SUL BORGO DI ANTIGNANO
STORIA E VITA QUOTIDIANA
DELL’OTTOCENTO
di Maria Grazia Fontani
Il borgo di Antignano, un antico
insediamento rurale all’estremo sud
della città di Livorno, attualmente
fa parte del territorio cittadino,
ma si tratta di un villaggio
autonomo di origine romana, del
quale ci sono tracce medievali in
antichi documenti che attestano la
presenza di pievi fin dall’anno
1000.
Il toponimo del borgo labronico ha
origine incerta: per alcuni da un
gentilizio romano(Fundus
Antonianus per Pietro Vigo); su
antiche carte si legge
Lantigniano; per altri da
ante ignem (analogamente
all’altro toponimo della vicina
Ardenza) ossia prima dei fuochi di
segnalazione posti per le navi. Non
è l’unico in Italia: esiste al nord
(Asti) e al sud (Napoli). Il nome
del borgo del Vomero forse deriva da
ante Agnano, l’altro, in
provincia di Asti, deriverebbe dal
nome dei legionari romani detti
“antesignani”, ossia l’avanguardia
di una legione romana, che ne
presero possesso.
Cosimo I dei Medici decise di
ampliare il porto di Livorno, dopo
l’interramento del porto pisano. Nel
1537 dichiarò Livorno porto franco.
Solo però nel 1571 affidò a
Bernardo
Buontalenti il progetto della
costruzione di un centro abitato
chiuso all’interno di una cinta
muraria pentagonale e circondato da
bastioni e canali, che ampliava il
già esistente nucleo abitativo. Il
progetto vide il suo inizio nel
1577, data di nascita della “città
ideale” di Livorno.
.
Iscrizione
sul Forte di Antignano
Ma nel 1567, prima di diventare
Granduca di Toscana, Cosimo I,
ancora Duca di Firenze e Siena, fece
erigere da Raffaello Guerrazzi,
comandante della Fortezza Vecchia di
Livorno, un fortilizio proprio nel
borgo di Antignano, per difendere le
coste dagli attacchi dei
barbareschi. Pietro Vigo ci fa
sapere che questo forte racchiuse la
vecchia chiesa di Santa Lucia,
consacrata nel 1370 da Papa Urbano V
che tornava a Roma da Avignone.
Sembra che questa circostanza non
sia suffragata da conferme, ma è
invece certo che il forte fu
visitato da grandi personaggi, come
Vasari, Michelangelo e Cellini.
.
Mappa seicentesca del Forte di
Antignano (Cartografia storica
regionale)
Nella biografia di Benvenuto Cellini
“da lui medesimo scritta” si trovano
tracce di questi viaggi ad
Antignano:
«… me n’andai a Livorno e trovai il
mio Duca, che mi fece grandissima
accoglienza: e poiché io vi stetti
parecchi giorni, io cavalcavo con
S.E.,… il Duca usciva fuori di
Livorno e andava quattro miglia
rasente il mare, dove egli faceva
fare un po’ di fortezza».
Nelle planimetrie più antiche del
forte si vedono i quattro bastioni
denominati, in senso orario da
nord-est,come Fonte (in direzione di
Fonte Vecchia), Giardino (guarda la
località Giardino), Campana e
Fornace (per la fornace eretta in
quella zona), ma non si vede ancora
il rivellino latomare, che sarà
aggiunto in seguito come base di
puntamento dei cannonieri.
Nella Guida del forestiere di
Pietro Volpi del 1846 si legge
testualmente: «Vi
è un piccolo castello cinto di alte
mura che difendono le interne
abitazioni, avendo nel suo centro la
chiesa pievania del villaggio… Vi
risiede un presidio militare».
Nel tempo, il forte perdette il suo
aspetto originario in quanto, una
volta smilitarizzato, fu ceduto a
privati che qui costruirono alcune
dimore, stravolgendone gran parte
della configurazione originaria.
Il fronte rivolto verso il mare,
divenuto proprietà della famiglia
Cremoni, fu trasformato in albergo a
partire dal 1878 ininterrottamente
fino al 1942, quando fu ceduto anche
a causa delle esigenze belliche.
.
Il Castello di Antignano (foto
collezione G. Sandonnini)
Nel 1898 avvenne purtroppo lo
scempio della demolizione del quarto
bastione del castello (detto del
Giardino) quando una delibera
comunale stabilì che si dovesse
permettere al Tramway, da poco
funzionante, di fare inversione di
marcia.
.
Piazza Bartolommei e il tramway
(foto collezione G. Sandonnini)
Come per tutte le altre parrocchie
cittadine, i registri del censimento
granducale del 1841, voluto dal
Granduca Leopoldo II di Lorena per
censire gli abitanti del Granducato
di Toscana, furono redatti
personalmente dai parroci nel mese
di aprile, forse in occasione della
benedizione pasquale. Ad Antignano
la Parrocchia di Santa Lucia copre
tutto il territorio del borgo, gli
abitanti del borgo erano 899, dei
quali 165 nel Forte di Antignano,
insieme a 14 militari del Presidio
della Seconda Compagnia di
Cannonieri. Come abbiamo visto,
infatti, almeno fino al 1846 il
presidio militare era ancora
presente nel Forte.
La provenienza degli abitanti,
diversa dalla Toscana, si limita a
qualche nucleo genovese (come ad
esempio il cappellano di 47 anni),
ad alcuni nuclei familiari da
Modena, e a pochi altri dalla
Corsica. Il tasso di
alfabetizzazione risulta molto
basso, avendo riscontrato "LS"
(legge e scrive) o solo "L" (legge)
in appena 66 abitanti. Le condizioni
economiche appaiono piuttosto
misere, infatti non si trovano né
possidenti né nobili, ma solo
artigiani, operanti e coloni
affittuari. Solo un abitante risulta
proprietario, un certo
Gregorio Girac Mirman, di rito
armeno.
Anche l’età media è molto bassa, sia
per l’alto tasso di natalità, sia
per le condizioni di vita che non
permettevano la longevità in quegli
anni. Infatti non si contano più di
una decina di ultrasettantenni, e
solo Orsolini Antonio ("attende a
casa, impotente per età")
residente nel Molino di Ardenza,
risulta avere 80 anni.
Non ho trovato residenti censiti
nella bella Villa Gamba, o Villa del
Giardino, costruita sui resti di un
casino di caccia del tempo di Cosimo
I dei Medici, e ancora circondata da
antiche mura, in cui nel ‘700
soggiornò forse Carlo Goldoni, ma
certamente il romanziere Tobias
Smollet che ivi morì. Probabilmente
per i proprietari, ricchi
commercianti (librai) di origine
fiorentina che vivevano nel bel
palazzo cittadino sugli Scali San
Giovanni Nepomuceno, la villa era
una casa per la villeggiatura, e per
questo non vi sono censiti. Ma ho
trovato la persona a guardia della
villa e varie famiglie di coloni che
lavoravano le terre circostanti.
.
Villa Gamba o del Giardino
Pur essendo in riva al mare, poche
risultano le attività lavorative a
esso collegate: qualche marinaro
e qualche pescatore, mentre
moltissimi sono indicati operanti
in modo generico. Molti i coloni,
e alta la percentuale di
muratori, calcinajuoli e scalpellini.
Il motivo di queste attività è che
proprio ad Antignano si trovava un
calcare da calcina, detto pietra di
Antignano. Inoltre risultano censiti
8 scalpellini che vivono
direttamente sul lungomare, segno
che là si cavava la pietra panchina
con la quale sono stati costruiti
molti edifici livornesi. Di questi
8, lo scalpellino Rasi Giovanni,
vedovo di 59 anni, vive in uno
stanzino abbandonato presso la Torre
di Calafuria; gli altri, più
giovani, nella casa presso il Ponte
di Calignaja.
Nelle Torri del Boccale e di
Calafuria abitano 8 militari della
2° Compagnia di Cannonieri. Sono
censiti anche il cappellano militare
del Forte del Romito e il Torriere
del Romito.
Torre
di Calafuria (foto collezione G.
Sandonnini)
Per quanto riguarda le donne, spesso
analfabete, la professione più
diffusa è la lavandaja: se ne
contano ben 77 in Antignano, il che
fa supporre che usufruissero del
loro servizio le famiglie benestanti
di Livorno.
Nei registri censori del 1841 della
parrocchia di Santa Lucia di
Antignano sono riportati tre cugini,
i Berni: Giovanni aveva solo 10
anni, mentre Alessandro ne aveva 12
e Michele 13, ed erano
rispettivamente figli dei fratelli
Giuseppe, operante, Agostino,
muratore, e Pietro
cavalleggere. Il motivo della
ricerca di questi nominativi è che
essi sono fra i caduti nella difesa
di Livorno del 1849. Ci racconta la
loro storia Alpinolo Sgarallino,
figlio del garibaldino Andrea, nella
orazione funebre tenuta in occasione
della riesumazione dei loro corpi.
Il francese Augusto Michel, Giuseppe
Gori, Giovanni Parlanti, Jacopo
Crespini e un non identificato
modenese, in quei giorni avevano
coraggiosamente combattuto presso la
Porta Maremmana per la difesa della
città dall’armata del Generale
Costantino D’Aspre, austriaco, che
voleva ripristinare il governo del
Granduca. Essi, insieme ai i tre
cugini Alessandro, Giovanni e
Michele Berni, antignanesi, furono
vittime della repressione austriaca
nelle giornate della difesa di
Livorno del maggio 1849. I Berni,
che tornavano a casa ad Antignano,
furono uccisi per un puro
fraintendimento dato che non fecero
alcuna resistenza agli austriaci,
anzi fraternizzarono con loro,
auspicando la restaurazione del
Granduca, anche perché Michele era
stato guardiacostiera sotto il
regime granducale ed era figlio di
un militare, un cavalleggere come
già detto. Purtroppo non riuscirono
a intendersi con i soldati, e furono
imprigionati al Lazzeretto di San
Jacopo insieme ad altri sventurati.
Poche ore dopo vennero prelevati in
due gruppi di quattro e barbaramente
fucilati:
«I cadaveri, avidamente frugati,
vennero quindi sepolti con
negligenza, cosicché, anco al
cessare dell’occupazione austriaca,
vedeasi su piazza detta «dei
Passeggeri» ove furono seppelliti,
il promontorio formato dalle loro
ossa!»
(Montazio E., Le stragi di Livorno e
il Conte di Crenneville, (1869), p.
68).
Questa testimonianza ci dice che
furono gettati in una fossa comune,
ma nel 1859 vennero sepolti più
degnamente nel cimitero del
lazzaretto.
Quando, nel 1879, il cimitero venne
distrutto a causa dei lavori per la
costruzione dell'Accademia Navale di
Livorno, le spoglie, con una
orazione funebre pronunciata appunto
da Alpinolo Sgarallino, vennero
solennemente scortate per la città
per essere collocatevicine a quelle
di altri eroi della Patria.
.
Il monumento di Lorenzo Gori al
cimitero dei “Lupi”
Il Presidente dell’Associazione dei
Reduci del 10 e 11 maggio 1849,
Andrea Sgarallino, aveva formalmente
chiesto al Comune di dare degna
sepoltura alle spoglie delle otto
vittime degli austriaci. Il Comune
in effetti donò uno spazio al
cimitero monumentale della città, in
località Santo Stefano ai Lupi,
vicino al mausoleo dei caduti
livornesi a Mentana, ma per la
realizzazione del sepolcro,
commissionato allo scultore Lorenzo
Gori, fu necessario indire una
sottoscrizione civica. Finalmente
nel 1881 il monumento fu completato
e inaugurato solennemente.
Piacque molto, tanto che poco dopo
Gori si aggiudicò anche l'esecuzione
del monumento a Francesco Domenico
Guerrazzi, ancora visibile vicino
alla centralissima Piazza della
Repubblica a Livorno.
Nel monumento funebre si rappresenta
con realismo un combattente in abiti
civili non nell'atto eroico, ma già
ferito a morte, con lo sguardo perso
nel vuoto e il moschetto ancora in
mano. Simbolico lo stemma della
città di Livorno vicino al giovane,
che appare parzialmente danneggiato,
per mostrare le sofferenze subite
dalla città. Ai due lati del
monumento sono riportati i nomi
degli otto popolani barbaramente
uccisi.