticristo e della sua attività. Le caratteristiche principali di questa figura restano quelle delineate in primis dal profeta Daniele e successivamente approfondite da Paolo di Tarso e dagli Evangelisti. L’Anticristo agisce tramite la violenza e l’inganno; egli è l’estremo persecutore e il grande ingannatore. A questi due aspetti si legano i motivi del potere universale, della capacità di compiere prodigi strabilianti, dell’arroganza, dell’autoesaltazione.

Il dato più importante da tener presente – fornito dalle fonti scritte – è che il dramma escatologico in cui l’Anticristo è inserito assume sempre una valenza storica: anche quando non viene riferito a situazioni, eventi, personaggi attuali, cioè anche quando la sua immagine, proiettata sullo sfondo degli avvenimenti escatologici, sembra perdere concretezza reale, esso non resta privo del suo spessore storico: l’antichristos è un uomo, un dominatore tirannico che fino alla fine ricalca i passi dei re dell’esilio babilonese e di Antioco IV Epifane; con il concorso di Satana, egli riesce a ingannare l’umanità e a farsi passare per il Cristo scatenando l’ultima feroce persecuzione contro la Chiesa.

Come scrisse Paolo Sbaffoni, la sua apparizione non ha nulla di mitico, “essa è perfettamente plausibile perché non è altro che la realizzazione estrema, se si vuole parossistica, di eventi in qualche modo già accaduti, già parzialmente verificatisi nel corso della storia”. Non solo l’Anticristo si inserisce nella visione generale della storia e dell’universo propria al mondo ebraico-cristiano, in cui lo schema della translatio imperii si combina con la cronologia “esamillenaria”, ma esso si radica nell’esperienza storica del popolo d’Israele prima e di quello cristiano poi.

L’ultimo re di Daniele si presenta con le caratteristiche proprie a una serie di dominatori altezzosi e persecutori di cui il popolo di Dio ha fatto reale esperienza, da Nabucodonosor ad Antioco IV, fino agli imperatori romani. La Chiesa nascente, anch’essa alle prese con frequenti persecuzioni, non ha difficoltà ad accogliere le idee relative all’ultimo re della tradizione danielica all’interno delle sue concezioni escatologiche e a metterlo in connessione con la seconda venuta di Cristo, di cui diventa il segno premonitore.

Saltano all’occhio le linee fondamentali entro cui si collocano le concezioni sull’Anticristo nei testi di periodo cristiano: una serie di regni che si succedono nell’egemonia universale lungo i sei millenni della storia; un ultimo regno, al termine del sesto millennio, ben presto identificato con l’Impero romano; la divisione di questo regno fra diversi re; la comparsa tra questi di un ultimo re che instaura il suo dominio tirannico e universale e si distingue per empietà e astuzia e per la sua crudeltà contro il popolo di Dio; il momentaneo trionfo di questo re; il ritorno del Cristo glorioso; la sconfitta e l’annientamento del despota; l’avvento del Regno di Dio.

Attraverso l’approfondimento delle Scritture e di fonti extracanoniche (letteratura apocalittica; Oracoli Sibillini; fonti iraniche ed ellenistiche) la fisionomia dell’Anticristo assume tratti sempre più precisi, cosicché alla fine del III secolo d.C. la sua personalità presenta quella completezza di componenti che la caratterizzeranno nei secoli successivi.

L’ultimo oppositore non è più l’Antioco Epifane della profanazione del Tempio di Gerusalemme, cui Daniele attribuiva tratti e imprese politiche e militari chiaramente rintracciabili nella storia. Esso è ormai il nemico ultimo che al termine del sesto millennio si leverà contro Dio.

Nonostante ciò, i testi degli esegeti cristiani sono accomunati da un dato che ricorre sovente: l’identificazione dell’Anticristo con personalità, soprattutto gli eresiarchi e i loro seguaci, che si collocano nel passato o nel presente rispetto a chi ne tratta. La concezione storica del mondo ebraico-cristiano, pur avendo un carattere lineare, ammette dunque la possibilità di una certa ciclicità quando scorge nella successione delle epoche storiche il ritorno e la ripetizione di figure ed eventi. Ciò permette agli esegeti cristiani di cogliere in istituzioni, personaggi, luoghi e avvenimenti del passato prefigurazioni (“tipi”) del presente o del futuro, e viceversa di interpretare le istituzioni e gli eventi del presente come realizzazioni del passato e anticipazioni del futuro.

Così come all’interno della tipologia storica della salvezza una stessa linea lega, ad esempio, Abramo, Mosè, David interpretandoli in senso messianico come dei “tipi” del Cristo, pur conservando ognuno una propria individualità e una precisa collocazione nello spazio e nel tempo, allo stesso modo il Faraone, i re di Babilonia, Antioco IV, Pompeo, Nerone sono legati da una stessa linea, quella dell’opposizione a Dio e a Cristo, che percorre tutta la storia della salvezza.

Si comprende in tal modo l’identificazione dell’Anticristo con i re superbi e i loro sostenitori oppure con gli eresiarchi e i loro discepoli. Se Antioco IV viene presentato come precursore dell’Anticristo è perché egli ha incarnato nella storia l’azione persecutrice di colui che alla fine dei tempi porterà a compimento il mistero dell’opposizione a Dio. Allo stesso modo gli eretici, diffondendo false dottrine, ne attualizzano l’azione subdola e ingannatrice.

L’invito, perché si possa restituire a più ampio raggio il nome d’uomo a un Anticristo estrapolato dalla Storia, è quello di leggere i passi delle Scritture in cui è palese la rielaborazione dell’uomo-Antioco-persecutore-del-popolo nell’entità-Antioco-avversario-di-Dio”. Mi riferisco ai seguenti testi: il Libro di Daniele, le lettere ai Tessalonicesi, i Vangeli sinottici e l’Apocalisse di Giovanni. Ma vi sono altri due testi scritturistici che, pur parlandone pochissimo, sono stati destinati a dare per secoli il nome all’avversario escatologico del Cristo: le Lettere di Giovanni.

È proprio in alcuni passi di questi documenti che il termine antichrìstos viene menzionato per la prima volta (1 Gv. 2,18; 4,3; 2 Gv. 7). Il vocabolo compare nella seconda metà del I secolo d.C., ma la preposizione “anti”, che prima significava “al posto di”, “invece di”, in seguito indicherà “contro”, proponendo una contrapposizione di tipo ontologico, in sostanza un’idea non estranea all’ambiente ellenistico. Nella cultura alessandrina è difatti rinvenibile l’espressione antitheos (antidio), in cui “anti” non sta a indicare soltanto “opposto”, ma anche “equivalente a”, “sostituto per”. Al termine antichrìstos si affianca spesso quello di pseudochristos (falso Cristo), che definisce qualcosa di erroneo e ingannevole.

Nelle Lettere di Giovanni l’Anticristo è un’entità già presente e operante e la dimensione escatologica, che ne aveva proiettato la figura sullo sfondo degli ultimi avvenimenti del mondo, passa in secondo piano. Inoltre non vi è più una concezione individuale dell’oppositore, il quale, nel suo levarsi contro Cristo, assume i tratti di una collettività più che quelli di un uomo. Giovanni parla infatti di “molti anticristi”, la cui venuta anticipa l’ultima ora.
Secondo l’interpretazione più diffusa, in Giovanni dietro l’effige dell’Anticristo operano tutta le forze umane avverse a Cristo, le persecuzioni scatenate contro la Chiesa, le dottrine subdole e gli scandali degli eretici e degli apostati. In questo senso risulta anche più facilmente interpretabile il versetto in cui l’autore afferma che “essi [i molti anticristi] sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se infatti fossero stati dei nostri sarebbero rimasti con noi”. È evidente che l’autore ha di mira gli eretici del suo tempo, gli stessi che altri autori neotestamentari chiamano “falsi profeti”, “falsi dottori”, “falsi maestri”.

Sulla scia di Paolo di Tarso, in Giovanni si sfalda dunque la visione dell’Anticristo in quanto essere terrificante, mostruoso e colmo di attributi che lo rendono simile alle tante creature dell’universo mitologico, poiché esso proviene dagli uomini: è un seminatore di discordia e di influssi satanici, ma fisicamente simile agli altri individui contro cui si scaglia l’autore. È quest’umanizzazione dell’Anticristo che, fin dall’origine della predicazione, ha indotto gli uomini a cercarne il volto tra quanti (soprattutto tiranni e falsi profeti), per motivi diversi e con vari strumenti, parevano schierarsi dalla parte del male, dal Faraone ai re di Babilonia e di Tiro, da Antioco IV a Pompeo, da Nerone a Caligola, fino a Flavio Giuseppe, Simon Mago e Marcione, per arrivare all’identificazione dell’estremo oppositore con istituzioni o intere comunità.

Altro consiglio di lettura? Gli scritti apocrifi dell’Antico Testamento. Testi che hanno esercitato un importante influsso sulla concezione dell’Anticristo da parte degli esegeti cristiani. Primi fra tutti, probabilmente, gli Oracoli Sibillini, un gruppo di scritti di matrice giudaica composti tra II a.C. e il VII d.C., nei quali l’elemento escatologico è fortemente presente ed è legato, come nel Libro di Daniele, a una visione della storia universale in cui la fine dei tempi è caratterizzata dal momentaneo trionfo delle forze avverse a Dio e al popolo di Israele (generalmente interpretate come gli spiriti del male, l’egemonia degli imperi universali o l’Impero di Roma, e personificate da Belial, variamente identificato con Nerone, Simon Mago, ecc.) e dalla loro sconfitta a opera di un inviato di Dio (Libro III, vv. 63-76).

In alcuni passi del III libro degli Oracoli è facile scorgere un’allusione ad Antioco IV Epifane, descritto come il re che “giungerà inaspettatamente nella felice terra d’Asia, con le spalle coperte da un manto purpureo, crudele, ingiusto e impetuoso”, e, dopo aver ricevuto vita e potenza da un fulmine, porrà l’intera Asia sotto il giogo del diavolo. Si discute in realtà se nel sanguinario re annunciato in questi versi debba leggersi Antioco IV Epifane o piuttosto Alessandro Magno se non addirittura – per via di successive riscritture cristiane – il Nero Redivivus (Nerone).

Come appena accennata, bisogna tenere presente che alcuni di questi Oracoli tradiscono rimaneggiamenti di origine cristiana, di cui è spesso difficile valutare l’entità. Si è detto del Nero Redivivus. In particolare nel IV (vv. 115-148) e nel V libro (vv. 28-34; 93-110; 137-154, ecc.), i riferimenti alla politica e alle imprese di Nerone, che giungerà “dall’estremità della terra”, divengono assai puntuali e non scarseggiano i riferimenti all’attribuzione di onori e titoli divini al princeps sia in vita che in morte. I passi menzionati sono una chiara espressione e dell’odio e della sete di vendetta contro Roma (la quale è più di una volta chiamata “Babilonia”, la prima Grande Meretrice) da parte delle regioni orientali a essa sottomesse. Sono tuttavia evidenti i richiami alla descrizione dell’ultimo nemico di Dio così come riferita da Daniele: nel libro V, 220-224 è predetta l’eliminazione di tre re come primo atto dell’Anticristo; il piccolo corno di Daniele (Dn. 7,8; 24) ne abbatteva altrettanti prima di affermarsi.

La raffigurazione dell’Anticristo presentato come incarnazione di Belial (il diavolo) sotto le ben note sembianze di Nerone redivivo si ritrova in un’opera di difficile datazione inserita tra gli apocrifi del Nuovo Testamento, l’Ascensione di Isaia, nella quale elementi della tradizione giudaica si fondono con concezioni prettamente cristiane. La menzione di Belial si connette con l’epiteto usato da Paolo in 2 Ts. 2:1-4. L’espressione “uomo dell’iniquità” sembra infatti essere il risultato della traduzione greca dell’ebraico “uomo di Belial”, in cui Belial (o Beliar) è riportato con anomia, termine dalle molte accezioni: violazione della legge, iniquità, empietà, inutilità.

È chiaro dunque che l’Anticristo e Satana, pur raffigurando la stessa entità, non si identificano completamente, poiché il secondo agisce per tramite del primo e ad esso trasmette le sue principali qualità. Nell’Ascensione di Isaia l’Anticristo è infatti ancora una volta presentato con i caratteri dell’autodivinizzazione, dell’attività teurgica e del potere universale già presenti nei passi scritturistici finora proposti.

Un suggerimento di lettura sigolare (sorvolando sui molti testi patristici che mi paiono di minor interesse per lo scopo in questione): l’opera dell’apologista di II secolo, Giustino, il Dialogo con il giudeo Trifone. Di particolare importanza è il contesto in cui l’argomento viene affrontato: prima durante una conversazione con un giudeo (XXXII 3-4) e, in un secondo momento, in relazione alla seconda venuta di Cristo (CX 2).

Tale considerazione ci permette non solo di riaffermare la dimensione escatologica dell’Anticristo, ma anche di ribadire l’origine giudaica delle idee ad esso relative. A tale proposito, è assai significativo il fatto che Giustino accenni alla venuta dell’Anticristo appoggiandosi ai passi del Libro di Daniele in cui il profeta afferma che il devastatore proferirà parole di arroganza contro Dio e terrà il dominio per circa tre anni e mezzo, durante i quali compirà ogni sorta di iniquità contro i cristiani. La profezia modellata sul regno terreno di Antioco IV Epifane viene dunque ripresa letteralmente da Giustino per adattarla a colui che l’apologista chiama “l’uomo dell’iniquità”, riprendendo l’espressione usata da Paolo di Tarso.

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