ANTIOCO IV
EPIFANE
SOVRANO SELEUCIDE E “ANTICRISTO” /
PARTE I
di Monica Pezzella
Attraverso i secoli l’interesse per
il misterioso spettro
dell’Anticristo, con tutto il
corredo di oscuri presagi a esso
legato, non è mai venuto meno. Una
breve ricognizione delle idee
relative a questo personaggio
escatologico nei primi tre secoli
dell’antichità cristiana – una
mirata serie di suggerimenti di
lettura – potrebbe rivelarsi per
molti “illuminante”.
Nella letteratura del mondo giudaico
e cristiano, così come nell’universo
religioso mesopotamico, vi sono
talmente tanti riferimenti a colui
che, spogliato col tempo di ogni
individualità, ha finito per
divenire incarnazione stessa del
male, che la trattazione
dell’argomento non potrebbe
esaurirsi in così poco spazio. È
però possibile rintracciare, tra le
molteplici sfaccettature di cui
l’Anticristo si arricchisce nei
primi tre secoli del Cristianesimo,
alcuni elementi direttamente
riconducibili a tradizioni
sviluppatesi al tempo in cui la
Palestina fu dominata dal re
seleucida Antioco IV Epifane (175
a.C. – 164 a.C.): il primo
Anticristo, l’Anticristo che – come
fisiologicamente accade nel
passaggio da Antico a Nuovo
Testamento – ebbe un nome di uomo
ancor prima che Cristo nascesse; un
nome di cui restò in seguito – e
resta oggi – poca memoria.
La figura umanissima di Antioco IV,
che osò profanare il Tempio di
Gerusalemme installandovi la statua
di un maiale in aperto segno di
spregio al monoteismo, per di più in
un’epoca di crisi per il giudaismo,
incarna nella sua estrema, sfacciata
e ostentata hybris, tutti gli
elementi che la tradizione cristiana
riprende e reinterpreta per plasmare
una nuova e complessa escatologia.
Non è poi troppo azzardato affermare
che quella escatologia è proprio la
“nostra” escatologia, che si porta
appresso l’immagine dell’aldilà così
come lo si intende oggi in arte, in
letteratura, sul letto di morte;
l’idea di una redenzione
post-apocalittica:
post-estremo-giudizio/unzione.
Propedeutica per qualsiasi altra
lettura sull’argomento è quella del
veterotestamentario Libro di
Daniele, di cui dirò strada facendo.
Nella letteratura cristiana dei
primi secoli, epoca in cui per la
prima volta si tentò di descrivere
l’Anticristo in maniera più
sistematica, più fonti e più filoni
si intrecciano in testi a volte
molto brevi in cui ci si limita
spesso ad allusioni, cenni e
sottintesi. In molti degli scritti
circa l’estremo avversario del
Cristo e della Chiesa, si trovano a
convivere tradizioni talvolta
contrastanti, sulla base delle quali
è difficile giungere a una
definizione univoca dell’Anticristo
e della sua attività. Le
caratteristiche principali di questa
figura restano quelle delineate in
primis dal profeta Daniele e
successivamente approfondite da
Paolo di Tarso e dagli Evangelisti.
L’Anticristo agisce tramite la
violenza e l’inganno; egli è
l’estremo persecutore e il grande
ingannatore. A questi due aspetti si
legano i motivi del potere
universale, della capacità di
compiere prodigi strabilianti,
dell’arroganza,
dell’autoesaltazione.
Il dato più importante da tener
presente – fornito dalle fonti
scritte – è che il dramma
escatologico in cui l’Anticristo è
inserito assume sempre una valenza
storica: anche quando non viene
riferito a situazioni, eventi,
personaggi attuali, cioè anche
quando la sua immagine, proiettata
sullo sfondo degli avvenimenti
escatologici, sembra perdere
concretezza reale, esso non resta
privo del suo spessore storico:
l’antichristos è un uomo, un
dominatore tirannico che fino alla
fine ricalca i passi dei re
dell’esilio babilonese e di Antioco
IV Epifane; con il concorso di
Satana, egli riesce a ingannare
l’umanità e a farsi passare per il
Cristo scatenando l’ultima feroce
persecuzione contro la Chiesa.
Come scrisse Paolo Sbaffoni, la sua
apparizione non ha nulla di mitico,
“essa è perfettamente plausibile
perché non è altro che la
realizzazione estrema, se si vuole
parossistica, di eventi in qualche
modo già accaduti, già parzialmente
verificatisi nel corso della
storia”. Non solo l’Anticristo si
inserisce nella visione generale
della storia e dell’universo propria
al mondo ebraico-cristiano, in cui
lo schema della translatio imperii
si combina con la cronologia
“esamillenaria”, ma esso si radica
nell’esperienza storica del popolo
d’Israele prima e di quello
cristiano poi.
L’ultimo re di Daniele si presenta
con le caratteristiche proprie a una
serie di dominatori altezzosi e
persecutori di cui il popolo di Dio
ha fatto reale esperienza, da
Nabucodonosor ad Antioco IV, fino
agli imperatori romani. La Chiesa
nascente, anch’essa alle prese con
frequenti persecuzioni, non ha
difficoltà ad accogliere le idee
relative all’ultimo re della
tradizione danielica all’interno
delle sue concezioni escatologiche e
a metterlo in connessione con la
seconda venuta di Cristo, di cui
diventa il segno premonitore.
Saltano all’occhio le linee
fondamentali entro cui si collocano
le concezioni sull’Anticristo nei
testi di periodo cristiano: una
serie di regni che si succedono
nell’egemonia universale lungo i sei
millenni della storia; un ultimo
regno, al termine del sesto
millennio, ben presto identificato
con l’Impero romano; la divisione di
questo regno fra diversi re; la
comparsa tra questi di un ultimo re
che instaura il suo dominio
tirannico e universale e si
distingue per empietà e astuzia e
per la sua crudeltà contro il popolo
di Dio; il momentaneo trionfo di
questo re; il ritorno del Cristo
glorioso; la sconfitta e
l’annientamento del despota;
l’avvento del Regno di Dio.
Attraverso l’approfondimento delle
Scritture e di fonti extracanoniche
(letteratura apocalittica; Oracoli
Sibillini; fonti iraniche ed
ellenistiche) la fisionomia
dell’Anticristo assume tratti sempre
più precisi, cosicché alla fine del
III secolo d.C. la sua personalità
presenta quella completezza di
componenti che la caratterizzeranno
nei secoli successivi.
L’ultimo oppositore non è più
l’Antioco Epifane della profanazione
del Tempio di Gerusalemme, cui
Daniele attribuiva tratti e imprese
politiche e militari chiaramente
rintracciabili nella storia. Esso è
ormai il nemico ultimo che al
termine del sesto millennio si
leverà contro Dio.
Nonostante ciò, i testi degli
esegeti cristiani sono accomunati da
un dato che ricorre sovente:
l’identificazione dell’Anticristo
con personalità, soprattutto gli
eresiarchi e i loro seguaci, che si
collocano nel passato o nel presente
rispetto a chi ne tratta. La
concezione storica del mondo
ebraico-cristiano, pur avendo un
carattere lineare, ammette dunque la
possibilità di una certa ciclicità
quando scorge nella successione
delle epoche storiche il ritorno e
la ripetizione di figure ed eventi.
Ciò permette agli esegeti cristiani
di cogliere in istituzioni,
personaggi, luoghi e avvenimenti del
passato prefigurazioni (“tipi”) del
presente o del futuro, e viceversa
di interpretare le istituzioni e gli
eventi del presente come
realizzazioni del passato e
anticipazioni del futuro.
Così come all’interno della
tipologia storica della salvezza una
stessa linea lega, ad esempio,
Abramo, Mosè, David interpretandoli
in senso messianico come dei “tipi”
del Cristo, pur conservando ognuno
una propria individualità e una
precisa collocazione nello spazio e
nel tempo, allo stesso modo il
Faraone, i re di Babilonia, Antioco
IV, Pompeo, Nerone sono legati da
una stessa linea, quella
dell’opposizione a Dio e a Cristo,
che percorre tutta la storia della
salvezza.
Si comprende in tal modo
l’identificazione dell’Anticristo
con i re superbi e i loro
sostenitori oppure con gli
eresiarchi e i loro discepoli. Se
Antioco IV viene presentato come
precursore dell’Anticristo è perché
egli ha incarnato nella storia
l’azione persecutrice di colui che
alla fine dei tempi porterà a
compimento il mistero
dell’opposizione a Dio. Allo stesso
modo gli eretici, diffondendo false
dottrine, ne attualizzano l’azione
subdola e ingannatrice.
L’invito, perché si possa restituire
a più ampio raggio il nome d’uomo a
un Anticristo estrapolato dalla
Storia, è quello di leggere i passi
delle Scritture in cui è palese la
rielaborazione
dell’uomo-Antioco-persecutore-del-popolo
nell’entità-Antioco-avversario-di-Dio”.
Mi riferisco ai seguenti testi: il
Libro di Daniele, le lettere ai
Tessalonicesi, i Vangeli sinottici e
l’Apocalisse di Giovanni. Ma vi sono
altri due testi scritturistici che,
pur parlandone pochissimo, sono
stati destinati a dare per secoli il
nome all’avversario escatologico del
Cristo: le Lettere di Giovanni.
È proprio in alcuni passi di questi
documenti che il termine
antichrìstos viene menzionato per la
prima volta (1 Gv. 2,18; 4,3; 2 Gv.
7). Il vocabolo compare nella
seconda metà del I secolo d.C., ma
la preposizione “anti”, che prima
significava “al posto di”, “invece
di”, in seguito indicherà “contro”,
proponendo una contrapposizione di
tipo ontologico, in sostanza un’idea
non estranea all’ambiente
ellenistico. Nella cultura
alessandrina è difatti rinvenibile
l’espressione antitheos (antidio),
in cui “anti” non sta a indicare
soltanto “opposto”, ma anche
“equivalente a”, “sostituto per”. Al
termine antichrìstos si affianca
spesso quello di pseudochristos
(falso Cristo), che definisce
qualcosa di erroneo e ingannevole.
Nelle Lettere di Giovanni
l’Anticristo è un’entità già
presente e operante e la dimensione
escatologica, che ne aveva
proiettato la figura sullo sfondo
degli ultimi avvenimenti del mondo,
passa in secondo piano. Inoltre non
vi è più una concezione individuale
dell’oppositore, il quale, nel suo
levarsi contro Cristo, assume i
tratti di una collettività più che
quelli di un uomo. Giovanni parla
infatti di “molti anticristi”, la
cui venuta anticipa l’ultima ora.
Secondo l’interpretazione più
diffusa, in Giovanni dietro l’effige
dell’Anticristo operano tutta le
forze umane avverse a Cristo, le
persecuzioni scatenate contro la
Chiesa, le dottrine subdole e gli
scandali degli eretici e degli
apostati. In questo senso risulta
anche più facilmente interpretabile
il versetto in cui l’autore afferma
che “essi [i molti anticristi] sono
usciti da noi, ma non erano dei
nostri; se infatti fossero stati dei
nostri sarebbero rimasti con noi”. È
evidente che l’autore ha di mira gli
eretici del suo tempo, gli stessi
che altri autori neotestamentari
chiamano “falsi profeti”, “falsi
dottori”, “falsi maestri”.
Sulla scia di Paolo di Tarso, in
Giovanni si sfalda dunque la visione
dell’Anticristo in quanto essere
terrificante, mostruoso e colmo di
attributi che lo rendono simile alle
tante creature dell’universo
mitologico, poiché esso proviene
dagli uomini: è un seminatore di
discordia e di influssi satanici, ma
fisicamente simile agli altri
individui contro cui si scaglia
l’autore. È quest’umanizzazione
dell’Anticristo che, fin
dall’origine della predicazione, ha
indotto gli uomini a cercarne il
volto tra quanti (soprattutto
tiranni e falsi profeti), per motivi
diversi e con vari strumenti,
parevano schierarsi dalla parte del
male, dal Faraone ai re di Babilonia
e di Tiro, da Antioco IV a Pompeo,
da Nerone a Caligola, fino a Flavio
Giuseppe, Simon Mago e Marcione, per
arrivare all’identificazione
dell’estremo oppositore con
istituzioni o intere comunità.
Altro consiglio di lettura? Gli
scritti apocrifi dell’Antico
Testamento. Testi che hanno
esercitato un importante influsso
sulla concezione dell’Anticristo da
parte degli esegeti cristiani. Primi
fra tutti, probabilmente, gli
Oracoli Sibillini, un gruppo di
scritti di matrice giudaica composti
tra II a.C. e il VII d.C., nei quali
l’elemento escatologico è fortemente
presente ed è legato, come nel Libro
di Daniele, a una visione della
storia universale in cui la fine dei
tempi è caratterizzata dal
momentaneo trionfo delle forze
avverse a Dio e al popolo di Israele
(generalmente interpretate come gli
spiriti del male, l’egemonia degli
imperi universali o l’Impero di
Roma, e personificate da Belial,
variamente identificato con Nerone,
Simon Mago, ecc.) e dalla loro
sconfitta a opera di un inviato di
Dio (Libro III, vv. 63-76).
In alcuni passi del III libro degli
Oracoli è facile scorgere
un’allusione ad Antioco IV Epifane,
descritto come il re che “giungerà
inaspettatamente nella felice terra
d’Asia, con le spalle coperte da un
manto purpureo, crudele, ingiusto e
impetuoso”, e, dopo aver ricevuto
vita e potenza da un fulmine, porrà
l’intera Asia sotto il giogo del
diavolo. Si discute in realtà se nel
sanguinario re annunciato in questi
versi debba leggersi Antioco IV
Epifane o piuttosto Alessandro Magno
se non addirittura – per via di
successive riscritture cristiane –
il Nero Redivivus (Nerone).
Come appena accennata, bisogna
tenere presente che alcuni di questi
Oracoli tradiscono rimaneggiamenti
di origine cristiana, di cui è
spesso difficile valutare l’entità.
Si è detto del Nero Redivivus. In
particolare nel IV (vv. 115-148) e
nel V libro (vv. 28-34; 93-110;
137-154, ecc.), i riferimenti alla
politica e alle imprese di Nerone,
che giungerà “dall’estremità della
terra”, divengono assai puntuali e
non scarseggiano i riferimenti
all’attribuzione di onori e titoli
divini al princeps sia in vita che
in morte. I passi menzionati sono
una chiara espressione e dell’odio e
della sete di vendetta contro Roma
(la quale è più di una volta
chiamata “Babilonia”, la prima
Grande Meretrice) da parte delle
regioni orientali a essa sottomesse.
Sono tuttavia evidenti i richiami
alla descrizione dell’ultimo nemico
di Dio così come riferita da
Daniele: nel libro V, 220-224 è
predetta l’eliminazione di tre re
come primo atto dell’Anticristo; il
piccolo corno di Daniele (Dn. 7,8;
24) ne abbatteva altrettanti prima
di affermarsi.
La raffigurazione dell’Anticristo
presentato come incarnazione di
Belial (il diavolo) sotto le ben
note sembianze di Nerone redivivo si
ritrova in un’opera di difficile
datazione inserita tra gli apocrifi
del Nuovo Testamento, l’Ascensione
di Isaia, nella quale elementi della
tradizione giudaica si fondono con
concezioni prettamente cristiane. La
menzione di Belial si connette con
l’epiteto usato da Paolo in 2 Ts.
2:1-4. L’espressione “uomo
dell’iniquità” sembra infatti essere
il risultato della traduzione greca
dell’ebraico “uomo di Belial”, in
cui Belial (o Beliar) è riportato
con anomia, termine dalle molte
accezioni: violazione della legge,
iniquità, empietà, inutilità.
È chiaro dunque che l’Anticristo e
Satana, pur raffigurando la stessa
entità, non si identificano
completamente, poiché il secondo
agisce per tramite del primo e ad
esso trasmette le sue principali
qualità. Nell’Ascensione di Isaia
l’Anticristo è infatti ancora una
volta presentato con i caratteri
dell’autodivinizzazione,
dell’attività teurgica e del potere
universale già presenti nei passi
scritturistici finora proposti.
Un suggerimento di lettura sigolare
(sorvolando sui molti testi
patristici che mi paiono di minor
interesse per lo scopo in
questione): l’opera dell’apologista
di II secolo, Giustino, il Dialogo
con il giudeo Trifone. Di
particolare importanza è il contesto
in cui l’argomento viene affrontato:
prima durante una conversazione con
un giudeo (XXXII 3-4) e, in un
secondo momento, in relazione alla
seconda venuta di Cristo (CX 2).
Tale considerazione ci permette non
solo di riaffermare la dimensione
escatologica dell’Anticristo, ma
anche di ribadire l’origine giudaica
delle idee ad esso relative. A tale
proposito, è assai significativo il
fatto che Giustino accenni alla
venuta dell’Anticristo appoggiandosi
ai passi del Libro di Daniele in cui
il profeta afferma che il
devastatore proferirà parole di
arroganza contro Dio e terrà il
dominio per circa tre anni e mezzo,
durante i quali compirà ogni sorta
di iniquità contro i cristiani. La
profezia modellata sul regno terreno
di Antioco IV Epifane viene dunque
ripresa letteralmente da Giustino
per adattarla a colui che
l’apologista chiama “l’uomo
dell’iniquità”, riprendendo
l’espressione usata da Paolo di
Tarso.